Presso l ‘Aeronautica avevamo rispetto e trattamento speciale.  Sono i padri degli Allievi che fecero grande e rispettata la nostra Aeronautica fino al Sacrificio.
Ferdinando Piccolo (ex allievo)

… poi l’ orgoglio e la soddisfazione di essere “quelli del Maddalena”, stimati e benvoluti e, direi, amati dai cittadini goriziani, che avevano eletto l’ Istituto ad istituzione della città, riuscivano a far superare buona parte delle difficoltà personali.
Dal libro “I Figli dell’ Ala”

Una volta, 1943 (i miei tempi) uno sguardo creava turbamento: il mio turbamento era F.A. Collegio Maddalena – S.Pietro, divisa azzurra, (camicia, pantaloni, cravatta, berretto), corriera azzurra, azzurro come l’arma a cui apparteneva il padre (colonnello dell’aeronautica). La corriera, guidata da un soldato dell’aeronautica,  portava otto giovani dal collegio “Maddalena” al liceo classico (viale XX settembre), al liceo scientifico (allora in via Carducci). I loro padri erano considerati da noi, giovani italiane, degli eroi, e lo sono stati, credetemi.
Una studentessa goriziana alias la nipote di un goriziano che aveva la macchina (una balilla) targata Go 006

Il “Maddalena” per me è quello di S.Pietro di Gorizia, dove ho vissuto per cinque anni.
L’estate del 1935 stava per finire. Il 15 settembre, insieme a mio fratello gemello, arrivai a Villa Bonci – Loreto, prima sede del “Baracca”. Il “Baracca” (1935-1938) ed il ”Maddalena” (1938-1943 a Gorizia e 1946-1947 a Firenze): le “case” della mia infanzia e della mia adolescenza.
Labili e sfuocati i ricordi del “Baracca”. I corridoi dai soffitti immensi ed i lunghi tavoloni del refettorio (ma io ero piccolino); le “Signorine” (così chiamavamo le insegnanti e le istitutrici) erano suore laiche; il gioco delle palline (quelle di vetro erano le più pregiate) e quello dei “ragazzi della via Paal”: avevamo le bandiere (una bianca e gialla ed una rossa e blu) ed il campo di gioco erano due minuscole collinette fatte con la terra riportata dagli scavi in corso per la costruzione della nuova sede; le corse nel bellissimo parco, sognando di fare il Giro d’Italia (io avevo scelto di essere Vicini); i “castighi”: senza dolce (la domenica) o senza frutta oppure in piedi dietro la lavagna; il “parlatorio”, il salone dove, nei giorni festivi, incontravamo la mamma (che portava sempre dolcetti e prelibatezze) e talvolta altri parenti ...
Eravamo divisi in squadre formate in base alla classe scolastica frequentata. Quelli della squadra dei più piccoli erano chiamati “i piscioni”.La giornata, molto intensa, era scandita da orari precisi, quasi inflessibili: sveglia alle 6,20, con il campanello o, con la tromba, se c’era un trombettiere tra gli avieri o gli allievi (tra questi solo Vittorio Restucci detto Foffo/Cipputà). Fino alle 6,40 le “pulizie personali” comprese le “spugnature” (getti di acqua fredda sul petto e sulle spalle seguiti da energiche strofinature con l’asciugamano), subito dopo, 20 minuti di ginnastica (in palestra o sui campi sportivi se non era freddo o pioveva). Tra le 7 e le 7,45, fare il letto, preparare la cartella per le lezioni a scuola, indossare la divisa, la colazione, poi sull’autobus per andare a scuola negli Istituti di Gorizia. Alle 13 circa rientro da scuola, pranzo e 20/30 minuti di ricreazione. Tra le 14,30 e le 17,30 studio o educazione fisica o giochi sportivi o ricreazione (quando era fuori, spesso ad ammirare le acrobazie di CR 32 della Scuola caccia di stanza sull’aeroporto). Ci davano anche la merenda: pane e marmellata. Dalle 17,30 alle 19,30 studio, scandito dai rintocchi dell’orologio del campanile della Chiesa (dirimpettaia del Collegio): solenni quelli dell’ora, sbarazzini quelli dei quarti d’ora. Cena, breve ricreazione e a dormire al massimo alle 21,30/22,00, talvolta con il “silenzio” suonato dal trombettiere: mi piaceva molto addormentarmi con il suono del ”silenzio”.
Ogni tre mesi circa c’erano le “valutazioni”: si facevano prove di atletica leggera e bisognava conseguire risultati prefissati a seconda dell’età.
A pranzo e cena, serviti dai famigli in giacca e guanti bianchi, parlare sottovoce e massima compostezza (guai a mangiare con le mani o fare la scarpetta!!!) altrimenti scattava la punizione.
La domenica (sveglia alle 7), la Messa e, dopo la colazione, almeno un’ora d’istruzione militare, marciando al suono di qualche marcia militare. Ricordo che, per evitarla, mi proponevo come inserviente (chierichetto) per la Messa, in modo da arrivare quando era già cominciata !!!!
Dopo pranzo la libera uscita: i grandi da soli, i più piccoli accompagnati da parenti o amici autorizzati o dagli istitutori per andare al cinema in città (solo chi aveva i suoi soldini!!), in alternativa proiezione di un film nel cinema interno o ricreazione. Cena al più tardi alle 20.
Le competizioni di atletica e pallacanestro con le squadre dei gruppi sportivi della Provincia di Gorizia: il “Maddalena” era sempre il più forte. Vincemmo una Coppa in un torneo di pallacanestro e abbiamo avuto un campione nazionale dei giovani (fascisti) dei cento metri (10”9): Mondini Luigi.
Periodici i controlli dello stato di salute, con accurate visite mediche.
Le sfilate nella città di Gorizia, ammirati e “coccolati” dalla cittadinanza. I viaggi a Roma per le cerimonie dell’Anniversario dell’Aeronautica.
D’estate: in montagna a Monguelfo, marce di 4-5 km. con zainetto e moschetto, passeggiate nel bosco e sui prati, bellissime escursioni per i Rifugi dolomitici; al mare a Sistiana e Portorose. A Sistiana veniva il pescatore e ci vendeva i frutti di mare crudi con il limone. E’ lì che ho imparato a nuotare, quando fui “esortato” energicamente a fare un tuffo dal molo del porticciolo.
C’erano gli istitutori civili e militari che vivevano con noi di giorno e di notte. Le “punizioni” avevano una loro gerarchia: il ”silenzio” (cioè la privazione di tutta o parte della ricreazione), ”senza la libera uscita festiva” o “senza lo spettacolo cinematografico interno festivo”, la cella semplice (solo di giorno) o di rigore (giorno e notte dormendo sul tavolaccio). E poi c’erano le punizioni fisiche (non botte) che consistevano in giri di pista, salite alle funi, piegamenti sulle gambe o sulle braccia, inflitte dall’istruttore di educazione fisica (Vespignani che tutti i ”goriziani” ricordano) se non t’impegnavi abbastanza.
Ufficiali, Sottufficiali e Graduati dell’Aeronautica preposti alla Direzione, agli uffici, ai magazzini, alla mensa, all’autoreparto. I ”famigli” (civili) addetti ai servizi vari (quando sono entrato nel ’38 ci facevano anche il letto) e le guardarobiere che curavano il ricco corredo di ciascuno di noi.
Molti di noi avevano un soprannome: Ciagna/Pistacchio (il figlio di Umberto Maddalena), Cubo, Cicci Bomba, Bergnoccolo, La Baba (i quattro Presidenti onorari del Club), Petardo (il secondo Presidente del Club), Boccia, Boccino, Pera, Trepunte, Pallino, Ronzino, Squanzeno, Joe tripallico, Stilini, Tobia, Poldo,  Nicchio, Peppetto, Pinzone, Rosso, Calì, Storto, Stortino, Pei/Crapa, Piria, Stilini, Gim, Cisco, Totò, Pelosi gheghega, Spi, Topo, Vigorita, Cammello.
Per finire un ricordo indelebile. L’8 settembre era appena passato, dentro al Collegio erano entrati “strani tipi” armati, ci fu detto, prendete gli effetti personali, e tuttociò che potete dai magazzini (vestiario, materiale ordinario e viveri) e caricate tutto sul Lancia Tre Rho con rimorchio in sosta nel cotile, e salite sugli autobus. Due o tre ore di viaggio e sosta ad Oderzo per la notte passata in una scuola a dormire sul pavimento cosparso di paglia. Al mattino lasciati liberi di raggiungere la propria casa in treno (non tutti andarono), la vendita di coperte ed altro per racimolare i soldi per il viaggio verso casa, le stazioni di Treviso e di Mestre pieni di soldati sbandati e di militari della “Feldgendarmerie” tedesca (la Polizia Militare). Era finito il “Maddalena” di Gorizia.
Giulio Martucci (ex allievo)

C’era una volta, nell’ottobre del 1934, un bambino di 10 anni, che per convenzione chiameremo col suo quarto nome di battesimo, Ernesto
Entra in collegio a Gorizia senza rendersi conto di essere il più giovane di tutti gli allievi, poco più di trenta. Aveva altro a cui pensare, col magone del distacco dalla mamma, che provocava qualche lacrimuccia da celare il più possibile, l’impatto con i nuovi compagni, alcuni dei quali non si dimostravano molto amichevoli e poi usavano certe parolacce a cui non era certo abituato, per non parlare dell’emozionantissimo ingresso nella nuova scuola, il regio ginnasio liceo Vittorio Emanuele III e nella classe VS. Ernesto era in ritardo perché le lezioni erano iniziate già da una settimana; la professoressa lo fa sedere nell’unico posto libero nello stesso banco di Ginevra, una rosea e bionda bambina che per fortuna lo mette subito a suo agio. Comunque, in quel primo anno di collegio Ernesto ha vissuto almeno due momenti belli che desidero raccontarvi. Eravamo ormai nella primavera avanzata, quando l’istitutore chiama Ernesto nel primo pomeriggio di una bella giornata di sole, per dirgli che deve andare dal comandante del collegio, maggiore Miglia. Ernesto, un po’ preoccupato, si sente dire dal comandante sorridente: “Devo andare a Trieste con l’automobile, vuoi farmi compagnia?”.
Detto fatto, con grande gioia Ernesto si accomoda accanto al guidatore in una bella Lancia sportiva e via a tutta velocità (addirittura anche a cento all’ora) per la bella strada sinuosa che passa per Merna, Doberdò, Duino, Sistiana, il castello di Miramare, per arrivare proprio in piazza dell’Unità a Trieste.
A piedi i due viaggiatori entrano nel Caffè degli Specchi, dove Ernesto si gusta una buonissima cioccolata calda e attende che il comandante sbrighi alcune sue faccende. Intanto si guarda intorno e osserva i pochi clienti, distinti signori intenti nella lettura dei giornali, che sono sostenuti da strani telaietti di legno, con manico, che peraltro aveva già visto al caffè Garibaldi a Gorizia, dove si concludevano sempre, le giornate mensili di libera uscita con la mamma. Al ritorno del Comandante, poi si riparte per la stessa strada e si ritorna a casa prima che faccia buio. Quale memorabile giornata è stata per Ernesto, che però non ricorda più se l’ha raccontata in giro oppure se l’è tenuta tutta per sé. L’altra giornata memorabile di quel primo anno e capitata in settembre, quando si è saputo che per la premiazione degli allievi più meritevoli sarebbe venuto addirittura il Duca d’Aosta. Ernesto era nell’elenco dei premiandi, anzi era il più piccolo e con la media scolastica più elevata!
In effetti si trattava solo di una media di poco superiore al sette, ma tanto bastava per stabilire un primato in quel contesto. Dunque, arriva il grande giorno e tutti gli allievi, in perfetta alta uniforme, sono schierati sul campo sportivo, con i rispettivi istitutori. Ecco che dalla villa Coronini esce il corteo di ufficiali dell’Aeronautica che accompagna l’altissimo Duca d’Aosta, in divisa di generale.
Era così’ sorridente e gentile che Ernesto si sentì’ subito a suo agio, anche quando fu chiamato per ricevere direttamente da Sua Altezza le sue prime Cifre Reali (VE) d’argento, oltre alla stretta di mano, per la quale Ernesto ebbe l’indebito privilegio di vedere un membro della Casa Reale chinarsi verso di lui.
In fin dei conti, quel primo anno scolastico lontano da casa e dalla mamma, non era andato male per Ernesto, che aveva imparato tante cose e poteva portarsi dietro per tutta la vita il ricordo di quelle due meravigliose giornate.
Luigi Conti (ex allievo)