Storie di piloti del 4°Stormo di Gorizia

1.Raffaele Chianese

La mia infanzia
Sono nato a Calvizzano, provincia di Napoli, il 14 marzo 1910 in una modesta casa di campagna ove ho trascorso la mia giovinezza insieme a genitori e numerosi fratelli. Il piu’ anziano di questi ritornerà a casa nel 1918 dopo aver combattuto sul San Michele, a 4 km dall’Aeroporto di Gorizia, intossicato il 29 giugno 1916 dall’attacco con i gas da Cima 4 che lo lascera’ provato per tutta la vita. Della Grande Guerra ricordo ancora con chiarezza un episodio poco noto: un dirigibile austriaco che sorvola senza trovare ostacoli la citta’ di Napoli lanciando alcune bombe sulla citta’ che fanno lievi danni ma provocano panico ed hanno effetto demoralizzante sui cittadini.

L’arruolamento
 Terminate le scuole medie inizio ad aiutare mio padre in campagna e all’eta’ di 18 anni, contro la volonta’ dei miei genitori e falsificandone la  firma, presento domanda per la selezione al Corso Sottufficiali Piloti. Quando mi presento alla visita medica presso l’Istituto di Medicina Legale di Napoli ho un forte raffreddore. L’ufficiale medico otorinolaringoiatra mi chiede di ripetere le parole che pronuncia alle mie spalle e cosi’ faccio, almeno sono convinto di farlo, poi il medico emette un fischio che non sono in grado di ripetere poiche’non so fischiare. Forse per il raffreddore che limitava le mie capacita’ uditive o forse per il “fischio”, non sono ritenuto idoneo. Dopo circa sei mesi, nel novembre 1929,  ostinato nella mia determinazione, ripresento la domanda senza menzionare il precedente esito negativo, altrimenti non mi avrebbero riammesso alla selezione. Incontro lo stesso medico che mi riconosce e che mi chiede: “… ma tu non eri sordo?” e questa volta supero la selezione.

Da Capua a Ciampino, Ghedi, Campoformido
 Ai primi del gennaio 1930 inizio l’addestramento militare alla Scuola di Capua insieme ad altri 330 ragazzi. Ci insegnano la disciplina militare, a marciare e si studiano le materie correlate al volo: aerodinamica, motori, impianti, ecc. Veniamo alloggiati tutti insieme in un grande hangar. Divisi in plotoni di una cinquantina di allievi, marciamo e ci addestriamo all’uso delle armi. Alla fine del corso mi classifico al 130° posto. Poco dopo veniamo avviati ciascuno a diverse Scuole di Volo: Roma (Littorio), Ponte San Pietro e Portorose , dove inizia l’addestramento per conseguire i brevetti di volo civile di I° grado. Sono destinato all’aeroporto del Littorio (ora aeroporto dell’Urbe) ed il 20
 marzo 1930 effettuo il primo volo su AS1 mentre il 28 maggio 1930 decollo da solista dopo poco più di 7 ore di doppio comando.
Il 12 ottobre 1930 inizia il corso per il conseguimento del brevetto di Pilota Militare e veniamo trasferiti alla 2^ Squadriglia Allenamento Caccia di Ghedi, dove voliamo sull’aereo da  addestramento militare, il CR1 e poi transitiamo sul CR20 che e’ già’ un velivolo operativo, utilizzato nei Reparti.
Il 23 ottobre 1930, mi viene comunicata la nuova destinazione, la 96^ Squadriglia del IX Gruppo Aeroplani da Caccia del 1° Stormo di Campoformido, Udine.
A Campoformido inizio l’addestramento operativo vero e proprio, acrobazia, pattuglia, finta caccia ed addestramento bellico. Su questo aeroporto, utilizzato intensamente già’ durante la Prima Guerra Mondiale, sono passati i piu’ famosi piloti. Uno di loro e’ Rino Corso Fougier, convinto sostenitore dell’Acrobazia Collettiva che comanda il 1° Stormo Caccia dal 1928.
Fra i primi che conosco c’e’ il serg. Silvio De Giorgi, uno dei piloti della famosa “Squadriglia  Acrobatica di impiego nazionale” comandata da Ariosto Neri. De Giorgi, classe 1906, e’ scomparso nel 2004 a 96 anni e fino all’ultimo era solito ad intervenire a tutte le ricorrenze. Fece parte anche del Reparto Alta Velocita’ di Desenzano. L’acrobazia e’ di casa a Campoformido ma non esiste un addestramento vero e proprio, molte manovre si imparano guardando gli altri o provando e riprovando. Un giorno chiedo ad un collega piu’ anziano come si esegue un tonneau e questi mi risponde: “Semplice, prendi velocita’ poi cabri di circa 30 gradi, dai piede ed alettone e quando sei rovescio centra i comandi”. Convinto di non avere più problemi decollo, mi porto sulla verticale dell’aeroporto a circa 700 metri e provo la manovra ma centrando i comandi l’aereo continua a ruotare, abbassa il muso e scende in verticale, fermo la rotazione a circa 200 – 300 mt da terra, poi
 cabro per ritornare in quota e ripeto il tutto, ed ogni volta succede lo stesso. Il collega o non sapeva spiegarsi od il tonneau non l’aveva mai fatto! Quando atterro noto che il personale dell’aeroporto è fuori dagli hangar e guarda nella mia direzione: appena spento il motore si avvicina il Comandante di Squadriglia. Penso che voglia sapere cosa e’ successo ed invece mi da’ una bella strigliata e mi affibia una punizione di rigore di 15 giorni. Dopo tre giorni mi chiama l’Aiutante di Campo di Fougier, il magg. Raul Moore, latore di un messaggio del Comandante: ” … Non provare piu’ a bassa quota queste manovre. Hai della stoffa e farai strada. Per questa volta te la cavi con tre giorni di arresti!”.
Il 23 agosto 1931 giunge all’aeroporto di Campoformido il comandante della II Brigata da Caccia, col. Mazzucco, che passa in rassegna il 1° Stormo ed il 4° Stormo, quest’ultimo costituito nel mese di giugno per far fronte alle Grandi Manovre del prossimo agosto. Dalla fine di luglio il IX ed il X Gruppo si allenano per le Grandi Manovre dell’Armata Aerea che prevede la partecipazione di 900 velivoli ed il 24 agosto i CR20 dei due Gruppi si schierano, il IX Gruppo su Modena ed il X Gruppo su Rimini, per poi spostarsi su La Spezia, Milano, Mantova, Ancona, Pisa, Firenze, Terni e Bologna.

La collisione a terra
 Nel corso degli allenamenti, il 18 agosto 1931 sono appena atterrato mentre nel frattempo un Ca100 pilotato da un maggiore si appresta a  decollare. Mentre sto smaltendo velocita’ mi accorgo che l’altro velivolo “scarroccia”, interessando la mia zona. Tento allora un’azione evasiva ma la mia velocita’ e’ troppo bassa ed oramai l’altro velivolo mi si avvicina velocemente da sinistra con l’elica minacciosa che rischia di maciullarmi. Qualche secondo prima dell’impatto, con una “spedalata”, imbardo cercando di proteggermi presentandogli la coda ma l’elica mi “trita” letteralmente l’aereo fino a pochi centimetri dall’abitacolo: Fortunatamente non c’e’ alcun inizio d’incendio e nessuno rimane ferito. Il maggiore, facendosi forte del suo grado cerca di giustificarsi e vuole incolparmi ma l’inchiesta gli dara’ torto.

Le grandi manovre
Il 31 agosto 1931 ha luogo a Ferrara l’imponente Manifestazione Aerea e l’ingente numero di velivoli partecipanti comporta non pochi problemi ma un solo un incidente. Il 9 settembre il X Gruppo si trasferisce da Aviano all’aeroporto di Merna – Gorizia e subito dopo, il 28 settembre, anche il IX Gruppo, di cui faccio parte, lo segue da Campoformido.

A Gorizia
L’11 giugno 1932, il col. Amedeo di Savoia duca d’Aosta, figlio del generale Comandante della Terza Armata Emanuele Filiberto che nella zona tra Gorizia e Monfalcone aveva guidato le sue truppe nel conflitto del 1915-1918, assume il comando del 21° Stormo Osservazione Aerea dislocato sull’aeroporto di Gorizia. L’anno successivo, il 1° maggio 1933, il Duca assume il comando del 4° Stormo.
A Gorizia, con l’arrivo del 4° Stormo, continua e cresce lo spirito dell’acrobazia in formazione appreso a Campoformido. Le difficolta’ non sono poche, soprattutto con macchine dai motori poco brillanti. L’effetto della “coppia dell’elica” costringe inoltre ad un continuo uso del timone di direzione. A questo vanno sommate le difficolta’ che incontrano i “gregari” piu’ esterni della formazione che tendono a “sfilarsi” durante le virate poiche’ debbono percorrere una traiettoria piu’ lunga. Una particolarita’ dell’aeroporto di Gorizia e’ che il traffico in decollo ed atterraggio viene separato dividendo l’aeroporto in due zone, una a Nord, riservata alla Ricognizione ed una a Sud, riservata alla Caccia.
 Queste due zone sono a loro volta divise in altre due, una per gli atterraggi (al centro aeroporto) ed una per i decolli (all’esterno) e possono essere utilizzate per atterraggi e decolli in entrambi i sensi. Considerando la mole non indifferente di velivoli che si possono trovare contemporaneamente a circuitare sull’aeroporto (non c’era la radio), si comprende l’attenzione richiesta. Fortunatamente a Gorizia il comandante dello Stormo col. Felice Porro e’ favorevole alle iniziative dei piloti che “provano” nuove figure acrobatiche. Insieme al serg. Enzo Callegari proviamo il looping in coppia. Gli altri colleghi da terra ci osservavano per poi a loro volta imitarci. Callegari perira’ il 28 gennaio  1933 in un incidente durante le esercitazioni a fuoco al poligono di Aviano, impattando il terreno poco prima del bersaglio, a causa del complicato collimatore del CR20, un tubo con un oculare sistemato davanti al viso del pilota che riduceva la visuale.
Nel febbraio del 1932 vengono consegnati i nuovi CR Asso. “Asso” era il nome del nuovo motore della Isotta Fraschini, installato sul CR 20.
 Volerò quasi esclusivamente su questa macchina dalle prestazioni superiori fino al maggio del 1935. Transito per un breve periodo alla 90^ Squadriglia, poi alla 84^ e dal 3 giugno 1932 sono assegnato definitivamente alla 91^, la Squadriglia di Francesco Baracca che da lui ha ereditato il nome. Il 28 marzo 1934 il Duca d’Aosta e’ nominato generale di Brigata ed assume il comando del 1° Stormo di Campoformido e del 4° Stormo di Gorizia.
Il 3 maggio 1935 effettuo il primo volo, da Torino a Gorizia, su un CR32 nuovo di fabbrica consegnatomi dalla Fiat. Col passare del tempo miglioro le mie doti di pilotaggio il che, unito ad equilibrio e senso della disciplina, mi evitano probabilmente di seguire le sorti di quell’innumerevole numero di piloti che proprio a Gorizia persero la vita per incidenti di volo. Quando giunge a Gorizia il s.ten. Giuseppe D’Agostinis, di Cervignano, fresco d’Accademia, mi chiede consigli su come si eseguono certe manovre, consigli che gli sono utili nel migliorare le prestazioni della pattuglia acrobatica. Molti anni dopo, il 17 maggio 1975, ad un raduno al Castello di Gorizia nel ristorante “La Lanterna d’Oro”, abitualmente frequentato dai piloti del 4°, l’allora generale mi confida: “… Chianese, da te ho imparato tanto …”. Considerata la grande stima che ho sempre avuto per D’Agostinis, e’ stato uno dei piu’ graditi complimenti ricevuti durante la mia carriera.

Gli incidenti di volo e la “ribellione” dei piloti
 Uno dei pochi testimoni sopravvissuti di quei tempi, il sottufficiale specialista Enzo Vosca, ricorda che la media dei funerali a Gorizia nei periodi di massima attivita’, era di uno alla settimana. Le salme dei piloti venivano trasportate all’Ospedale Militare di via Ristori, oggi adibito ad alloggi per le famiglie, si officiava la cerimonia funebre ed infine le bare prendevano la via del paese di provenienza della vittima. Gli  incidenti a Gorizia raggiungono una frequenza tale che dell’aeroporto e nelle localita’ limitrofe non e’ raro incontrare cippi e lapidi che ricordano eventi nefasti.
Gli incidenti poi hanno un picco in primavera quando, dopo un periodo di ridotta attivita’ dovuto alle condizioni atmosferiche avverse, si riprende il normale ritmo di volo e la triste media di un funerale alla settimana a volte viene superata. Ma anche al lunedi’, quando ancora non si sono completamente smaltiti i postumi dei bagordi domenicali, gli incidenti aumentano ed un certo giorno il Comandante di Stormo sospende tutti i voli in quella giornata, ma dobbiamo comunque restare in serivzio. Questo provoca una sommossa. Non dovendo piu’ volare accogliamo malvolentieri la disposizione di essere costretti a rimanere in aeroporto al lunedi e chiediamo ai superiori di estendere il permesso almeno fino a mezzogiorno. Non veniamo accontentati ed il malcontento dilaga al punto che viene escogitata una protesta insolita, organizzata dal serg. Renzo Castelletti. Alla esibizione del 10 luglio 1935, alla presenza del gen. Francesco Pricolo, comandante della II Z.A.T. ed altre autorita’, ci accordiamo per volare in formazione “larga”. Non il solito metro o metro e mezzo tra velivolo e velivolo bensi’ 5-6 metri. Il X Gruppo aderisce alla protesta mentre il IX Gruppo sfila in formazione compatta. Le autorita’ ed il pubblico, nemmeno lo notano ma il Comandante di Gruppo ed i Comandanti di Squadriglia vanno su tutte le furie. Castelletti inoltre, dopo il decollo, raggiunta la formazione, si stacca e rientra in aeroporto simulando un malfunzionamento del motore. Castelletti paghera’ cara la sua iniziativa! Viene punito e alla prima occasione verrà trasferito al 6° Stormo. Una trentina di piloti sono consegnati ma un effetto comunque viene conseguito e dopo alcuni giorni le punizioni sono sospese e le richieste dei piloti accolte.

L’incidente di Cicillo
 In quegli anni ci si poteva prendere qualche liberta’ che oggi sarebbe impensabile: il territorio non era densamente abitato, la popolazione della zona si era abituata a vedere tutti giorni aerei in volo ed a volte assisteva con compiacimento ai voli a bassa quota od alle esibizioni. Per i piloti invece il rischio maggiore era essere individuati dai carabinieri che prontamente passavano il nominativo del velivolo al Comando d’aeroporto. Capitava cosi’ di assistere a Gorizia, sulla verticale di Piazza della Vittoria, alle acrobazie di un CR Asso od un CR32 e qualche volta perfino di una pattuglia che assordavano la tranquilla cittadina quando il regime dei motori era al massimo. Un incidente conclusosi felicemente accade nell’aprile 1936 ad un giovane ed inesperto sottufficiale pilota di origini napoletane, il serg. Luigi Iaccarino, soprannominato Cicillo, da poco allo Stormo. In un volo da “solista” su CR Asso, nell’effettuare un tonneau iniziato probabilmente con il muso troppo basso sull’orizzonte, mette l’aereo in posizione inusuale e non sapendone uscire sceglie di lanciarsi con il paracadute, atterra nei pressi dell’Isonzo mentre l’aereo va a schiantarsi sopra un casolare della periferia. Il Duca Amedeo d’Aosta, venuto a conoscenza dell’insolito incidente, un aereo perfettamente funzionante andato distrutto, convoca Cicillo e gli chiede spiegazioni. Quest’ultimo che ancora non si rende conto della gravita’ dell’accaduto risponde con la tipica cadenza partenopea: “Altezza, ho preso paura e mi sono lanciato. La Fiat fa’ un aereo al giorno, la mia mamma di Cicillo ne ha fatto uno solo!”. Il 18 febbraio un altro incidente insolito interessa un CR20 Asso che finisce sul tetto della casa di Tommasi e Cernigoj in via Duca d’Aosta n.28. Il pilota atterra con il paracadute, presso l’incrocio tra via  Duca d’Aosta e via Trieste, sul tetto della panetteria Viatori.

Il Duca d’Aosta
 A proposito del Duca, ricordo che aveva un CR 32 a sua disposizione custodito dalla 73^ o dalla 91^ Squadriglia. Quando decideva di andare in volo, l’Aiutante di Volo, ten. Aldo Tait, telefonava alla Squadriglia per preparare il velivolo. Il Duca arrivava fino sotto l’aereo con la macchina, non voleva “gente” intorno ma solamente il motorista. I comandanti di Squadriglia, cap. Giuseppe D’Agostinis e cap. Vincenzo Dequal, lo osservavano da lontano. Il serg. Enzo Vosca che era addetto al suo velivolo nel 1937, mi raccontava che, mentre lo aiutava ad imbragarsi e sistemarsi nell’obitacolo, il Duca era solito dirgli: “Vosca guarda, guarda come mi controllano. Non si fidano!”. Era un buon pilota, compatibilmente con le poche ore che poteva fare a causa degli innumerevoli impegni burocratici che lo assillavano. Appena arrivato allo Stormo, il Duca aveva chiesto al comandante di Stormo, t.col. Augusto Bonola, un pilota “esperto” per effettuare un paio di voli in coppia e  fui incaricato io. Dopo un briefing nel quale avevamo discusso le manovre da eseguire, siamo andati in volo ed abbiamo fatto un po’ di acrobazia, lui da leader ed io da gregario. Quando siamo atterrati mi domandò: “Chianese, come sono andato?”. Era una persona umile e carismatica. Quando qualcuno lo chiamava cerimoniosamente “Altezza”, lui rispondeva “Un metro e novantaotto!”.

Sotto i ponti
In questo clima quasi goliardico ad alcuni piloti piu “audaci” viene in mente di passare sotto i ponti. I ponti sull’isonzo non si prestano molto a questo rischioso esercizio. Qualcuno infatti tenta di passare sotto il ponte in pietra ad arcata unica di Salcano, ora in Slovenia, tra il Monte Sabotino ed il San Gabriele, ma il fatto di essere disposto obliquamente all’Isonzo ed in una gola chiusa, rende alquanto rischiosa la manovra e, per quello che so io, desistono. Qualcun altro “ci prova” sul Tagliamento ma non sempre i tentativi hanno successo. Un giorno volo in coppia con un collega, di cui non ricordo piu’ il nome, quando con un cenno della mano, non esisteva la radio, mi indica un ponte. Si allontana,  si abbassa a pelo del fiume e passa sotto l’arcata ma, non soddisfatto, cabra quasi in verticale, vira di 180° per ripetere il passaggio. Quando e’ con un assetto di 45° a picchiare si accorge che la manovra e’ impostata male. Tenta a questo punto di passare “sopra” il ponte ma l’aereo non ha abbastanza velocita’, comincia a “spanciare” e sfiora il ponte passando con la coda a circa un metro il parapetto del ponte e per un soffio non si schianta. Purtroppo non sarà così per il serg. Tommaso Diamare. Il 18 gennaio 1932, una pattuglia condotta dal ten. Ernesto Sanzin rientra a Campoformido dopo avere effettuato esercitazioni di tiro al poligono di Vivaro. Giunti all’altezza di Sequals, Diamare si stacca dalla formazione, passa sotto l’arcata centrale del ponte di Sequals, un ponte a tre arcate, effettua un looping, torna indietro lungo il letto del torrente Meduna e ripassa sotto l’arcata centrale, la più larga delle tre. Effettua un altro looping e si appresta a passare sotto l’arcata di destra, di luce alquanto ridotta rispetto a quella centrale. Fatalita’ vuole che un cavo di una linea telefonica, pendente dal’arcata, agganci il delicato compensatore fisso che sporge di una quindicina di centimetri sopra l’alettone destro e, spostandolo, comanda una violenta ed  incontrollabile rotazione del velivolo che si schianta sulla sponda sopraelevata di destra. Diamare, dotato di innegabili doti professionali, aveva rappresentato lo Stormo in numerosi meeting all’estero, con la Pattuglia Acrobatica del ten. Ariosto Neri. Le ripercussioni dell’incidente pesarono significativamente sul 1° Stormo. A Roma lo Stato Maggiore, che non apprezzava l’operato Fougier, punisce gli “acrobati” dello Stormo, costituendo a Bresso il Nucleo Alta Acrobazia e negando a Campoformido il titolo di rappresentanza fino ad allora detenuto. Ho conosciuto Diamare a Campoformido, aveva un’eccezionale padronanza del velivolo. Con il CR20, puntava gli hangar scendendo a poco piu’ di un metro da terra per poi cabrare e sfiorare la sommita’ della costruzione. Con l’aereo in salita effettuava tre quarti di tonneau che terminava alla velocita’ minima e poi, abbassando il muso, in scivolata, virava di 180° sorvolando nuovamente l’hangar.

L’acrobazia a Gorizia
 Un giorno il serg. Vittorio Romandini effettua un volo in coppia e sull’altro velivolo c’e’ un allievo ai primi voli da “solista”. Terminata la missione  in quota l’accompagna all’atterraggio provenendo da Ovest, dal lato della ferrovia. L’allievo e’ un po’ alto ed inoltre dopo la toccata si sposta  verso Romandini, quest’ultimo dà motore per portarsi avanti e non farsi investire dall’allievo ma cosi’ facendo allunga la corsa di atterraggio.
 Sarebbe ancora in tempo per dare tutto motore e riattaccare ma pensa: “Ce la faccio!”. Invece “non ce la fa”, il velivolo supera la fine del  campo, travolge la siepe, attraversa il vialetto sussultando paurosamente e si ferma con il muso appoggiato alla parete della palazzina degli  Uffici Amministrativi, situata 150 mt. a Sud dell’attuale ingresso, in mezzo ad una nube di polvere. Romandini si slaccia le bretelle, scende,  sposta i rami della siepe che il velivolo ha trascinato nella sua corsa e che gli impediscono il passaggio, si toglie la polvere di dosso e avanza  verso l’ingresso della palazzina e, rivolto al personale accorso nel frattempo dal gran fragore, ad alta voce esclama: “Sono venuto a ritirare lo  stipendio. E’ pronto?”. La coppia inseparabile Romandini-Renzi e’ un mito del 4° Stormo. I due sono scatenati, se ne inventano di tutti i colori  e la loro fantasia nel fare scherzi o organizzare baldorie non ha limiti. Sono inseparabili, al punto che si fidanzano e sposano con due ragazze dello stesso paese: San Lorenzo. Anche la morte li cogliera’ a breve distanza l’uno dall’altro. Renzi in Africa e Romandini poco dopo nei  pressi di Chioggia. Con il passare del tempo anch’io comincio a destreggiarmi bene con l’acrobazia ed una manovra e’ il mio forte. Solo io  riesco ad eseguirla con destrezza: il volo “a coltello”. Questa manovra consiste nel volare, a pochi metri da terra, con un’inclinazione di 90°, su  una traiettoria rettilinea. Non essendo l’ala in questa fase portante, il volo puo’ essere protratto solo per pochi secondi e con la pedaliera a  fondo corsa per sostenere il muso. La manovra riesce se e’ iniziata con la velocita’ piu’ alta possibile in modo da sfruttare quel poco di  portanza generata dalla fusoliera ed appena la velocita’ comincia a diminuire bisogna subito ruotare e livellare le ali. Se viene commesso  anche un piccolo errore c’e’ il rischio di “scivolare” e toccare il suolo con le immaginabili conseguenze. Sebbene altri abbiano piu’ volte
 tentato di imitarmi, solamente il collaudatore della FIAT e pilota del 1° Stormo, Guido Carestiato, vi riuscira’ qualche anno piu’ tardi ma con  macchine dalle prestazioni piu’ brillanti. Il primo pilota del 4° Stormo ad effettuare invece il tonneau lento il linea di volo e’ il ferrarese serg.  Romolo Cantelli che dopo la guerra si trasferirà in Venezuela e perdera’ la vita in un incidente automobilistico. Tra me e lui nasce uno spirito  di emulazione. Anch’io provo e riprovo i tonneau orizzontali, migliorandone l’esecuzione e poi provo farli in salita ed infine in “candela”  (verticali). Prendendo molta velocita’ e mettendo l’aereo perfettamente verticale ne riesco a fare un paio, prima di “sfogare” in una virata. Un  giorno, mentre da terra il ten. Mario Salvadori mi osserva, invece di uscire con una virata sfogata, mi capita che il velivolo sprofonda di coda su se stesso, sempre verticale, per poi effettuare una “scampanata”. Salvadori dopo l’atterraggio mi chiama, entusiasta della manovra che
 avevo eseguito e mi chiede di ripeterla, cosa che non mi riusci’ piu’. Oggi questa e’ una manovra caratteristica della PAN. La preparazione  teorica e’ molto superficiale e l’addestramento e’ basato principalmente sulle capacita’ dell’istruttore nel trasmettere la propria esperienza all’allievo, cosa poco frequente. Non esiste un addestramento standard e tutto si impara sulla propria “pelle” ed i migliori sono quelli che sopravvivono. Assisto un giorno ad un incidente rimastomi impresso per la sua drammaticita’. All’estremita’ Sud Ovest dell’aeroporto, in direzione dell’Isonzo, cinque CR20 stanno effettuando acrobazie ed improvvisamente, mentre sono alla sommita’ di un looping, il gregario esterno di destra entra in collisione con quello interno. Si vedono subito i due velivoli precipitare in fiamme. Uno dei due si schianta al suolo con il pilota probabilmente impossibilitato ad uscire perche’ ferito o bloccato nell’abitacolo. Dall’altro si vede il pilota che si lancia ed il paracadute si apre a circa 500 metri. Per fortuna sembra che almeno lui si salvi. Alcuni piloti e specialisti stanno osservando le acrobazie della formazione ed assistono all’incidente dal piazzale antistante gli hangar. Nonostante la perdita di uno dei due piloti, osservano con sollievo che almeno l’altro e’ riuscito a lanciarsi ma improvvisamente trasaliscono. Il paracadute del superstite e’ a circa 300 metri da terra quando si notano le funicelle che bruciano. E’ questione di pochi secondi e tutti sperano che il paracadute tenga ed invece a meno di 100 metri lo sfortunato pilota si sfila dal paracadute e si schianta a terra proprio quando oramai era ad un palmo dalla salvezza.

Il Serg. Ugo Corsi
 Molti incidenti avvengono per spirito di emulazione di chi sottovaluta le proprie doti e tenta di imitare i piloti piu’ esperti che dimostrano un particolare istinto per il volo e che eseguono con naturalezza anche le manovre piu’ difficili. Fra questi ultimi c’e’ il serg. Ugo Corsi, soprannominato “Fufo” per il suo volto da ragazzino. Ha un istinto innato per il volo. Di lui si dice che sia stato il miglior pilota acrobatico del 4° Stormo e forse il migliore di tutta l’Aeronautica. Ha fatto parte, nel ’33 e ’34, della squadriglia di “Alta Acrobazia” del ten. Tessore che utilizzava i Breda 19, velivolo dotato di “doppio” carburatore ed idoneo al volo rovescio. Era abilissimo nel controllare il velivolo alle basse velocita’. Con il Br 19, appena staccato da terra riduceva il motore e con il muso alto “razzolava” per il campo ad un metro dal suolo. Poi si allontanava, faceva quota e, picchiando in volo rovescio fino a pochi metri da terra, cabrava, effettuava un mezzo looping ed al culmine completava la manovra con un tonneau. Infine planava e si portava all’atterraggio con una serie di scivolate d’ala che gli facevano perdere quota rapidamente. Fu’ il pilota piu’ abile ma anche il piu’ sfortunato del 4° Stormo. Poco dopo essere giunto in Spagna cade prigioniero e trascorre un durissimo periodo in prigionia. Al “primo” combattimento in Africa, da solo contro 5 Hurricane ne abbatte 3 e poi a sua volta viene abbattuto precipitando in mare. Il suo aereo ed il suo corpo, nonostante le ricerche, non verra’ mai ritrovato. Cosi’ lo descrive … Luigi Monti: … sembrava nato con l’aeroplano, solista acrobatico da lasciare col fiato sospeso, … In pattuglia mi stava così vicino da sporcare l’ogiva della sua elica con la vernice rossa del tricolore della mia coda!

Il capitano Mario Rossi
Chi comandava la Squadriglia doveva essere un ufficiale, un capitano e spesso veniva scelto non a Gorizia ma al Ministero a Roma, dove di acrobazia aerea non erano certamente esperti come a Gorizia. Poteva capitare pertanto che la scelta cadesse su un pilota che proveniva dai bombardieri. Ricordo alcuni episodi divertenti vissuti con il cap. Mario Rossi, leader della mia Squadriglia, che per la sua provenienza dai bombardieri non eccelleva nell’acrobazia: durante il volo in formazione, quando “tiravamo” un looping, nel momento in cui l’aereo era con il muso in verticale, si trovava spesso in difficolta’, rimaneva “appeso”, ed allora ero io o Castelletti che con una leggera oscillazione di alettoni o d’equilibratore gli indicavamo come manovrare. Il cap. Rossi con la coda dell’occhio notava i nostri “segnali in codice” ed obbediva ma non menziono’ mai con nessuno di questo tacito e ben gradito aiuto. Con questa “scambio” di ruoli la Squadriglia comunque faceva la sua bella figura senza che alcuno da terra se ne accorgesse. A volte, insieme a Castelletti ci divertivamo a “stringerlo” nella formazione e Castelletti con la punta dell’ala gli “toccava” volutamente gli alettoni. Il cap. Rossi, irrigidito sui comandi, imprecava e giunti a terra si infuriava e ci inquadrava ma alla fine conveniva anche a lui far passare il tutto in silenzio.

La 4^ Giornata dell’Ala, Roma
 Il 28 marzo 1936 e’ prevista la nostra partecipazione alla “4^ Giornata dell’Ala” sull’aeroporto del Littorio. Decolliamo il 25 marzo da Merna per Roma con scalo a Rimini. Siamo due squadriglie di CR 32, la 73^ comandata dal cap. Antonio Moscatelli e la 91^ dal cap. Mario Rossi. Nei pressi di Fabriano incontriamo condizioni meteorologiche sfavorevoli e la formazione si viene a trovare davanti a due strati di nuvole, uno basso ed uno piu’ alto. I velivoli non sono dotati di strumenti idonei alla navigazione strumentale ne tanto meno di impianti antighiaccio. Il cap. Moscatelli scende di quota, riesce a passare sotto le nubi e continua il volo per Roma. Il cap. Rossi che guida la mia Squadriglia, comincia invece a salire ed entra nello strato di nubi superiori. Improvvisamente non vediamo piu’ nulla, sembra di volare dentro una nebbia fittissima. Ci stringiamo ancora di piu’ al capo formazione. Dopo alcune decine di secondi tutti i velivoli finiscono in perdita di velocita’ e cominciano a perdere quota. Mi rendo conto che sto scendendo velocemente dall’altimetro che gira vorticosamente e dal variometro a fondo scala a scendere. Mentre continuo a perdere quota il pensiero va al rischio di una collisione con gli altri velivoli che devono essere intorno a me ma che non vedo. C’e’ inoltre il rischio di “spiaccicarmi” da un momento all’altro sulla cima di una montagna. Sempre dentro le nubi, intravedo per un attimo un altro velivolo a circa una quindicina di metri che pure lui gira su se stesso (poi verro’ a sapere che era Romandini) ed istintivamente “tiro” violentemente per non investirlo con il risultato di entrare in vite. Rimettersi da una vite in nube e con l’ausilio della sola “pallina e paletta” non e’ una cosa facile ed infatti riesco a rimettermi un paio di volte per entrarvi subito dopo dalla parte opposta. Nel frattempo ho perso piu’ di 2000 metri ed e’ solo una questione di secondi, il terreno e’ vicino. Abbandono i comandi e comincio a slacciarmi le bretelle per lanciarmi. Quasi contemporaneamente l’aereo esce dalla vite, la nuvolaglia si rarefà e sotto di me appare una vallata. Un brivido mi corre lungo la schiena nel vedere che sono uscito vicino ad una montagna la cui cima, piu’ alta di me, scompare minacciosa fra le nubi.
Pure Romandini finisce in una vallata ma vi si trova intrappolato perche’ le nubi non gli permettono alcuna via di uscita ed alla fine e’ costretto ad un atterraggio di fortuna. Il velivolo si distrugge completamente nell’impatto ma lui ne esce incolume. Quello che ci fa comprendere il rischio corso e’ che, dopo la nostra mancata collisione, con i velivoli fuori controllo ed in caduta verticale, io sono uscito in una vallata e Romandini in un’altra. Potevamo finire entrambi sulla cima della montagna! Alla fine dopo una bella dose di “strizza”, usciti dalla maledetta nube, tutti i velivoli della mia squadriglia riescono, uno alla volta, a ricongiungersi e dirigere su Roma, salvo Romandini che tornera’ in treno a Gorizia. Il 28 marzo, la nostra esibizione a Roma, con i CR 32 nuovi fiammanti consegnatici da pochi mesi, ottiene un grande successo. Oltre a Mussolini sono presenti il Duca d’Aosta , il Primo Ministro ungherese, il corpo diplomatico accreditato, autorita’ civili e militari ed un folto
 pubblico.

La manifestazione a Budapest
 Dal 25 maggio cominciamo ad allenarci quasi tutti i giorni in previsione della manifestazione aerea che si svolgera’ a Budapest il 14 giugno 1936. La pattuglia acrobatica e’ composta da due squadriglie di CR 32. La prima con il cap. Mario Viola (73^Sq), s.ten. Vittorio Pezze’ (73^Sq), serg.m. Alberto Montanari (73^Sq), serg.m. Norino Renzi (73^Sq), serg.m. Ugo Corsi (90^Sq) e la seconda con il cap. Mario Rossi (91^Sq), ten. Ernesto Monico (84^Sq), serg.m. Raffaele Chianese (91^Sq), serg.m. Vittorio Romandini (91^Sq), serg.m. Alberto Carini (91^Sq). Sono tutti voli abbastanza impegnativi di circa 40 minuti che si svolgono in genere sull’aeroporto di Ronchi. L’11 giugno partiamo da Gorizia e dopo 1 ora e 10 minuti siamo a Szombathely. Il giorno dopo proseguiamo per Budapest dove arriviamo in 40 minuti di volo. Il 13 giugno effettuiamo le prove sul campo di Matyasfold ed il giorno successivo, ha luogo la manifestazione. Il successo e’ enorme e l’accoglienza riservataci e’ splendida. Conservo ancora il portasigarette d’argento che in tale occasione ci fu donato. Il 18 giugno rientriamo a Gorizia
 facendo nuovamente scalo a Szombathely.

La consegna dei CR 32 all’Ungheria
 Il Governo ungherese, convinto della validita’ del CR32, ordina un certo numero di esemplari ed effettuo cosi’ alcuni voli di consegna con la pattuglia incaricata del trasferimento. Decollati da Gorizia, sorvoliamo la catena alpina, imbocchiamo la vallata austriaca ed improvvisamente la visibilita’ inizia a ridursi. Il cap. Rossi, che guida la formazione, invece di invertire la rotta, scende. La visibilita’ continua ad abbassarsi e cosi’ pure il tetto delle nubi che ci costringono a volare raso terra. Improvvisamente sfioro una casa a circa sette metri alla mia sinistra ed alla stessa altezza. A questo punto decido di mollare gli altri, do’ tutta manetta ed inizio una rapida salita dentro le nubi con il terrore di andare a sbattere da un momento all’altro contro le pareti di una montagna. Dopo un terrificante minuto durante il quale credo di non aver respirato, foro le nubi e sono finalmente “fuori”. Passano non piu’ di trenta secondi ed ecco, uno alla volta, schizzare dalla sommita’ delle nubi tutti gli altri velivoli. Anche per questa volta e’ andata bene!. Ci riportiamo in formazione e proseguiamo per la nostra destinazione. “Sto capitano Rossi ce ne combina sempre una nuova!”. Un giorno il cap. Rossi viene richiamato a Campoformido e ci abbandona. A Campoformido ai primi voli in formazione, senza l’assistenza dei due fidi gregari di Gorizia, viene “a galla” tutta la verita’. E’ una sorpresa per tutti, tanto piu’ sapendo che e’ un pilota proveniente dalla Scuola d’Acrobazia di Gorizia e che e’ stato leader di una Squadriglia Acrobatica. In seguito mi riferiranno che alla domanda: “Chi ti ha insegnato a fare l’acrobazia?” ha risposto candidamente: “Chianese e Castelletti”. Il cap. Rossi perira’ durante il Secondo Conflitto Mondiale in un incidente aereo occorso sullo Stromboli mentre rientrava in licenza dall’Africa con un volo di linea.

Una missione speciale
 Ai primi di agosto del 1936, il Generale di Divisione Aerea, Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, comandante della Divisione Aerea “Aquila” con sede a Gorizia e che comprende la I Brigata Aerea con l’8° e 14° Stormo e la III Brigata Aerea con 1° e 4° Stormo, raduna tutti i piloti e dopo un breve discorso chiede dei volontari per una “missione speciale” in un paese straniero non specificato, della durata di “un mese” o poco piu’. Conclude con: “… chi si offre volontario per questa missione faccia un passo avanti”. Tutti noi facciamo un passo in avanti e ci offriamo volontari ma solo alcuni vengono scelti per formare la prima “spedizione”. Tra questi, oltre al sottoscritto, c’e’ il s.ten. Giorgio Franceschi ed il serg. Manlio Vivarelli. Pochi giorni dopo, il 7 di agosto, insieme ad altri piloti del 1° Stormo di Campoformido e del 6° Stormo di Bresso ed alcuni specialisti, partiamo in treno e giungiamo a La Spezia dove siamo imbarcati, senza dare troppo nell’occhio, su una nave che ci sta
 attendendo. La missione deve rimanere segreta ed e’ composta dai piloti: s.ten. Dante Olivero (6° Stormo), s.ten. Adriano Mantelli (1° Stormo), s.ten. Giorgio Franceschi (4° Stormo), serg. Raffaele Chianese (4° Stormo), m.llo Bruno di Montegnacco (1° Stormo), serg. Gian Lino Baschirotto (1° Stormo), serg. Achille Buffali (6° Stormo), serg. Raul Galli (1° Stormo), serg. Manlio Vivarelli (4° Stormo) e dagli specialisti: Cresti, Brunetto, Gerbino Grego, Barzacchi. Solo a bordo ci viene comunicata la destinazione e lo scopo della missione. Il paese e’ la Spagna e dovremo sostenere gli spagnoli insorti contro la Repubblica, guidati dal generale Francisco Franco. La missione prevede inoltre l’arruolamento nella Legione Straniera spagnola “El Tercio” in quanto il Governo italiano non vuole ufficialmente schierarsi dalla parte degli insorti. Le disposizioni sono inoltre che in caso di cattura da parte del nemico non bisogna rivelare l’appartenenza alla Regia Aeronautica. La nostra “spedizione”, al comando del ten. Dante Olivero e’ la prima a lasciare il porto di La Spezia. Giunto a bordo, mi viene consegnato un passaporto con false generalita’, il mio nuovo nome e’ “Giglio”. La nave sulla quale siamo imbarcati e’ una bananiera spagnola, l’Ebro, che viene reimmatricolata Aniene e sulla quale vengono imbarcati anche nove caccia CR32, altrettanti piloti, due motoristi, due montatori, un armiere, ricambi, armi, munizionamento, 5 carri leggeri Ansaldo CV35 e relativi equipaggi. Il 10 agosto, poco dopo aver lasciato La Spezia, riceviamo via radio l’ordine di interrompere il viaggio e dirigere su Cagliari dove veniamo fatti ancorare in rada, fuori del porto. Ai servizi segreti italiani erano giunte voci che l’equipaggio, di nazionalita’ spagnola, stava complottando per ammutinarsi con il fine di attraccare in un porto in mano ai Repubblicani e consegnare la nave con tutto il suo carico. Noi siamo tenuti all’oscuro di tutto anche se abbiamo il sentore che qualcosa di strano stia accadendo. L’equipaggio e’ preso in consegna da agenti del SIM (Servizio Informazioni Militari) e gli interrogatori e le indagini durano circa una settimana che trascorriamo annoiandoci e facendo qualche tuffo dalla nave. Alla fine, dopo la sostituzione dell’equipaggio spagnolo, la nave riprende la rotta verso Gibilterra, costeggia il Portogallo ed approda a Vigo, in Galizia (Nord Ovest della Spagna), la notte tra il 26 e 27 agosto, dopo 20 interminabili giorni trascorsi in mare. Il viaggio non e’ stato privo rischi e solamente all’arrivo lo sappiamo. Nei pressi di Gibilterra, nella notte tra il 23 e il 24 agosto, siamo stati intercettati da una nave da guerra Repubblicana ma fortunatamente la nostra Marina aveva provveduto a farci scortare “discretamente” da un incrociatore che ha fatto desistere
 l’unita’ spagnola da eventuali tentativi di attacco. Poco dopo la nostra partenza, il 10 agosto, sempre da La Spezia, si appresta a lasciare il molo un’altra nave, l’Alicantino, poi reimmatricolata Nereide, con un’altra spedizione di dodici piloti ed altrettanti CR32 al comando del cap. Vincenzo Dequal, del 1° Stormo, con destinazione Melilla, in Marocco, ove giungera’ nella notte tra il 13 e 14 di agosto. In sieme a Dequal c’e’ il s.ten. Ernesto Monico (4° Stormo), s.ten. Victor Hugo Ceccherelli (1° Stormo), s.ten. Giuseppe Cenni (1° Stormo), serg. Giovanni B. Magistrini (1° Stormo), serg. Sirio Salvadori (4° Stormo), serg. Giuseppe Avvico (4° Stormo), serg. Guido Presel (6° Stormo), serg. Adamo Giuglietti (1° Stormo), serg. Vincenzo Patriarca (4° Stormo), serg. Bruno Castellani (6° Stormo), serg. Angelo Boetti (1° Stormo).

Lo sbarco e l’inizio della missione
 Nonostante la spedizione di Dequal parta dopo di noi, raggiunge il Marocco prima del nostro arrivo a Vigo in quanto non deve risalire tutta la costa del Portogallo e non ha subito il ritardo dovuto al cambio di equipaggio. La sera stessa del 14 agosto gli aerei imballati sono già’ all’interno dell’aeroporto di Nador. Il primo CR32 assemblato vola il 17 agosto con ai comandi il s.ten. Victor Hugo Ceccherelli. Il 27 agosto, a Vigo, terminate le operazioni di sbarco dell’Aniene, veniamo caricati insieme ai velivoli e tutto l’altro materiale su un treno antidiluviano che, viaggiando a poco piu’ di dieci chilometri orari, ridiscende a Sud, lungo il confine con il Portogallo, con destinazione Caceres. Si poteva tranquillamente scendere dal treno, soddisfare le nostre necessita’ fisiologiche e risalire sull’ultimo vagone. Dalla base di Caceres, in Extremadura, la sera del 28 agosto veniamo trasferiti, a bordo di un trimotore Ju 52, a Sevilla – Tablada dove ci ricongiungiamo con i colleghi
dell’altra spedizione, giunti un paio di settimane prima a Melilla – Nador. Manca purtroppo all’appello il primo caduto, il ten. Ernesto Monico, pilota del 4° Stormo, catturato ed ucciso il 31 agosto dai repubblicani dopo essersi lanciato con il paracadute.

La morte di Monico
 Il 28 agosto, al s.ten. Monico giunge l’ordine di trasferirsi, con il serg. Bruno Castellani, da Salamanca a Caceres, a disposizione del comando nazionalista. Nel tardo pomeriggio del 31 agosto, il comando dispone una missione ricognitiva delle basi aeree repubblicane madrilene. Monico e Castellani sorvolano a lungo la capitale ed i campi di Barajas, Alcalà de Henares, Getafe, Cuatro Vientos annotando quanto rilevato sulla consistenza ed attivita’ delle basi sorvolate. Nel corso del rientro, vengono sorpresi ed abbattuti da quattro caccia avversari. Castellani, e’ costretto ad effettuare un atterraggio d’emergenza ma riesce a raggiungere le proprie Iinee. Monico ha il suo CR 32 incendiato e si deve lanciare. Catturato da miliziani, alla sua richiesta di esser messo in contatto con l’ambasciata, viene giustiziato. I suoi uccisori verranno successivamente fucilati da un Tabor marocchino, su segnalazione della popolazione locale, dopo la conquista di Toledo. A Monico viene
 conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. I suoi compagni di Squadriglia per ricordarlo dipingono sulle fusoliere il motto “MONICO PRESENTE!”.

L’asso spagnolo Joaquin Garcia Morato
 Il cap. Joaquin Garcia Morato, assegnato il 5 settembre alla 1^ squadriglia, è un famoso pilota spagnolo che con la conoscenza dell’orografia della Spagna sara’ estremamente utile ai piloti italiani nei voli di ricognizione. L’arrivo di Morato e’ rimasto famoso per un simpatico “incidente” dovuto al nome di Dequal che in spagnolo vuol dire “di quale”. Giunto al campo di Tablada, dopo i convenevoli chiede al cap. Ruggero Bonomi: Quien es el comandante de la Primera Escuadrilla?
 (Chi e’ il comandante della 1^ squadriglia?)
 “Dequal” gli risponde Bonomi e Morato ripete:
 “de la Primera Escuadrilla”
 “Dequal !” ripete Bonomi
 “de la Primera Escuadrilla!” insiste Morato
 “Dequal” ripete per l’ennesima volta Bonomi
 Morato si volta perplesso verso il collega spagnolo, il quale chiarisce l’equivoco:
 “Dequal es el nombre del comandante”
 Il tutto si conclude con una risata. Lo stesso giorno Morato chiede di provare un CR 32 che gli viene messo subito a disposizione e dopo un breve briefing sulle caratteristiche del velivolo e sul funzionamento degli impianti avvia il motore e comincia a rullare. Si forma un gruppetto di curiosi e lo osserviamo decollare. Si allontana per un paio di minuti e poi ritorna sul campo, effettua un paio di virate, dei tonneau e dei looping con una disinvoltura tale da non sembrare affatto un pilota al primo volo su un CR32. Si allontana nuovamente ed infine punta sull’aeroporto per portarsi all’atterraggio. Si presenta a circa 200 mt di quota, molto vicino al campo. Qualcuno tra noi istintivamente commenta:
 “E’ troppo alto, non ce la puo’ fare!”
 In effetti, a quella distanza e’ troppo alto e se continua rischia di “toccare lungo” e finire fuori campo. Il CR 32 non ha i flaps e l’avvicinamento deve necessariamente avere una pendenza non troppo ripida. Qualche secondo dopo inclina il velivolo da una parte e porta il timone direzionale a fondo corsa dalla parte opposta. Questa manovra detta “imbardata” e’ un volo a “comandi incrociati”, scoordinato e non istintivo che richiede una padronanza della macchina, soprattutto a bassa velocita’. Subito dopo la ripete dall’altro lato e poi ancora, “sprofondando” fino a terra. L’aereo in effetti perde rapidamente quota e mette le ruote all’inizio del campo. E’ stata un’eloquente presentazione per un grande asso qual’era Morato.

Sevilla – Tablada ed il primo incidente in territorio spagnolo
 A Sevilla gli ufficiali vengono alloggiati nell’Hotel Cristina mentre noi, sottufficiali, nell’Hotel Moderno. Sono due lussuosi alberghi dei quali purtroppo non possiamo godere a pieno i comfort in quanto tutto il personale, piloti compresi, deve recarsi alle cinque del mattino in aeroporto per riassemblare i velivoli e fare ritorno a notte inoltrata. Il mattino del 9 settembre, intorno alle 11.00, il serg. Achille Buffali ed io decolliamo con Morato capo pattuglia. La destinazione e’ Caceres, a sud-ovest di Madrid, dove eravamo giunti alcuni giorni prima con il treno da Vigo. Insieme a noi c’e’ anche la pattuglia di Dequal. Una terza pattuglia con i rimanenti piloti parte piu’ tardi ai comandi di Mantelli. In totale nove velivoli per dare inizio alle missioni di protezione e cooperazione sul fronte di Oropesa – Talavera de la Reina. Poco dopo ci raggiunge il resto del personale di terra. Siamo da poco a Caceres che ci giunge la terribile notizia: alle ore 18.30 il tenente Olivero, durante un volo di prova , eseguendo un tonneau a pochi metri da terra, toccava con un’ala e si disintegrava nei pressi dell’aviorimessa. Dopo la scomparsa di Olivero, la 1^ e la 2^ Squadriglia della Cucaracha sono poste al comando del capitano Dequal. A Caceres iniziano i primi voli di guerra e vengo assegnato quale gregario proprio della pattuglia del capitano Morato. Non si fa piu’distinzione tra 1^ e la 2^ Squadriglia e gli equipaggi sono misti. Avro’ anche occasione di volare con un altro famoso spagnolo, il cap. Julio Salvador Diaz e con il cap. Jesus Angel Salas Larrazabal. Tutti piloti che arriveranno ai vertici dell’Aviazione: Morato diverra’ Capo delle Operazioni della Caccia mentre Salas, finita la guerra, assumera’ l’incarico di Capo di  Stato Maggiore della “Aeronautica Spagnola”.

Il primo combattimento ed il primo abbattimento
 L’11 settembre, all’alba una pattuglia composta da Dequal, Avvico e Patriarca decolla per una “crociera di protezione” su Talavera e attaccano tre Breguet. Dequal ne abbatte uno ed Avvico un altro. Patriarca abbatte invece un Nieuport. Poco dopo partiamo Morato, Buffali ed io. Giunti su Talavera scorgiamo tre bombardieri nemici Breguet, scortati da due caccia a sinistra e da altri due a destra. Buffali si impegna con i due di sinistra e ne abbatte uno. Morato ed io impegnamo i due caccia di destra. Morato si mette in coda ad uno e lo abbatte. Io inseguo l’altro e mi porto in coda e dopo alcune virate strette, faccio partire due raffiche ed alla seconda mi rendo conto di averlo colpito poiche’ vedo, tra il fumo delle traccianti, alcuni pezzi di lamiera staccarsi e del fumo bianco, forse vapori di benzina. Il velivolo precipita e non vedo il pilota uscire. Dopo la guerra sapro’ che era un inglese, si chiamava Cartwright. Un’altra pattuglia si alza in volo: Franceschi e
 Magistrini per la scorta ad uno Junkers. A una ventina di chilometri nell’interno del territorio nemico avvistano due Dewoitine e tre Nieuport che puntano verso lo Junkers. Franceschi impegna due Dewoitine e ne abbatte uno. Magistrini attacca i tre Nieuport, abbatte uno e pone in fuga gli altri due. Sette apparecchi abbattuti e uno probabile. Non e’ male!

Il secondo abbattimento
 Il mattino del 16 settembre assieme a Mantelli e Franceschi decolliamo da Caceres diretti sul fronte. Improvvisamente compaiono tre caccia Dewoitine che volano con prua Sud Ovest e li ingaggiamo a Sud di Talavera nella zona in cui alcuni mesi prima era caduto Monico. Colpisco subito un Dewoitine e lo inseguo per alcuni secondi mentre precipita per accertarmi di averlo abbattuto. Quando lo abbandono al suo destino sono ad una quota molto piu’ bassa e mentre mi appresto a risalire mi trovo inaspettatamente in coda ad un velivolo dipinto di rosso (che sapro’ successivamente essere un Miles M2H). Alla distanza di 100 metri sparo una breve raffica di circa una trentina di colpi nella sua direzione e per poco non colpisco Franceschi che improvvisamente mi taglia la rotta, forse anche lui inseguiva lo stesso velivolo. Rimango colpito dal fatto che il velivolo, in leggera discesa, non manovra per sfuggire e pertanto mi affianco a circa una decina di metri. E’ un monoplano ad ala bassa con due sedili in tandem. I piloti hanno la testa rivolta verso il cruscotto e sono immobili. L’aereo va aumentando il suo angolo di discesa. Realizzo solo ora che si tratta di un velivolo non armato, probabilmente civile e rammaricandomi di essere stato troppo tempestivo nell’aprire il fuoco, manovro per ricongiungermi alla mia squadriglia. Ritornato al campo stendo rapporto sul combattimento e tralascio l’episodio dell’aereo disarmato in quanto mi sembra sconveniente segnalarlo anche perche’ non ho verificato che fine abbia fatto. Ne frattempo giungono dal fronte le segnalazioni degli abbattimenti rilevati dai nostri osservatori a terra che riportano anche un velivolo da ricognizione con due piloti a bordo abbattuto. A questo punto mi rivolgo al comandante Dequal e riferisco dell’episodio del velivolo rosso che
 prima aveva omesso. Lui non sente ragione, si rifiuta di assegnarmi l’abbattimento e lo accredita alla Squadriglia. Questo episodio mi lascera’ a lungo amareggiato, non tanto per la mancata assegnazione dell’abbattimento quanto perche’ dimostrava la poca fiducia di un comandante nei confronti di un suo subalterno, non contribuendo ad instaurare un buon rapporto proprio in momenti difficili come quelli da noi affrontati. Il pilota del Dewoitine da me abbattuto si chiama Doherty e risulta sopravvissuto al combattimento. Durante questa missione Franceschi perdera’ l’orientamento e non rientrera’ alla base.

Ad Avila con Julio Salvador Diaz
 Un giorno decollo in pattuglia di tre CR32, Julio Salvador Diaz ed un altro pilota, non ricordo se Buffali o Avvico, con destinazione un aeroporto in quota, Avila. Durante la breve sosta ad Avila, incontro degli amici italiani che sono in compagnia di alcune ragazze spagnole. Ero gia’ conosciuto nell’ambiente aeronautico per aver fatto parte della Pattuglia Acrobatica e mi chiedono di dare qualche dimostrazione della mia abilita’. D’accordo con l’altro gregario, prima di ripartire da Avila, chiedo allo specialista di simulare qualche difficolta’ alla messa in moto dell’aereo di Salvador in modo di avere a disposizione quattro o cinque minuti per effettuare quello che avevo in mente. Sull’aeroporto sono schierati gli aerei della caccia tedesca ed accanto i piloti attendono per osservare la partenza dei nostri CR32 che allora erano considerati delle macchine dalle prestazioni eccezionali. Decollo da solo: appena staccate le ruote da terra mantengo l’aereo raso al suolo per prendere
 velocita’, cabro bruscamente, effettuo una virata “sfogata” ed inverto la prua di 180° picchiando e puntando contemporaneamente verso gli aerei tedeschi ed i loro i piloti che mi stanno osservando. Mantenendo sempre l’aereo ad un paio di metri da terra, con tutta manetta dentro, accelero alla massima velocita’ e, ad un centinaio di metri da loro, cabro nuovamente. L’intenzione e’ di effettuare un “Immelman” (un mezzo looping con mezzo tonneau alla sommita’) ma quando sono in cima al mezzo looping, a testa in giu’, mi rendo conto che la velocita’ e’ troppo bassa e che il mezzo tonneau verrebbe a “botte” (sprofondato), invece che in linea orizzontale. Decido allora di completare il looping, cioe’ “chiudere” il cerchio puntando il terreno ma, quando sono con il muso verticale e comincio a “tirare”, sento i comandi “laschi” e l’aereo che vibra spanciando e rispondendo malamente ai comandi. Non potevo sapere che questo comportamento del velivolo era normale su un
 aeroporto a 1150 metri di quota. Mi ero cacciato in una situazione dalla quale in genere non si esce vivi. Fortunatamente ho la prontezza di spirito di non reagire in modo istintivo e “non” continuo a tirare altrimenti mi “spiaccicherei” a terra come un uovo. Mentre il terreno si sta avvicinando velocemente sono ancora con il velivolo in posizione quasi verticale; per qualche interminabile secondo allento i comandi di quel tanto da allargare il “raggio” del looping ed evitare che l’aereo stalli e poi, tirando piu’ dolcemente possibile, ma non troppo, riesco a “chiudere” il looping e sfioro il terreno passando a poco piu’ di tre metri, invece della trentina usuali. Continuo mettendo l’aereo a “coltello”, inclinato lateralmente di 90° sfilando diritto e veloce davanti ai piloti tedeschi. Con la tremarella alle gambe e qualche goccia di sudore sulla fronte, circuito sull’aeroporto attendendo l’aereo di Salvador e dell’altro gregario per poi rientrare insieme alla base. A Caceres, Salvador che
 aveva assistito da terra a tutta la scena, spento il motore, si avvicina al mio aereo e mentre sono ancora intento a slacciare le bretelle, batte un paio di colpi con la mano sulla fusoliera: “Hola amigo, yo vi todo! A Avila usted ha tenido suerte. Ahora tienes que pagar de beber a todos!” (“Ei amico, ho visto tutto! Ad Avila ti e’ andata bene. Devi pagare da bere a tutti!”). In effetti solo un “occhio esperto” come il suo poteva notare la difficolta’ che avevo incontrato ed il rischio corso durante l’esecuzione di quella manovra. Effettivamente tutto sommato era andata “molto bene”, salvo per la “faccia” persa e la “bevuta” da pagare.

In volo con Garcia Morato
 Dopo tanti anni mi e’ difficile ricordare i voli che ho effettuato da gregario di Garcia Morato. Ho provato farlo, trascorsi quasi 70 ann,i confrontando i dati del mio libretto di volo con quelli riportati da Morato sul suo libro “Guerra en el aire”. Purtroppo allora non si era molto dettagliati nel riportare i dati dei voli sui libretti personali; non eravamo ad esempio soliti segnare l’ora del decollo ed atterraggio ma solamente il tempo di volo complessivo. Sul mio libretto addirittura per una buona parte del mese di ottobre, non ricordo perche’, sono indicate le missioni ma non il giorno. Un particolare inoltre che mi ha colpito leggendo il suo libro e’ che non menziona mai i piloti italiani, nonostante che tutti i successi determinanti per l’esito della guerra fossero dovuti quasi esclusivamente all’Aviazione Legionaria. E’ come si fosse dimenticato che i velivoli, CR 32, sui quali volava gli venivano “forniti e riforniti” dagli italiani. Probabilmente tutto cio’ faceva parte di una volonta’ di far apparire al popolo spagnolo che la guerra era stata vinta solamente grazie agli spagnoli. Volare in pattuglia con il capitano Garcia Morato mi da un senso di sicurezza poiche’ conosce perfettamente il terreno che sorvoliamo. Con lui effettuo diverse missioni di mitragliamento ed appoggio alla fanteria. Alcune di queste hanno come teatro le strade di Madrid, tagliata in due dal fronte. Per chi non conosce bene la citta’ c’e il rischio di colpire le proprie truppe o i cittadini inermi. Morato in occasione del “briefing” prima di queste missioni e’ solito informarci, Buffali ed il sottoscritto, che non dobbiamo sentirci obbligati a sparare sulla citta’ dove esiste questo rischio. Lui inoltre ha la famiglia, madre, sorella, parenti ed amici che vivono proprio a Madrid e queste missioni sulla sua citta’ non le fa certamente a cuor leggero. Morato e’ un pilota dalle doti eccezionali. Durante le missioni effettuate insieme a lui, un pilota repubblicano ci attendeva in prossimita’ della nostra base, quando oramai con poco carburante a bordo, ci accingevamo al rientro. Ci piombava addosso come un falco, sparava una raffica e si allontava velocemente. Per un paio di volte Morato, terminata la missione, con un cenno ci fa rientrare mentre lui, riducendo la velocita’ al minimo e quasi “galleggiando” in aria per aumentare l’autonomia, rimane li’ per far da esca. Attende cosi’ l’aereo solitario che puntualmente dopo un po’ sbuca dall’alto, con il sole alle spalle, attratto da una “preda” cosi’ vulnerabile. Il Morato, poco prima che l’aereo avversario inizi a sparare, con perfetta sincronia ed una brusca “spedalata” vira rapidamente di 180 gradi, cabra verso l’avversario e manovrando con grande abilita’ a velocita’ prossime allo stallo, muso contro muso, lo collima facendo partire a sua volta una breve raffica. Al terzo agguato la raffica di Morato centra l’aereo nemico e da quel giorno la nostra squadriglia non ha piu’ sorprese. L’aereo abbattuto cade tra le linee repubblicane e quelle nazionaliste nei pressi di Valmojado (Toledo). Solo la perfetta padronanza del velivolo alle basse velocita’ e la destrezza di Morato avevano permesso un’abbattimento con una manovra non prevista da alcun “manuale”. Morato ordina un “blitz” per catturare i resti del velivolo che viene trasportato a Sevilla per studiarne le caratteristiche costruttive ed aerodinamiche. Quando il velivolo giunge a Sevilla a bordo di un autocarro, insieme ad alcuni colleghi e specialisti andiamo a vedre da vicino il relitto.

Il doppio tonneau in candela
 Fra Dequal e Morato nasce una una profonda e fraterna amicizia ed una sera, ad una cena di squadriglia siamo seduti di fronte. Morato ad un certo punto chiede a Dequal un chiarimento su una manovra acrobatica che ero solito eseguire al ritorno dalle missioni. Quando, al rientro, volavamo rilassati (ma non troppo) sul territorio amico, poco prima dell’atterraggio, mi “sfilavo” dalla formazione, “affondavo” con tutto motore “dentro” per prendere la massima velocita’ e poi cabravo in “candela” effettuando due tonneau veloci di fila, raddrizzavo e sempre a tutta manetta andavo a ricongiungermi con gli altri due. Morato, da buon “cacciatore” volava sempre con la testa voltata indietro e non gli erano sfuggite le mie improvvisate manovre ed ora vorrebbe sapere come riuscivo a compiere quei due tonneau. Lui aveva provato piu’ volte la stessa manovra, anch’io me ne ero accorto, ma dopo un tonneau e mezzo andava in perdita di velocita’, stallando. Dequal gli risponde:
 “Chianese e’ qui, chiediamolo a lui” e mi gira la domanda. Preso alla sprovvista, non sapendo effettivamente dare una risposta tecnica esauriente, rispondo imbarazzato ed in modo poco chiaro, dando l’impressione di non voler confidare un mio segreto: “Lo vede pure come faccio!” rispondo. La mia risposta e’ un po’ scortese ed in seguito me ne pentiro’. La realta’ e’ che neanche io conosco il motivo per il quale la manovra mi riesce. Solo qualche anno piu’ tardi realizzero’ che nei tonneau in salita usavo solo gli alettoni mentre i colleghi “lavoravano” molto col timone di direzione. Il CR 32 non era esuberante in potenza e l’uso del timone di direzione provocava un aumento della resistenza aerodinamica e di conseguenza una perdita di velocita’. Oggi questi problemi fanno sorridere ma allora i piloti ben poco sapevano di aerodinamica e l’istinto del volo era elemento essenziale che permetteva di acquisire una completa padronanza del mezzo dal quale solo cosi’ si riusciva ad ottenere le massime prestazioni. Il Morato morira’, finita la guerra, proprio effettuando un tonneau a bassa quota nei cieli di Spagna, durante le riprese di un film sull’Aviazione Legionaria.

Talavera de la Reina
 Seguendo l’avanzare del fronte, le basi di partenza dei nostri CR32 si spostano il 21 settembre a Talavera de la Reina, un’ampia superfice pianeggiante e polverosa dove viene allestito in tempi brevi delle strisce per i decolli ed atterraggi ed il minimo essenziale di infrastrutture logistiche. Alla nostra squadriglia viene assegnato il nome “Cucaracha” ed uno scarafaggio raffigurato mentre suona un flauto e’ il nostro emblema e dipinto sulle fusoliere dei CR32. Intanto le azioni si susseguono giorno dopo giorno, crociere protezione fronte, partenze su allarme, scorte ai bombardieri, vigilanza campo. Oramai ci siamo familiarizzati con il territorio e riconosciamo molti paesi menzionati nei libri di storia: Novalperal, Talavera, Cadice, Aguires, Toledo, Chapineria, Aranjuez, Valmojado, Valcarnero, Illescas, S.Martire, Escorial, Navalcarnero, Torrijos, Getafe, Cuatro Vientos. Alcune scorte agli aerei tedeschi da trasporto truppe, Junkers, le effettuo in pattuglia con Mantelli. Mantelli e’ un pilota che si e’ formato da giovane con il volo a vela e questa sua passione non lo abbandonera’ per tutta la vita. Il volo con l’aliante gli ha conferito una sensibilita’ che sommata al suo talento, fara’ di lui uno dei miglior piloti da caccia. Nel Circolo per il Volo a Vela da lui costituito c’e’ un altro giovane: Giuseppe Cenni. Il caso vorra’ che si troveranno insieme al 1° Stormo ed in Spagna. Un’amicizia fraterna unira’ i due fino alla scomparsa di quest’ultimo avvenuta durante il secondo conflitto mondiale. L’eccessiva lentezza degli aerei tedeschi e’ un problema fastidioso e non indifferente per i nostri piu’ veloci CR32. In un paio di missioni incontriamo ed ingaggiamo alcuni Potez, bombardieri bimotori che “incassano” molto bene. Quando vengono attaccati si mettono in leggera picchiata e retraggono le torrette con le mitragliatrici. In un combattimento quattro nostri CR32 scaricano tutte le munizioni su un Potez alla distanza di 200 mt. Le mitragliatrici
 7.7 mm hanno la massima efficacia a circa 70 mt ma comunque il Potez incassa tutti i colpi e riesce ad atterrare con un motorista ferito ai comandi ed il resto dell’equipaggio colpito a morte.

L’attacco del 1°novembre all’aeroporto di Talavera
 Il 1° novembre al primo mattino giungono 3 Tupolev SB-2 “Katiuska” , soprannominati “Martin Bomber”, per bombardare il nostro campo. Sono in volo con la pattuglia che effettua la “Vigilanza Campo”, li inseguiamo ma avendoli avvistati troppo tardi non riusciamo ad ingaggiarli. Le bombe dei SB-2 ci arrecano danni e vittime. Sei CR32 vengono danneggiati non gravemente e potranno essere riparati. Tre soldati spagnoli di guardia sul campo vengono uccisi e nove feriti. Rimangono feriti leggermente anche Vivarelli e il motorista Sirchia. Alcuni specialisti, nonostante le bombe siano cadute molto vicine, si salvano con un gran spavento. Il campo e’ soggetto a frequenti attacchi nemici e si sta parlando di un prossimo trasferimento su un aeroporto meno vulnerabile a Torrjos, piu’ vicino al fronte e dove si sta già’ approntando una pista improvvisata in mezzo ad una piantagione di ulivi che puo’ essere utilizzata per il decentramento dei velivoli.

L’incidente di Vivarelli
 Il giorno successivo, il 2 novembre, un bombardiere “Martin Bomber”, che sorvola il nostro campo di Talavera, viene colpito da Mantelli e Sozzi. L’equipaggio si lancia ma i paracadute si rompono per l’eccessiva velocita’. Piu’ tardi un grave incidente funesta la nostra base. Sto riposando dentro il ricovero quando improvvisamente sento una forte detonazione, afferro la mia macchina fotografica, una KodaK 3×4 e corro fuori. A circa 200 metri vedo una colonna di fumo e gente che corre ma non capisco cos’e’ successo. Scatto una foto verso le le fiamme che ora si alzano alte. Vivarelli, mentre si apprestava a salire su un CR32, si presume abbia urtato la leva di sgancio degli spezzoni procurando la caduta di uno di essi e conseguente esplosione. Non si sa perche’ gli spezzoni si trovassero a bordo. L’apparecchio si è incendiato e Vivarelli, gravemente ferito, viene trasportato all’ospedale ove poco dopo muore. Rimangono seriamente feriti il serg. Silvio
 Salvadori, il motorista Mondini e l’armiere Palmerina. Salvadori si e’ ustionato nell’estrarre dalle fiamme il Vivarelli.

Torrijos
 Il 3 novembre ci trasferiamo a Torrijos poiche’ Talavera e’ sottoposta a frequenti attacchi nemici. A Torrijos la pista ed i CR32 sono cosi’ ben mimetizzati tra gli ulivi che i repubblicani non riescono ad individuarci nonostante questo aeroporto di fortuna rappresenti per loro una spina nel fianco. Su Torrijos decolliamo ed atterriamo da una stretta e corta striscia d’erba ricavata tra i campi arati dai contadini. Non ci sono hangar od altre costruzioni ed i velivoli vengono parcheggiati e riforniti sotto le basse piante che circondano l’aeroporto che non verra’ mai scoperto dai repubblicani. Solamente in un secondo tempo, dopo alcuni incidenti in atterraggio, viene costruita una seconda pista piu’ lunga. Insieme agli specialisti soffriamo il disagio dovuto alla mancanza di infrastrutture che ci costringe a vivere all’aperto.

Madrid 5 novembre, l’abbattimento di Maccagno
Il 4 novembre, la Eskadrilhya da caccia sovietica alla sua prima missione, consegue tre vittorie abbattendo due dei nostri caccia legionari, il cap. Vincenzo Dequal ed il serg. Giovanni Magistrini ed un trimotore tedesco Ju 52/3. Magistrini cade nelle nostre linee gravemente ferito e muore poco dopo. Dequal si lancia col paracadute e rientra leggermente ferito. Al posto di Dequal il magg. Tarcisio Fagnani, comandante della caccia del Tercio, decide di inviare il giorno successivo, il 5 novembre, in zona operativa la squadriglia del cap. Alberto Maccagno, composta da nove CR 32 condotti da piloti esperti e da alcuni della 3^ spedizione, alla loro prima missione. A Maccagno, che proviene dai bombardieri ed e’ alla sua prima missione, Fagnani assegna come sezionari della sua pattuglia due esperti sottufficiali, Avvico ed il sottoscritto. E’ prevista una crociera di protezione delle truppe sul fronte di Getafe, alla periferia di Madrid. Maccagno, guida la formazione,
 Avvico ed io gli voliamo accanto. Improvvisamente notiamo che dal basso stanno salendo minacciosi quindici dei nuovi e temuti caccia Polikarpov I-15 soprannominati “Chato” dai repubblicani e “Curtiss” dai nazionalisti. Avvico ed io tentiamo di richiamare l’attenzione del comandante facendo oscillare ripetutamente le ali ma questi continua a non capire e guardare avanti invece che in basso. I velivoli nemici cominciano ad essere pericolosamente vicini ed a questo punto abbandoniamo il comandante alla sua sorte per evitare di essere facile bersaglio dei Polikarpov e cabriamo bruscamente puntando il sole per sottrarci e renderci meno visibili agli attaccanti. Nel frattempo uno di loro mi si e’ gia’ avvicinato pericolosamente e pertanto effettuo una stretta virata in salita e riesco a portarmi di fianco e piu’ indietro, lo collimo puntando le armi sul punto futuro e lo colpisco alla prima raffica. Il velivolo ruota sull’asse longitudinale, abbassa il muso e comincia a perdere quota. Lo inseguo, com’e’ prassi in questi casi, per circa 2000 metri per accertarmi che non sia una manovra elusiva ed alla fine lo abbandono al suo destino. Mi trovo cosi’ troppo basso e conseguentemente piu’ vulnerabile per riprendere il combattimento e pertanto decido di rientrare alla base. Maccagno nel frattempo viene sorpreso da alcune raffiche sparate dal basso che gli centrano l’aereo e lo colpiscono ad una gamba. Il suo CR32 precipita in fiamme e, nonostante sia gravemente ferito riesce a lanciarsi col paracadute. Mentre sta scendendo sulla citta’, viene investito anche dalle raffiche di due caccia nemici. Fortunosamente si ritrova a terra vivo, ferito da una pallottola che gli ha strappato quasi completamente il piede destro. E’ circondato da una turba minacciosa che minaccia di linciarlo ma l’intervento provvidenziale di alcuni miliziani della XI^ Brigata internazionale lo sottraggono ad un probabile linciaggio. Viene ricoverato all’ospedale di Madrid, dove i sanitari intervengono amputandogli l’arto. Maccagno e’ l’unica perdita legionaria. Al rientro vi è un certo imbarazzo nello stilare i rapporti sul combattimento che e’ costato la perdita del Comandante di Squadriglia Maccagno, anche perché in due giorni ne sono stati abbattuti due! Nel 1939 in occasione di un Raduno a Genova dei piloti che parteciparono alla Guerra Civile Spagnola, rivedo il capitano Maccagno che si lamenta di essere stato abbandonato dai suoi gregari durante quel famoso combattimento sui cieli di Spagna. Io, che ero conosciuto per non avere grandi doti “diplomatiche”, gli ricordo che la prima regola per un pilota da caccia e’ quella di volare sempre con un occhio alle proprie spalle.

Un altro abbattimento
 Il 15 novembre, insieme ad un gruppo di venti CR32 eseguo una scorta a due formazioni di Junkers in azioni di bombardamento sulle fortificazioni di Madrid. Durante la scorta alcune pattuglie di Polikarpov I-15 “Curtiss”, ci attaccano.Riesco ad agganciarne uno e dopo alcuni minuti di inseguimento lo colpisco e lo abbatto. Rientro alla base stanco, il volo di scorta ed il combattimento mi hanno fatto stare per aria per due ore, in condizioni non certamente confortevoli. Il mattino del 19 novembre, partiamo per una scorta agli Junkers che si accingono a bombardare Madrid. Alle 09.00 volando ad una quota piu’ alta dei bombardieri, giungiamo sulla capitale e assistiamo al bombardamento. Dopo pochi minuti la citta’ e’ totalmente coperta da un denso nuvolone nero e contemporaneamente veniamo attaccati dai caccia nemici. Il combattimento che ne segue e’ violento. Nello scontro riusciamo ad abbattere un Polikarpov I-15 “Curtiss” e due Polikarpov I-16 “Rata” ed
 altri quattro velivoli sono visti precipitare ma l’abbattimento sara’ confermato solo per uno di essi. Tutti i bombardieri ed i CR32 ritornano indenni alla loro base.

Il velivolo “personale” del tenente Larsimont
 Il 20 novembre sull’aeroporto di Torrijos – Barcience c’e’ all’improvviso una partenza su allarme, corro insieme a tutti gli altri verso i decentramenti, sotto gli ulivi e gli eucalipti, dove sono parcheggiati i CR 32. Il mio caccia e’ attorniato dagli specialisti, deve essere ancora completato il rifornimento di carburante e munizioni e ci vogliono ancora diversi minuti prima che sia in grado di partire. L’aereo accanto e’ invece pronto e l’armiere, caricati i nastri delle mitragliere, sta chiudendo i portelli ma non c’e’ nessun pilota vicino. Non molto lontano c’e’ il Comandante di Squadriglia, cap. Guido Nobili, che sta impartendo le ultime disposizioni per la partenza. Corro verso di lui e gli chiedo l’autorizzazione a prendere il velivolo disponibile. I motoristi capiscono al volo e prima che arrivi al velivolo hanno avviato il motore che per fortuna era gia’ caldo. Mi allaccio il paracadute e salito a bordo mi imbrago velocemente ed in breve sono in volo con il resto della pattuglia. Sono trascorsi pochi minuti quando comincio a notare un rivolo d’olio sul parabrezza che si va allargando fino a togliermi quasi completamente la visuale. Si e’ rotto un manicotto dell’olio e rischio da un momento all’altro lo spegnimento del motore. Con mio disappunto mi vedo costretto ad un rientro immediato e segnalo al capo pattuglia, oscillando le ali, che abbandono la formazione. Mentre sono sulla rotta di ritorno tengo sott’occhio la pressione e la temperatura dell’olio sperando che il motore non mi abbandoni proprio a pochi minuti dal campo. Fortunatamente conosco bene l’orografia della zona e, virando un po’ a destra ed a sinistra, davanti a me, a causa del parabrezza imbrattato non vedo nulla, trovo l’aeroporto. Anche in “finale” debbo effettuare continue virate; sporgermi dall’obitacolo non serve a molto poiche’ il  risultato e’ che l’olio mi sporca il casco e gli occhiali che debbo prontamente pulire per non restare completamente cieco. Non e’ sicuramente una situazione piacevole! La pista di Barcience e’ una stretta striscia in mezzo ai campi ed oltrettutto pure maledettamente corta. Tocco terra pertanto bruscamente, guardando la pista di lato. Quando la velocita’ e’ gia’ contenuta, metto la ruota dal lato opposto ove guardavo, fuori pista, nel terreno molle. La ruota sprofonda, l’aereo imbarda ma riesco a controllarlo ed il danno e’ solo una grossa “infangata”. Tutto sommato e’ andata bene poiche’ ho rischiato pure una “capottata”. Il ten. Antonio Larsimont, cui era stato assegnato il velivolo, assiste al mio rientro e appena sceso dall’aereo mi si avvicina. Penso che voglia complimentarsi per la manovra ed invece mi da’ una solenne inquadrata: “Chi l’ha autorizzato a prendere il mio velivolo? Oltretutto me l’ha pure scassato!””Il mio velivolo non era pronto, l’unico aereo disponibile era il suo e comunque sono stato autorizzato dal comandante Nobili, glielo chieda!” rispondo. Larsimont non vuol sentire ragioni e rincara la dose, e ciò in presenza del personale del campo, che assiste alla scenata. A questo punto ritengo che abbia passato ogni limite e percio’ in tono duro e deciso, gli rammento, ove se ne fosse scordato, che quando era un pivellino giunto al 4° Stormo di Gorizia, ricorreva spesso ai miei consigli e concludo con un: “… si ricordi che le ho insegnato io a volare!”. La mia frase deve averlo indubbiamente ferito, ma in effetti se l’e’ cercata. Non me la perda ed inoltra rapporto al comandante di Gruppo, il magg. Tarcisio Fagnani. Il comandante di Gruppo mi convoca e, pur riconoscendo le mie buone ragioni, mi infligge quindici giorni di rigore per aver tenuto un atteggiamento irrispettoso nei confronti di un superiore. Gli arresti sono puramente formali e non mi esentano dalle missioni. Non accetto il provvedimento che ritengo ingiusto e “marco visita” dandomi ammalato. Fagnani allora provvede a trasferirmi da Torrijos al campo di Talavera de la Reina dove, senza nulla obiettare ed improvvisamente guarito, riprendo le missioni di guerra. Larsimont muore il 26 giugno 1942 in Africa Settentrionale mentre, con l’aeroporto sotto bombardamento, corre verso il velivolo per decollare.

Di n uovo a Talavera
 Il 1° dicembre 1936, verso le 15.30, al campo di Talavera de la Reina – Gamonal, vengono segnalati movimenti di reparti della fanteria nemica in avanzata a circa 8 Km. a sud dell’aeroporto. Al fine di prevenire eventuali incursioni al campo, insieme al serg. Gianlino Baschirotto parto su allarme per una ricognizione offensiva sulla zona segnalata di San Bartolome’. Con Baschirotto mi sto sistemando velocemente la combinazione di volo ed il paracadute e gli avieri, che stavano rifornendo il velivolo, debbono bruscamente interrompere le operazioni e cio’ provoca un’abbondante fuoruscita di carburante che finisce nella fusoliera. Durante il rullaggio ed il decollo sono costretto a tenere la testa spostata verso l’esterno a causa dei vapori di benzina che vengono esalati dalla fusoliera. Dopo il decollo ci mettiamo in coppia e ci dirigiamo verso la zona segnalata. Sono ancora costretto ogni tanto a sporgermi per prendere una boccata d’aria non satura di vapori. Dopo alcuni minuti di volo avvistiamo un gruppo di una mezza dozzina di militari nei pressi di una piccola casa di campagna isolata. Ci predisponiamo all’attacco con una virata in discesa, disponendoci in “fila indiana”. Io sono il primo a portarmi all’attacco e, ad una quota di circa 50 metri, apro il fuoco a fine dissuasivo con una sola delle due mitragliatrici 12.7 millimetri contro il gruppo di soldati che nel frattempo corre verso la casa e vi si ripararono. Noto contemporaneamente del fumo provenire dall’interno della fusoliera in corrispondenza del vano ove sono installate le mitragliatrici e penso che cio’ sia dovuto all’eccessivo ingrassagio dei nastri sui quali sono fissati i proiettili da 12.7 millimetri, accorgimento adottato dai nostri armieri per ridurre il rischio di inceppamenti. I militari cercano scampo rifugiandosi all’interno della casa colonica. Ci predisponiamo per un secondo passaggio, armo anche la seconda mitragliatrice e collimo le armi su una finestra. Una frazione di secondo dopo aver aperto il fuoco si innesca all’interno della fusoliera un incendio dei vapori del carburante. Le fiamme si incurvano sopra la mia testa riparata dal casco e dagli occhialoni e vengono rissucchiate verso l’alto dal flusso accelerato dal parabrezza, investendomi ed avvolgendomi completamente. Sono attimi tremendi nei quali mi sento perduto. Penso per un attimo di farla subito finita schiantandomi al suolo con una spinta in avanti della cloche, evitando cosi’ le immancabili torture cui sarei sicuramente andato incontro e successiva fucilazione. Prendo una decisione. Sopportando il calore, cabro bruscamente per raggiungere una quota di almeno 150 metri e quindi rovescio il velivolo, mi slaccio e lo abbandono. Fortunatamente avevo gia’ agganciato alla carlinga la fune di vincolo che provvede a comandare l’apertura del paracadute appena fuori dal velivolo. La discesa e’ brevissima, il paracadute ha giusto il tempo per aprirsi, a 50 mt da terra, e finisco a circa 6 Km. a sud dell’aeroporto. Il contatto con il suolo e’ alquanto brusco. Liberatomi dal paracadute, mi allontano rapidamente dirigendomi verso un piccolo corso d’acqua delimitato da un crepaccio profondo di 2-3 metri. Mentre sto correndo i militari, da una distanza di circa 300 metri, mi fanno bersaglio con la fucileria, i proiettili sibilano sopra la mia testa senza colpirmi. Nella ricerca affannosa di un nascondiglio che possa darmi riparo dai colpi mi butto a tuffo dentro una piccola cengia, formata dall’ansa di un torrente e batto il capo contro l’unico spuntone di roccia lungo un metro, infisso nella parete di terra, senza riportare neanche un bernoccolo o escorazione. Corro nel letto del torrente e mi rannicchio nella fessura scavata dalle piene sotto le pareti verticali di terra morbida che mi fa da tetto e mi ripara dalla vista degli inseguitori. I militari che ho mitragliato mi inseguono e mi sono vicini. Non mi vedono ma hanno capito che mi sono occultato nell’anfratto e mi intimano: “Vienes afuera hombre, no te disparamos!”. La ricerca e’ breve, uno di loro intravede le mie scarpe che sporgono dalla buca, troppo piccola per contenermi e mi catturano. Avevo sperato fino all’ultimo in un intervento del CR32 di Baschirotto che sarebbe stato in grado di tenere a bada gli spagnoli che mi inseguivano su un terreno privo di ostacoli ed invece con mio disappunto constato che mi abbandona e rientra al campo dove vengono subito organizzati i soccorsi. Sono distante dalle nostre linee non piu’ di 5-6 Km ed avrei potuto raggiungerle in breve, se opportunamente “coperto” dal cielo. I repubblicani non sono molto teneri con i prigionieri e se vengo risparmiato probabilmente e’ perché gli attacchi dei nostri due CR 32 non hanno fatto alcuna vittima tra loro. Puntandomi le armi ed a spintoni mi costringono a dirigere verso la casa colonica che e’ servita loro da rifugio durante il nostro attacco. Dopo circa trenta minuti viene inviato sul posto un velivolo da trasporto americano Douglas DC 2, pilotato dal cap. Carlos Haya Gonzales, con a bordo una decina di soldati armati incaricati di tentare di recuperarmi. L’aereo mi sorvola ad una decina di metri proprio mentre mi stanno per portare via dalla casa colonica e caricare su un mezzo militare. I militari mi puntano il fucile e mi fanno accostare ad un muro e stare immobile. Non e’ il caso di attirare l’attenzione. Dopo una lunga ricognizione senza successo sul luogo dove sono stato catturato, nella campagna intorno a San Bartolome de las Abiertas, il DC 2 rientra alla base. Il giorno successivo, il 2 dicembre, viene inviato anche un aereo biposto Ro 37 che  sfortunatamente ha una “piantata di motore” ed e’ costretto ad un atterraggio di emergenza in territorio nemico. L’aereo che vola ad una quota di circa 60-70 metri ha ancora le bombe a bordo che non fa in tempo a sganciare. Al posto dell’osservatore c’e’ un pilota, il ten. Ugo Di Marzio che, colto dal panico, si lancia col paracadute ma essendo troppo basso schianta al suolo. Il pilota del Ro 37, Mattis, si ferisce seriamente durante l’atterraggio di fortuna ed a sua volta viene fatto prigioniero. Al Di Marzio verra’ concessa la medaglia d’oro al Valor Militare. I tentativi per il mio recupero vanno avanti fino al 3 dicembre e poi sono abbandonati.

La Cattura e la prigionia
 Spogliato di ogni effetto personale, mentre sono trattenuto da due uomini, un miliziano sta per darmi un colpo violentissimo alla testa col calcio del fucile che mi avrebbe ucciso, ma un ufficiale devia prontamente il colpo afferrando il braccio del soldato ed intima di non toccarmi. Devo essere interrogato dai servizi segreti, sono piu’ utile da vivo. Inizia il viaggio su un’auto militare verso Valencia e durante il tragitto vengo piu’ volte fermato ed interrogato in modo formale. Passando a Sud di Madrid, nei pressi di Toledo, vengo portato in un grande edificio isolato con una grande scalinata in pietra. Alla sommita’ di questa, in un atrio, vengo lasciato incustodito per circa un’ora. Ho il sospetto che si tratti di un tranello per indurmi alla fuga ed avere una giustificazione per uccidermi. Considerando che per raggiungere le linee amiche avrei dovuto attraversare il fiume Tajo, desisto da ogni tentativo. Sono sottoposto all’interrogatorio di un capitano spagnolo di complemento che mi tratta prima con modi severi e poi diventa piu’ cordiale al punto da confidarmi di essere nella vita civile un maestro di matematica a Talavera de la Reina ed amante dell’Italia. Alla fine mi accompagna dietro alla mensa ufficiali e mi offre da mangiare e mi lascia  augurandomi buona fortuna. Questi spagnoli non finiscono mai di sorprendemi! Riprendo il viaggio verso Valencia ma durante il percorso una moto staffetta porta l’ordine di tornare indietro poiche’ un “personaggio russo vuole vedere ed interrogare il prigioniero”. Vengo nuovamente sottoposto ad interrogatorio da un colonello russo dal comportamento e modi molto violenti. E’ presente all’interrogatorio pure un ufficiale pilota spagnolo che sembra interessarsi principalmente alla tattica di volo degli italiani che non alle informazioni di “intelligence” e che mi confida, senza farsi sentire dal russo, di non portar alcun rancore nei confronti dei colleghi piloti italiani. Nel frattempo il nostro Comando, che non si rassegna alla perdita di un pilota considerato un buon elemento, il giorno stesso invia dei velivoli che lanciano migliaia di volantini in territorio nemico con il messaggio: Se il pilota che e’ caduto entro le vostre linee col paracadute non verra’ restituito sano e salvo prima delle dieci della sera di oggi, subirete le conseguenze di una punizione esemplare. Nel caso il pilota sia trasferito in altro luogo, possono venire due emissari a portarci le informazioni, in tal caso, sara’ garantita la loro liberta’. Talavera de la Reina, 3 dicembre 1936. Arrivo infine a Valencia e vengo rinchiuso in una caserma adibita a campo di prigionia dove ci sono, oltre agli spagnoli, anche degli italiani. Si sparge subito la voce che un pilota italiano e’ stato catturato e la notizia desta interesse negli italiani delle Brigate Internazionali che passano per la caserma, centro di arruolamento dei volontari di varie nazioni accorsi in aiuto dei Repubblicani e che vengono a “farmi visita”. Diversi di questi italiani mi insultano o tentano di colpirlmi ma le guardie spagnole si dimostrano sempre molto corrette ed intervengono per difendermi dalle angherie dei miei stessi connazionali. Alcuni militari spagnoli che frequentano la caserma, passando vicino alla mia cella mi gettano, senza farsi scorgere, cibo e sigarette. Un giorno il comandante del battaglione Garibaldi della XII Brigata Internazionale, l’italiano Randolfo Pacciardi, si presenta alla caserma in divisa spagnola e si fa aprire la cella dalle guardie. Dopo un breve interrogatorio e saputo che sono napoletano, mi dice che a maggior ragione dovrei vergognarmi e mi accusa di infangare il buon nome dei partenopei e mi schiaffeggia violentemente. Un giorno vengo trasferito dalla mia cella in quello che precedentemente era il Circolo Ufficiali ed ora adattato a prigione. Qui ho come compagni di prigionia un maggiore e due sottotenenti dell’Esercito Italiano. I tre mi trattano con riguardo inusitato per essere un sottufficiale e soltanto piu’ tardi comprendero’ il motivo. Nel corso della campagna di Guadalajara, i tre ufficiali che fanno parte del Corpo Truppe Volontarie, si trovavano tra il 10 ed il 14 marzo 1937 nella localita’ chiamata “Bosco di Brihuega”, a circa 25 Km a nord di Guadalajara, in cui le nostre truppe subirono una sconfitta. Avevano con loro diversi prigionieri repubblicani e quando si accorsero di essere circondati tentarono di rompere l’accerchiamento e per muoversi piu’ agevolmente si liberarono dei prigionieri, trucidandoli. Non riuscirono nel loro intento e furono catturati dai repubblicani. Quest’ultimi, scoperto l’eccidio, cercarono di individuare i colpevoli e sospettavano anche i tre militari. Il mio improvviso arrivo nella loro cella li aveva convinti che fosse una mossa per introdurre tra di loro un agente informatore al servizio dei repubblicani.

La cattura di Cenni, Pesce e Bandini
 Dopo circa due mesi cade prigioniero e viene rinchiuso nella mia stessa caserma il serg. Mario Bandini, mio amico e collega del 4° Stormo ma restero’ all’oscuro della sua presenza per quasi tutta la prigionia. Il 29 dicembre 1936 da Sevilla parte una missione in aiuto degli assediati del Santuario de la Virgen de la Cabeza. La formazione comprende tre S81, tre Ro37 e nove CR32 di scorta. Il comandante della squadriglia dei nove CR 32 e’ Armando Francois. Gli altri piloti sono il ten. Giovanni Berretta, s.ten. Giuseppe Cenni, s.ten. Elio Pesce, serg. Mario Bandini, serg. Mario Bernocchi, serg. Giacomo Trombotto, serg. Luigi Crimoldi, serg. Michelangelo Serafini. Dopo il decollo l’aereo di Francois ha un’avaria ed e’ costretto a rientrare a Tablada ed il comando della squadriglia dei CR32 passa a Berretta. Le condizioni meteorologiche in rotta sono pessime ed i velivoli finiscono dentro i cumuli. In breve la formazione si rompe ed alcuni velivoli finiscono in vite.
 Trombotto impatta il terreno e muore nei pressi del Santuario in luogo inaccessibile.Il suo corpo verra’ ritrovato diversi anni piu’ tardi. Crimoldi tenta un atterraggio di fortuna nel letto del fiume Jandula presso Andujar, entro le linee nazionaliste, ma capotta e muore nell’impatto.Bernocchi atterra sulla strada Madrid-Jaen e viene catturato. Pesce e Bandini effettuano un atterraggio di fortuna e vengono catturati a Elechal, nei pressi di Castuera. Cenni si lancia col paracadute e finisce nei pressi della palude di Guadamellato (nord di Cordoba) ma riesce a sfuggire agli inseguitori. Verra’ catturato dopo tre giorni, tradito da alcuni contadini del posto che lo consegnano ai militari repubblicani. Bandini viene rinchiuso in una cella attigua alla mia ed un giorno sente un fischiettare che gli e’ familiare ed intuisce che il suo vicino sia io. Non fa nulla per mettersi in contatto per il timore di far trapelare la sua vera identita’ ai repubblicani.

Il Carcel Modelo
 Nel mese di aprile del 1937, tutti i prigionieri vengono trasferiti al “Carcel Modelo” di Valencia, un vecchio convento adibito a carcere, dove le condizioni dei prigionieri sono migliori. Qui incontro finalmente Bandini ed i tre ufficiali dell’Esercito realizzano che non posso essere un agente segreto ed il loro atteggiamento cambia completamente facendo valere il loro grado e trattandomi con distacco Dopo un po’ gira la voce che si stia trattando per uno scambio di prigionieri ed il maggiore dell’Esercito, parlando con i colleghi si dice sicuro che la scelta cadra’ su di lui perche’ piu’ “importante”. Rimarra’ deluso! Alcuni giorni piu’ tardi viene in visita al “Carcel Modelo” una delegazione internazionale della Croce Rossa per constatare le condizioni di vita dei prigionieri che sono radunati, al centro del carcere, al cospetto della delegazione che e’ accompagnata da uno stuolo di ufficiali spagnoli. Ad un certo punto un ufficiale lascia il gruppo e mi viene incontro, e’ il capitano spagnolo, professore di matematica, che per primo mi ha interrogato subito dopo la cattura ed incurante di cosa possano pensare i colleghi della delegazione, mi abbraccia e mi manifesta la sua contentezza nel rivedermi vivo. Finita la guerra, mi confida, spera di venire in Italia ed incontrarmi. Il capitano e’ il nuovo comandante del carcere e da allora, nelle sue ispezioni, mi fa uscire dalla cella e mi vuole accanto a lui. Rientrato in Italia e terminata la guerra, ho tentato inutilmente di rintracciarlo, ho saputo solo recentemente, grazie ad alcuni amici spagnoli, che il suo nome era Manuel Machuca de Las Heras, comandante delle Unita’ d’Informazione a Sud del Tajo. Prima della guerra era insegnante in Talavera de La Reina, ha anche comandato i “dinamiteros” in alcune azioni di attacco ai treni a Nord del Tajo. Poco dopo la nostra partenza con la nave da La Spezia, quando fummo ufficialmente informati che la nostra destinazione era la Spagna, ci venne detto che avremmo dovuto arruolarci nella Legione Straniera (l’Italia non voleva essere direttamente coinvolta nel conflitto) e che avremmo dovuto adottare un nome di copertura da usarsi anche in caso di cattura da parte dei repubblicani. A tale disposizione mi sono sempre attenuto durante tutta la prigionia e solamente dopo il mio rientro in Italia verro’ a sapere che i miei compagni catturati avevano invece quasi tutti dato le loro reali generalita’. Io continuavo a dichiarare di chiamarmi “Giglio” e di essere appena giunto in Spagna. Mi sarei reso conto soltanto successivamente che cio’ aveva aggravato la mia posizione. Quando eravamo a Caceres, durante le libere uscite, diversi piloti frequentavano le ragazze del posto, alcune delle quali molto carine, erano spie dei repubblicani e fornivano informazioni sulle nostre identita’ al servizio di spionaggio che pertanto conosceva i nostri nomi. In uno dei frequenti interrogatori cui ero sottoposto al “Carcel Modelo”, all’atto di  sottoscrivere il verbale, distrattamente firmo con il mio vero nome. Il fatto di aver dichiarato il falso e di non aver “collaborato” e’ sufficiente per condannarmi a morte, senza processo e senza che ne fossi messo al corrente. Una sera chiedo una sigaretta ad una guardia carceraria che sta passando vicino alla finestra della mia cella e questa mi confida imbarazzata che per il giorno dopo alle sei di mattina era stata comandata di guardia. Nel linguaggio carcerario vuol dire che era stata fissata la mia esecuzione. Passai la notte insonne. Poco prima delle sei sento la guardia avvicinarsi alla cella, gira la chiave nella toppa ma la porta non si apre. Sento che vengono aperte altre celle e diversi prigionieri spagnoli spinti fuori tra grida strazianti e fatti salire su un autocarro militare. Passano dei minuti terribili convinto che le guardie tornino con la chiave giusta, ma nulla accade e l’autocarro parte con il misero carico umano. Dopo circa due ore l’autocarro torna vuoto ed  immagino che la guardia che mi aveva annunciato l’esecuzione mi abbia giocato uno scherzo di cattivo gusto.

La liberazione
 Il 20 luglio 1937 vengo chiamato con gli altri tre piloti, Cenni, Pesce e Bandini con i quali ho condiviso i lunghi mesi trascorsi nel carcere. Le chiamate sono sempre motivo di apprensione ma questa volta un tenente spagnolo ci conduce al porto di Valencia e veniamo affidati ad un emissario della Croce Rossa Internazionale. Questo voleva dire la liberta’. Attendiamo per qualche ora in porto una telefonata che confermava il rilascio dei prigionieri repubblicani scambiati con noi che doveva avvenire in una localita’ situata sul confine nord-ovest tra Spagna e Francia. Veniamo imbarcati su una nave ospedale britannica, il “Maine”, che si trova in porto ed ha destinazione Marsiglia. La nave ha ritardato la partenza per attendere l’esito della trattativa e dopo una breve navigazione, approda a Marsiglia, dove ci riceve il magg. Tarcisio Fagnani che conosce tutti e quattro e conseguentemente puo’ confermarne la nostra identita’ alle autorita’ italiane. Il maggiore e’ il Comandante di Squadriglia che a Torrijos mi aveva “punito” per aver ribattuto alle accuse del ten. Larsimont che mi accusava di aver utilizzato e danneggiato il “suo” velivolo. Lascio cosi’ definitivamente la Spagna con al mio attivo 5 velivoli “individuali” abbattuti, dei quali uno non riconosciuto (da Dequal) e 4 velivoli “collettivi” abbattuti. L’accoglienza e’ calorosa ed e’ occasione per festeggiare la liberazione in un ristorante francese. Da Marsiglia il viaggio continua per Roma dove il nostro gruppo di reduci viene ospitato nel suntuoso albergo “Azeglio”, vicino al Ministero dell’Aeronautica. Dopo un breve permesso per visitare la mia famiglia a Napoli e consegnare una lettera alla moglie del maggiore dell’Esercito che era “sicuro” di essere prescelto per lo scambio di prigionieri, resto a disposizione del Ministero dell’Aeronautica a Roma per gli interrogatori di rito. Prima di rientrare a Gorizia vengo ricevuto da Mussolini insieme a Cenni, Pesce e Bandini. Mussolini si congratula con tutti noi, ci consegna una foto con autografo e si rivolge al Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Valle, dicendogli di proporre tutti noi quattro per la Medaglia d’Argento al Valore Militare. Diverso tempo dopo, Corsi, al rientro dalla sua prigionia in Spagna, mi consegna uno dei volantini che erano stati lanciati dopo la mia cattura e che aveva custodito con cura. Mi racconta inoltre che un alto funzionario della Croce Rossa Internazionale gli aveva confidato di esser riuscito a salvare poche ore prima della fucilazione un certo Chianese, pilota della Cucaracha. Dopo lunghe trattative con la Croce Rossa, quattro piloti italiani, Cenni, Pesce, Bandini e Chianese erano stati scambiati con tre piloti repubblicani, Giuseppe Krizaj, Juan Olmos Genoves e Jose’ Bastida Porros.

Giuseppe Krizaj
Giuseppe Krizaj, nato a Capriva del Carso e residente ad Aidussina (oggi Ajdovscina -Slovenia), era un mio compagno durante il corso Allievi Sottufficiali Piloti di Complemento di Capua. Dopo il conseguimento del brevetto di pilota militare non era stato “raffermato” e congedato, sembra per le sue frequentazioni ad Aidussina con cittadini sloveni irredentisti. L’Aeronautica Militare, come di consueto in questi casi, provvedeva a mantenere valido il brevetto dei piloti congedati, facendosi carico delle spese per l’effettuazione delle ore minime di volo annuali, presso gli Aeroclub della R.U.N.A. Krizaj aveva scelto di effettuare le ore di volo a Campoformido, dove utilizzava un AS1, un aereo leggero di proprieta’ dell’Aeroclub. Il 25 giugno 1932, si impossessa del velivolo della Scuola di Volo e fugge a Lubiana (Ljubljana – Slovenia) e, alcuni anni piu’ tardi, dopo varie vicissitudini, allo scoppio della guerra civile spagnola, si arruola come volontario nelle file dei Repubblicani e si reca all’aeroporto di Barajas, dove si e’ costituita la Squadriglia Espana. Viene assegnato al Nieuport 52, caccia adibito alla scorta dei
 bombardieri. Partecipa alle azioni su Siguenza, Toledo e Talavera de la Reina. L’11 settembre ’36, a Talavera, Krizaj ai comandi di un Nieuport 52 in coppia con un Dewoutine, viene intercettato da due Fiat CR32 dell’Aviazione Legionaria pilotati dal tenente Franceschi e dal sergente Magistrini, compagni di Krizaj durante il corso di Capua. Colpito da Magistrini al radiatore e’ costretto ad un atterraggio di fortuna fra Talavera e Madrid ma esce indenne e subito ritorna alla Squadriglia. Il 15 ottobre ’36, in una missione di scorta con un Dewoitine D 371, si scontra su San Martin de Valdeiglesias con tre CR.32. Morato gli colpisce il serbatoio e l’aereo precipita in fiamme. Si lancia col paracadute e ferito, finisce nelle linee nemiche. Catturato e portato all’ospedale di Talavera viene curato e poi trasferito nel carcere di Salamanca. A Talavera riceve la visita di Bonomi e Muti. Quest’ultimo che aveva la fama di usare modi non molto diplomatici, sembra si sia tolto qualche
 soddisfazione con il Krizaj che “allevato” dall’Aeronautica Militare Italiana era poi passato al nemico. Insieme a Franceschi e Magistrini decidiamo di andare a trovare il vecchio compagno in ospedale a Talavera ma il militare spagnolo di guardia alla sua stanza ci informa che sta dormendo ed e’ meglio non disturbarlo. Lo vediamo dalla porta socchiusa ed effettivamente sembra addormentato e malconcio. Abbiamo avuto l’impressione che fosse stato malmenato e che, forse imbarazzato dalla visita degli ex colleghi, fingesse di dormire. Il 29 luglio 1937, dopo nove mesi di prigionia, Krizaj verra’ scambiato con Cenni, Pesce, Bandini e me.

Gino Passeri
 Rientrato in Italia ho saputo della morte delll’amico Gino Passeri. Di lui si diceva che alcuni superiori e colleghi insinuavano che non dimostrasse abbastanza coraggio durante i combattimenti mentre, probabilmente si doveva esser trovato in situazioni nelle quali era molto piu’ saggio non confrontarsi con un nemico in forze preponderanti. Cio’ deve averlo condizionato ed il 7 luglio 1937 in un combattimento sul cielo di Madrid tra l’Asso di Bastoni ed una formazione nemica 30 velivoli, affronta da solo tre aerei nemici, ne abbatte uno e, rimasto gravemente ferito riesce a riportare l’aereo alla base ma dopo l’atterraggio si accascia sui comandi. Viene trovato dai soccorritori privo di vita. Per questa azione gli viene conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare. La sua salma viene trasportata al cimitero Grinon, Campicello “Glorieta”.

Mathis e Baschirotto al Raduno di Genova
Nel 1939 in occasione di un Raduno a Genova dei piloti legionari che parteciparono alla Guerra Civile Spagnola, c’e’ anche Mathis, il pilota del Ro37 che il 2 dicembre 1936, mentre cercava di localizzarmi ebbe un’avaria motore che lo costrinse ad un atterraggio di fortuna.  Porta ancora ben visibili i segni delle gravi ferite causate da quella azione. Mathis mi saluta e sorridendo esclama: “Guarda come mi sono ridotto per tentare di salvarti!”. C’e’ anche Baschirotto ed e’ un’occasione per ricordare l’ultimo mio volo, quando con lui da mio gregario, mi sono lanciato e sono stato fatto prigioniero. Non gli nascondo il mio disappunto in merito alla sua decisione di rientrare subito al campo per informare il Comando dell’incidente occorsomi. Se fosse rimasto a circuitare sopra di me mitragliando i pochi soldati repubblicani che erano ancora lontani, sarei riuscito a raggiungere le linee amiche che distavano circa sei chilometri ed avrei evitato otto mesi di dura prigionia ed il
 rischio della fucilazione. L’incidente era avvenuto pochi minuti dal decollo, il serbatoio era quasi pieno ed aveva almeno due ore di autonomia che gli avrebbero consentito di “scortarmi” fino al campo, su un terreno oltretutto libero da truppe nemiche.

Il ritorno a Gorizia
 Rientrato a Gorizia dalla O.M.S. Operazione Militare Spagnola, mi viene assegnato un periodo di meritato riposo. Il 6 novembre 1937 il Duca d’Aosta convoca presso la Palazzina Ufficiali tutti i reduci della Spagna del 1° e 4° Stormo e dopo una breve cerimonia in memoria dei caduti veniamo invitati ad un pranzo al quale partecipano molti ufficiali superiori della Divisione Aquila. Riprendo a volare il 13 novembre effettuando una missione a doppio comando di ambientamento con il serg. Renzi sul CR30 e poi con il CR32. Il 6 dicembre ha luogo sull’Aeroporto di Gorizia la cerimonia di commiato del duca Amedeo d’Aosta che il 12 dovra’ lasciare il Comando della Divisione Aquila in quanto nominato Vicere’ d’Etiopia. Il 4° Stormo e’ stato sensibilmente provato dall’Operazione Militare in Spagna, nuovi piloti da caccia devono essere formati ed addestrati e di cio’ veniamo incaricati noi “anziani”. La mia esperienza torna utile per perfezionare i giovani con poca esperienza di “cacciatori” e le missioni di doppio comando, acrobazia e volo in formazione, finta caccia, si intensificano.

L’incidente di Ronchi
In previsione della Manifestazione Aerea sull’aeroporto di Furbara dell’8 Maggio 1938, in occasione della visita del cancelliere tedesco, i vertici dell’Aeronautica decidono di includere un’esibizione acrobatica di una “super” formazione composta dalle pattuglie acrobatiche dei famosi Stormi, 1°, 4°, 3° e 6°. Partecipo agli allenamenti che cominciano un mese prima sull’aeroporto di Ronchi. I velivoli vi giungono in volo da Campoformido, ove e’ di base il 1° Stormo, e da Gorizia il 4° Stormo. Il 3° e 6° Stormo sono rischierati (trasferiti) per l’occasione sull’aeroporto di Gorizia. Il 13 aprile tutte le Squadriglie atterrano a Ronchi ed il cap. Aldo Remondino tiene il briefing sulle manovre da eseguire. Per ogni Stormo c’e’ uno specialista che interviene per le normali operazioni di assistenza tecnica. Per il 4° Stormo c’e’ il serg. Enzo Vosca, che giunge direttamente da Gorizia su un Ca 100 pilotato dal serg. Vittorio Romandini. Quel giorno Romandini, che doveva essere il  gregario esterno di destra di Remondino, non si sente molto bene ed e’ sostituito da un collega. Poiche’ si effettuano due missioni al giorno, tra l’una e l’altra i velivoli vengono controllati e riforniti di liquido al radiatore, il CR32 consuma parecchia “acqua”. Di carburante non ce n’e’ bisogno grazie alla capacita’ dei serbatoi. La “super” formazione, formata da ben 28 velivoli CR32 e’ composta da 4 pattuglie di 7 velivoli ciascuna ed e’ comandata da Remondino che dopo la guerra diventera’ Capo di Stato Maggiore. Io sono il gregario “esterno” sinistro della pattuglia di Remondino. Guidare una simile formazione sarebbe un’impresa eccezionale oggi, figuriamoci per quei tempi con dei velivoli senza radio, con poca potenza e con l’effetto “coppia dell’elica” che li rendeva instabili, richiedendo un incessante lavoro di “pedaliera” ad ogni variazione di potenza e velocita’. E’ una bella giornata, sull’aeroporto di Ronchi la formazione di 28 velivoli si sta allenando, le quattro pattuglie sono disposte a “rombo”. La pattuglia del 4° Stormo, comandata da Remondino guida la formazione. Alla sua sinistra ed alla sua destra, leggermente indietro, le pattuglie del 1° e 3° Stormo. Dietro, a chiudere la formazione a rombo, la pattuglia del 6° Stormo. Tutto va bene fino all’esecuzione del looping. Remondino, in testa alla formazione, sorvola il Carso da Est verso Ovest ed inizia una picchiata per prendere velocita’, puntando l’aeroporto di Ronchi. Sorvola l’aeroporto a circa 80 metri ed in fondo al campo comincia a cabrare per ripetere una manovra gia’ provata in precedenza. Quando la formazione ha superato la posizione verticale e manca poco alla sommita’ della manovra, a circa 300 metri, la pattuglia del 1° Stormo, al comando di Brambilla, si avvicina a quella di Remondino (4° Stormo). Mascellani, gregario esterno destro della pattuglia di Brambilla, viene “spinto” conseguentemente verso destra ed e’ oramai a pochi metri da me che sono il piu’  esterno sulla sinistra di Remondino. Brambilla se ne rende conto e per correggere ha uno scarto a sinistra. Bruno di Montegnacco, suo gregario di sinistra, che volava molto “stretto”, ala dentro ala, non riesce ad evitare la collisione. Ne’ io ne’ gli altri piloti ci accorgiamo immediatamente di quello che sta avvenendo perche’ siamo impegnati a mantenere la formazione ed ognuno tiene la testa girata lateralmente con l’occhio incollato al suo leader. Nel frattempo siamo gia’ in volo rovescio, a testa in giu’, e Remondino, che ha notato con la coda dell’occhio la collisione, istintivamente si sposta a destra ed entra in collisione con Renzi che a sua volta investe il velivolo alla sua destra. Tonello, Montanari ed io ci troviamo in mezzo al “caos” ed e’ un miracolo che non ci investiamo l’un l’altro. Sono ancora rovescio e con il muso verso il basso. Con tutto motore “dentro” mi giro e, con il timore di entrare in collisione da un momento all’altro, cabro violentemente per “tirarmi fuori” al piu’ presto dalla baraonda di velivoli impazziti. La formazione si “rompe” ed i velivoli “schizzano” in tutte le direzioni. Brambilla si lancia con il paracadute mentre di Montegnacco ritarda il lancio per tentare di riprendere il controllo del velivolo ma quando lo fa e’ troppo tardi, e tocca il suolo con il paracadute non completamente aperto e muore nell’impatto. Sempre a testa in giu’, intravedo dei rottami che volano e riesco a scorgere la scena dei due velivoli gia’ a terra, avvolti dalle fiamme. Gli specialisti che attendevano il rientro dei velivoli sono sotto un’improvvisata baracca di legno che serve da riparo e con l’orecchio allenato sentono subito dalle “smotorate” che qualcosa di grave sta accadendo ed immediatamente si precipitano fuori. I due velivoli sono gia’ a terra in fiamme. Brambilla sta per toccare terra col paracadute mentre di Montegnacco si e’ gia’ schiantato con il paracadute non completamente aperto. Remondino atterra poco dopo con il velivolo seriamente danneggiato. Fra i primi a prestare soccorso c’e il famoso pilota collaudatore dei Cantieri aeronavali di Monfalcone, Mario Stoppani, che porta ancora i segni delle ustioni a seguito dell’incidente in Atlantico nel quale aveva perso la vita un altro famoso pilota del 4° Stormo, il cap. Mario Viola, con il quale partecipai alla esibizione della Pattuglia Acrobatica a Budapest nel 1936. I velivoli della formazione oramai scomposta rientrano “sciolti” all’aeroporto di Gorizia e Campoformido dove immediatamente gli specialisti intuiscono il dramma. Con la perdita di Bruno di Montegnacco il 4° Stormo perde uno dei piu’ valorosi piloti. Il diario di guerra della Spagna, pubblicato dopo la morte, mi sara’ dato in suo ricordo con la dedica della famiglia.

L’incidente di Franco Comelli
Il ten. Franco Comelli e’ anche lui della 91^ Squadriglia e l’8 luglio 1938, si trova nell’aeroporto di Foligno. Dopo aver pranzato con dei colleghi, sale sul CR32, mette in moto e decolla per rientrare a Gorizia. Poco dopo la fine del campo, con il sole di fronte, non scorge un traliccio dell’alta tensione e lo investe in pieno. Comelli era decorato di medaglia di bronzo e d’argento meritate durante la Campagna di Spagna, dove aveva conseguito due abbattimenti. La sua salma viene trasportata a Gorizia, le esequie vengono officiate nella chiesa di San Giusto e sepolto nel cimitero vicino all’aeroporto. Un CR32 scolpito sulla lapide lo ricorda ai suoi concittadini.

In volo con il ten. Visintini
 Il 31 marzo 1939, decollo da Gorizia con un bimotore da trasporto Caproni CA133 con destinazione Grottaglie, insieme al ten. Mario Visintini che ha funzioni di capo equipaggio, al serg. motorista Moro ed al 1° aviere montatore Arino. Le missioni prevedono il trasporto di truppe in Albania e giunti a Grottaglie vengono pianificati alcuni voli di ambientamento. Il 3 aprile, con il CA133 decolliamo da Grottaglie e puntiamo su Gallipoli. Nel porto e’ ormeggiato il sommergibile Scire’ utilizzato come “avvicinatore” per le azioni dei mezzi d’assalto detti “maiali” e sul quale e’ imbarcato il fratello di Visintini, pilota di uno di questi mezzi e che perderà la vita a Gibilterra il 7 dicembre 1942. Quando si distingue la sagoma del sommergibile, Visintini inizia a scendere per effettuare una “puntata”. Assisto in silenzio ma quando mi rendo conto che il tenente e’ troppo basso, prendo i comandi e “tiro”. Il tenente non “gradisce” l’intervento ma “l’incidente” si chiude li. L’8 aprile effettuiamo il volo da Grottaglie a Tirana, sbarchiamo i militari e rientriamo a Grottaglie senza incontrare difficolta’. Il 10 aprile decolliamo nuovamente con
 destinazione Tirana. Giunti in prossimita’ della costa albanese le nubi sono molto basse e coprono le montagne. In una situazione del genere la scelta d’obbligo e’ una sola e cioe’ invertire rotta e rientrare.. Visintini comunica invece all’equipaggio che intende proseguire ed entra nelle nubi. Il motorista che e’ seduto dietro comincia ad agitarsi e strattonarmi sulla spalla per farmi capire di convincere Visintini a desistere. Provo a sollevare delle obiezioni ma alla fine visto inutile ogni tentativo, rivolto a Visintini, esclamo: “Ho io i comandi, si torna indietro!”. La reazione di Visintini questa volta e’ abbastanza forte e minaccia di deferire alla Corte Marziale me ed il resto dell’equipaggio per “ammutinamento” ma comunque “lascia fare”. Essendoci a bordo sufficiente carburante si decide unanimamente di dirigere su Gorizia costeggiando l’Albania e la Jugoslavia, mantenendoci sempre sotto lo strato di nubi. Giunti in prossimita’ di Parenzo, paese natale di Visintini, riprende i comandi e si
 abbassa per effettuare delle “puntate” sulla sua casa. Si ripete la situazione verificatasi su Gallipoli ed anche questa volta volano minacce nei miei confronti. Atterrati a Gorizia, mi metto a rapporto dal comandante di Squadriglia cap. D’Agostinis e quest’ultimo chiama Visintini, gli fa una lavata di capo e conclude con un ” … guai a te se provi un’altra volta ad entrare nelle nubi!”. Scoppiata la Guerra, Visintini viene inviato in Africa Orientale dove si fa onore abbattendo 16 velivoli nemici che gli fanno guadagnare la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Nel ’41, nel tentativo di rintracciare l’amico serg. Gino Baron, finisce contro una montagna. Il fratello, tenente di vascello Licio Visintini, incursore dei mezzi d’assalto subacquei della X^ flottiglia MAS , caduto a Gibilterra, verra’ insignito pure lui di Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Il MC200 ed il CR42
 Il 19 agosto1939 effettuo a Lonate Pozzolo – Varese, il passaggio sul nuovo Mc200. Questo velivolo e’ stato assegnato al 4° Stormo per ammodernare la linea di volo ma le sue caratteristiche che lo portano ad entrare facilmente in “autorotazione” durante le virate a bassa velocita’, fanno si’ che i piloti chiedano ed ottengano la sua sostituzione con il CR42. Verra’ cosi’ effettuato uno “scambio” con il 54° Stormo di Treviso, cui vengono ceduti i Mc200. In agosto sono pertanto a Lonate Pozzolo per la consegna dei primi Mc200 insieme a D’Agostinis, Romandini, Corsi; fra gli specialisti incontro l’amico Vosca. E’ il primo aereo con carrello retrattile e flaps e dopo un corso sugli impianti e sulle caratteristiche, assistiamo alla presentazione in volo da parte del famoso collaudatore Carestiato. Il Mc200 e’ in versione monoposto e pertanto dopo le debite istruzioni, si decolla da soli. Osservando le manovre effettuate con disinvoltura dall’abile collaudatore, il velivolo sembra avere delle prestazioni eccezionali ma quando siamo in volo, ci rendiamo subito conto che non e’ proprio cosi’ e ci sono alcune difficolta’ di pilotaggio. L’atterraggio e’ alquanto critico, se si prova toccare terra “sui tre punti”, l’aereo tende a sprofondare violentemente ed una qualsiasi manovra un po’ brusca sui comandi fa entrare in “autorotazione”. Romandini proprio per queste difficolta’, abituato al CR32 che non aveva i flaps e pertanto arrivava con il “muso alto”, invece di continuare con il “muso basso” fino a terra, qualche metro prima richiama e “cade d’ala” danneggiando seriamente un velivolo. Corsi ha invece difficolta’ perche’ e’ troppo brusco sui comandi e non riesce a completare i primi looping, il velivolo gli entra in “autorotazione”. Il problema del Mc200 e’ causato dal profilo delle estremita’ alari che provocano un prematuro stallo di quest’ultime alle basse velocita’ o sotto forti accelerazioni con conseguente perdita di controllo laterale degli alettoni. Dopo le prime versioni di velivoli nate male, le serie successive verranno modificate e l’inconveniente eliminato. Prima della partenza a tutti noi viene fatto omaggio di un modellino metallico del Mc200 che ancora oggi conservo. Nel frattempo e’ stato deciso lo scambio dei Mc200 con il CR42 e cosi’ l’8 settembre decolliamo da Lonate Pozzolo per Treviso dove “consegnamo” i velivoli appena usciti dalla fabbrica. Dopo l’infelice esordio del Mc200, il 16 settembre, effettuo il passaggio sul CR42. Nel 1936, poco dopo il mio rientro dalla Spagna, avevo conosciuto una ragazza, Beatrice Pian. Era la figlia del proprietario del locale da ballo e del cinema che siamo soliti frequentare noi piloti e che si trova proprio al centro della piccola piazza di Fogliano. Nel dicembre 1939 ci sposiamo e nel novembre del 1942, in piena guerra, avremo un figlio. Diverra’ anche lui pilota e poi comandante della Compagnia di Bandiera, l’Alitalia.

La Guerra e la partenza per l’Africa Settentrionale
 La guerra inizierà il 10 giugno 1940, ma già’ il 5 giugno arriva l’ordine di partenza per l’Africa Settentrionale. Il volo di trasferimento presenta non poche difficolta’: percorso su distanza ragguardevole, situazione meteorologica sfavorevole, lungo tratto di mare. Vengono scelti i piloti piu’ anziani ed esperti e cosi’ il 7 giugno, insieme al s.ten. Luigi Giannella decollo con un Ca133 da Gorizia e dopo 3 ore e 25 minuti arriviamo a Foggia. Il giorno successivo facciamo Foggia, Grottaglie, Catania. Il 9 giugno ci aspetta la traversata, dopo lo scalo a Comiso in 3 ore di volo giungiamo a Tripoli Castel Benito. L’11 giugno ripartiamo, Castel Benito, Nadi Tamet, Bengasi ed infine, il 12 giugno, Bengasi, Tobruk – T2. Le missioni dei nostri CR42 consistono principalmente nella ricerca ed attacco alle autoblinde inglesi. I primi giorni la caccia avversaria e’ poco agguerrita gli scontri sono poco frequenti. L’8 agosto in uno scontro tra 16 CR42 e 27 Gladiator perdiamo 7 dei nostri e tra questi l’amico Renzi del quale non si trovera’ piu’ il corpo. Il 19 giugno, in un’altro combattimento scompare colui che era il mito del 4° Stormo: Ugo Corsi. Il suo velivolo finisce in mare ed anche di lui si perdera’ ogni traccia. Il 28 giugno sono sul campo Tobruk-T2 ed assisto all’attacco aereo dei quindici bombardieri inglesi Blenheim ed al successivo abbattimento del S79 di Balbo. Quest’ultimo si presenta, insieme ad un altro S79 con a bordo il gen. Porro, subito dopo l’attacco inglese, provenendo dalla stessa direzione degli attaccanti e senza aver effettuato il prescritto giro di riconoscimento. Le difese a terra si aspettavano un secondo passaggio dei bombardieri inglesi e, quando un inserviente alla contraerea apre incautamente il fuoco, si scatena l’inferno e l’aereo di Balbo diventa una palla di fuoco ed in pochi secondi precipita. L’aereo di Porro che era piu’ indietro ed alto, si abbassa e riesce ad evitare di essere colpito. Da quando siamo giunti a Tobruk, l’alimentazione, la situazione igienica ed il caldo torrido contribuiscono a debilitare il fisico. Il 29 luglio, mentre sono in volo, perdo i sensi e mi distacco dalla  formazione iniziando a perdere quota. Il resto della formazione mi segue pensando che abbia individuato un bersaglio. Vicino a terra riprendo i sensi e rientro alla base. Mi viene riscontrato un forte deperimento organico e messo a terra. Il 18 agosto rientro a Gorizia per essere curato.

A Gorizia alla Scuola Addestramento Caccia
 Ripresomi dalla malattia, mi presento a D’Agostinis e chiedo di ritornare con il mio reparto in Africa. Mi risponde che a Gorizia servono istruttori per i nuovi piloti e che avevo già’ dato il mio contributo in Spagna. Vengo trattenuto a Gorizia ed incaricato dell’addestramento dei nuovi piloti sul CR32 alla Scuola Addestramento Caccia Terrestre, II Reparto. Qui incontro il mio amico Mario Bandini che, ferito in un combattimento per il quale gli e’ stata conferita la medaglia d’Argento al valor militare, è da poco rientrato dall’Africa Settentrionale. Il 16 giugno 1940, su El Adem, Bandini aveva incontrato sei Blenheim che rientravano da un bombardamento sul campo T.3 di Tobruk. Portatosi in coda ad uno di essi, lo mitraglia finche’ non lo vede abbattersi al suolo ma viene a sua volta ferito seriamente al braccio sinistro da un caccia nemico che gli si e’ “incollato” in coda. Nonostante il sangue perduto e la ferita che gli impedisce di fare uso del braccio, Bandini rientra ed atterra a Tobruk. Per questa azione gli verra’ conferita la medaglia d’argento al V.M. La Scuola e’ comandata da Ernesto Botto mentre Vittorio Pezze’ comanda il Reparto Volo.Pezze’ e’ friulano, nato a Udine nel 1915. Il fratello Piero (1913-1980) e’ un noto compositore di violino le cui opere sono state ricordate recentemente in “Le Arti a Udine nel ‘900″. Pezze’ viene contagiato dalla passione per questo strumento musicale che coltivera’ negli anni. Giunge al 4° Stormo da pilota di complemento nel dicembre 1933 è assegnato alla 96^ Squadriglia dove ben presto le sue doti di pilotaggio sono subito evidenti. Congedato nel 1934 viene poco dopo richiamato in servizio effettivo ed entra a far parte della 73^ Squadriglia. L’esordio acrobatico di Pezze’ avviene il 28 marzo 1936 quando gli viene affidato il comando della Pattuglia del 4° Stormo, formata dalla 73^ Squadriglia (Moscatelli, Viola, Montanari, Pezzè, Renzi) e dalla 91^ (Rossi, De Prato, Chianese, Romandini, Castelletti, Giacchetti), in occasione del”4° giorno dell’Ala” sull’aeroporto di Ciampino, dove ci esibiamo alla presenza delle massime autorita’ italiane e straniere eseguendo un programma di figure acrobatiche con due formazioni di cinque velivoli. Comanda successivamente la Pattuglia Acrobatica alle manifestazioni di acrobazia aerea del 1936 a Budapest (alla quale partecipo pure io), del 1937 a Zurigo, del 1938 a Belgrado e del 1939 a Berlino. Con Gorizia i sui legami si rinsaldano ulteriormente quando sposa la goriziana Tudor. Lo ricordero’ sempre come un abile edi instancabile pilota. Era un gran manico ed un ottimo istruttore. Lamberto Del Moro, uno degli ultimi piloti giunti alla Scuola Caccia nel 1942 a Gorizia e che risiede ancora nella nostra citta’, e’ stato suo allievo e lo ricorda come un uomo tranquillo e riservato che aveva un talento istintivo per il volo: ” … in volo aveva la serenita’ e la calma dei grandi piloti …”. Alla Scuola Addestramento Caccia c’e un anche il maresciallo, Albino Cagliari, un “anziano” e pluridecorato pilota che si e’ fatto onore in Cirenaica. Arrivato nel 1934 al 21° Stormo da Ricognizione, nel 1936 transita al 4° ed assegnato alla 97^ Squadriglia. Data la sua esperienza, viene richiesto da Pezze’ al Nucleo di Addestramento dello Stormo. Per la sua grinta dimostrata in Cirenaica, lo chiamano “Il diavolo del deserto”. Un giorno mi vengono affidati due allievi di Bandini e la missione prevede di effettuare “anche” delle “file indiane”. Chiedo loro se gia’ conoscono la manovra ed andiamo in volo con tre CR32. Guido la “fila indiana” e li tengo d’occhio. Imposto un looping e l’allievo che e’ in coda commette un errore fatale. Invece di tenere il velivolo che gli sta avanti piu’ in “alto”, stringe troppo e conseguentemente lo perde di vista investendolo. La collisione e’ violente ed i velivoli si disintegrano. Il pilota investito rimane incastrato tra i rottami e precipita con l’aereo. L’investitore si salva lanciandosi con il paracadute. Alla Scuola l’attivita’ di volo e’ intensa, si “macinano” ore su ore di volo e si prende grande confidenza con il velivolo. La versione da addestramento biposto del
 CR32, il CR30, si presta bene per la manovra da me sempre la preferita, il volo a “coltello”. Un giorno, con un allievo in addestramento nel posto anteriore, prendo i comandi. Acquisto velocita’ con la solita affondata e passo a tutta velocita’ davanti agli hangar del 4° Stormo inconfigurazione a “coltello”. Dopo 200-250 metri, quando la velocita’ comincia a decrescere e l’aereo a sprofondare verso terra, vado per raddrizzarlo con la pedaliera. Un attimo di terrore mi gela il sangue: la pedaliera e’ bloccata! Era gia’ successo in altre occasioni ma a quota di sicurezza, il tacco della scarpa dell’allievo si era incastrato tra la pedaliera ed una lamiera sporgente del pavimento. Raddrizzare con l’alettone e’ un suicidio poiche’ finirei a terra dalla parte del timone bloccato. Per mia fortuna non perdo mai la calma in questi frangenti. Spingo ancora di piu’ la pedaliera dalla parte che e’ incastrata e riesco a sbloccare il tacco dell’allievo. Anche questa volta e’ andata bene!
 Pure l’abilissimo Pezze’ ogni tanto passa a bassa quota a “coltello” ma non riesce a percorrere la mia distanza ed “abilmente” conclude con una manovra spettacolare: chiude con una virata passando in mezzo a due hangar, con la punta dell’ala piu’ bassa degli stessi. Solo Carestiato riesce a fare la mia stessa manovra con il CR32!

L’8 settembre
 L’8 settembre 1943 a Gorizia, come del resto ovunque, gli ordini arrivano confusi o meglio non arrivano affatto. Diversi ufficiali non danno un grande esempio ai subalterni e si dileguano. Il comandante dell’Aeroporto e’ il colonnello Botto, divenuto famoso per i suoi combattimenti in Spagna ove perse una gamba e soprannominato “Gamba di Ferro”. Bandini ed io che abbiamo molta fiducia in Botto gli chiediamo consiglio sul da farsi. Il colonnello e’ ottimista ci tranquillizza: “Conosco bene il generale Kesserling, vi faro’ avere un permesso e ve ne tornerete a casa”. Poco dopo lo incontriamo in Corso Italia mentre scende dalla macchina e si avvia verso il Caffe’ Garibaldi. Lo fermiamo per avere notizie ma infastidito ci liquida con poche parole: “Ragazzi non ho tempo. Ho un appuntamento con una signora”. Rimaniamo allibiti, una simile risposta da una personalita’ carismatica come lui che aveva la fama dell’eroe non ce l’aspettavamo proprio. Delusi, ci ripromettiamo di riferire ai nostri superiori quanto abbiamo sentito, sempreche’ si presenti l’occasione opportuna. Botto piu’ tardi, in una trasmissione alla radio, lancera’ un appello alla Nazione ed in particolare ai piloti per unirsi in difesa dei bombardamenti anglo-americani. I tedeschi nel frattempo affiggono sui muri della citta’ dei manifesti che sollecitano i militari italiani a presentarsi presso i loro Comandi, minacciando gravi ritorsioni per chi non ottemperasse all’ordine. Seppure con qualche titubanza, Bandini ed io, decidiamo di presentarci. I tedeschi ci inviano all’aeroporto di Aviano e qui, alle sollecitazioni di combattere al loro fianco, rispondiamo che intendiamo attendere che si formi il nuovo Governo Repubblicano per poi aderire alla nuova Aeronautica. I tedeschi ci chiedono di far parte nel frattempo del Gruppo Trasporto Velivoli e veniamo pertanto inviati nuovamente a Gorizia dov’e’ il centro di raccolta per il trasferimento in Carinzia (Austria) dei velivoli civili e militari requisiti, dai Nardi FN 305 ed Avia FL3 ai Ca 100, CR32, CR42, Mc200 ed Mc202. Veniamo alloggiati nella palazzina ufficiali, quella che oggi e’ sede della Guardia di Finanza. Con me ci sono Montanari, Bandini, Romandini, Zorn, Gusso ed alcuni piloti del corso Vulcano, giunti da poco dall’Accademia e tra i questi il s.ten. Ettore Erasmo di Valvasone. C’e’ anche il ten. Giovanni Pittini, un friulano che passera’ al 1° Gruppo Caccia di Campoformido. Dopo alcuni mesi perde la vita in un banale incidente Romandini, un pilota che aveva superato le prove piu’ difficili. E’ tra i primi piloti giunti a Gorizia, ha fatto parte della Pattuglia Acrobatica alle manifestazioni di Budapest nel 1936 e 1937, a Belgrado nel 1938. Durante un trasferimento di un Nardi FN305 da Rimini a Gorizia, in coppia con Montanari, incontrano la nebbia. Montanari torna indietro mentre Romandini prosegue da solo. Forse a causa della scarsa visibilita’ o ad un avaria e’ costretto ad un atterraggio di fortuna nelle campagne di Pellestrina, Chioggia. Non si avvede di un fosso che delimita il campo prescelto per l’atterraggio e nell’impatto rimane gravemente ferito. Soccorso da due tedeschi, nonostante le condizioni disperate e con fratture al volto ed emorragie interne, viene estratto e trascinato morente per cinquecento o seicento metri attraverso i campi, fino alla piu’ vicina strada. Decede all’ospedale di Chioggia il 13 novembre 1943 e li’ viene sepolto. Solamente nel 1997, alla morte della moglie i suoi resti verranno traslati nel cimitero di San Lorenzo ove riposano insieme. Alcuni mesi dopo la morte di Romandini, la vedova Ludovica Musina, con la figlioletta Liliana di due anni, torna nella casa dei genitori a San Lorenzo e lascia l’appartamento di Corso Italia n.79 (oggi n.205). Dalla casa di via Brigata Casale, nella quale ero andato ad abitare appena sposato, mi trasferisco nell’appartamento lasciato dalla signora Romandini, situato al secondo piano di un elegante palazzo in stile austriaco di proprieta’ dei Viatori, famiglia benestante di origine slovena che gestisce l’omonima panetteria di via Duca d’Aosta. Sotto di noi abita la famiglia Crali ed il loro figlio, Tullio Crali, mio coetaneo, e’ gia’ da tempo un noto pittore futurista. Lo conoscevo da prima poiche’ lo vedevo spesso in aeroporto in quanto amico di Botto. Crali che da giovane voleva fare il pilota, non ha mai dimenticato la sua passione per il volo ed abitare vicino ad un aeroporto come quello di Gorizia non poteva lasciarlo indifferente. Ben presto frequenta l’ambiente dei piloti e grazie all’amicizia con Botto ha occasione di effettuare diversi voli sul “biposto” CR30 della Scuola Addestramento Caccia. I suoi quadri riveleranno molti particolari che solo chi ha volato avrebbe potuto dipingere. Il mattino del 18 marzo 1944 lascio l’aeroporto in bicicletta ed intorno alle 11.00 sono in corso Italia (allora corso Vittorio Emanuele III) all’altezza del caffe’ Garibaldi, quando sento il rombo di una formazione in avvicinamento da Sud. Intravedo, nascosti parzialmente dalle case, alcune dozzine, di bombardieri B24 che volano ad una quota di circa duemila metri e stanno virando verso Est. Poco dopo si sparge la voce che hanno bombardato l’aeroporto. Il primo pomeriggio torno in aeroporto, i danni sono evidenti ma limitati. Sono stati colpiti alcuni caccia impegnati nell’affrontare i bombardieri e che erano appena atterrati per rifornirsi. Vengono invece danneggiati seriamente tutti gli SM 79 del Gruppo Aerosiluranti “Buscaglia”. Diversi aerei si salvano poiche’ prudentemente decentrati o in volo. Rimane ucciso il pilota s.ten. Folicaldi ed alcuni specialisti. Tra i feriti, quattro piloti ed diversi specialisti. Pesante e’ invece il bilancio di perdite umane tra i civili, circa 150. Ci sono molti morti tra gli addetti della TODT e una trentina tra i contadini di Merna e paesi limitrofi. Sono stati sganciati spezzoni da 20 pound (10 kg) che non sono molto potenti ma micidiali se ci si trova all’aperto ad una decina di metri dall’impatto. Dai documenti ufficiali inglesi risulta che quel giorno una formazione di 280 bombardieri, partita da basi sulle coste adriatiche si e’ portata sull’Austria e poi, con un’azione diversiva, si e’ divisa in tre gruppi diretti su Lavariano, Maniago e Merna, rispettivamente di 67, 121 e 72 velivoli. Secondo la mia impressione e la testimonianza di colleghi, il numero di velivoli che hanno partecipato al bombardamento di Gorizia, era inferiore. Il 9 agosto 1944, muore l’amico Zorn. Insieme a Montanari ed ai giovani s.ten. Zucconi e di Valvasone erano partiti da Gorizia una ventina di giorni prima con dei Saiman 202 e destinazione Innsbruck. A causa delle condizioni meteo proibitive sono costretti a fermarsi per tre settimane a Bolzano. Il 9 agosto ripartono e poco dopo vengono intercettati da una pattuglia di P51 Mustang. I Saiman che volano molto bassi tentano di disimpegnarsi infilandosi nelle vallate. Zorn e’ colpito, tenta un atterraggio di fortuna ma viene finito mentre sta per toccare il suolo. Quando il Governo della Repubblica Sociale Italiana e’ costituito Bandini ed io ci presentiamo al Comando di Padova per aderire all’Aeronautica Militare della nuova Repubblica. Da Padova veniamo poco dopo trasferiti a Desio ed assegnati al III Gruppo Caccia della ANR (Aviazione Nazionale Repubblicana), comandato dal col. Fernando Malvezzi, detto anche “Pel di carota” per il colore rossiccio dei capelli. Veniamo accolti da Malvezzi che in modo molto crudo ci dice che siamo “troppo vecchi” (33 anni, sic!). I combattimenti, quasi “suicidi”, contro le Fortezze Volanti americane che dispongono di una potenza di fuoco formidabile, possono essere affrontati solo con l’incoscenza dei giovani. Rimaniamo pertanto in forza al III Gruppo Caccia ma non partecipiamo ad alcuna azione bellica, anche perche’ questo Gruppo non diverra’ mai operativo. Dopo alcuni giorni trascorsi a Desio, Bandini ed io chiediamo un permesso per rientrare a Gorizia. Terminato il permesso la situazione nel Nord Italia e’ talmente caotica che il rientro diventa un’Odissea e pertanto ci presentiamo a Desio con 5 giorni di ritardo. Al Comando veniamo redarguiti da un colonnello che non accetta spiegazioni e minaccia di deferirci alla Corte Marziale per diserzione. Veniamo cosi’ inviati al Ministero dell’Aeronautica a Milano e qui troviamo una vecchia conoscenza della Spagna, il col. Giuseppe Baylon che ci tranquillizza e ci trasferisce a Lonate Pozzolo (Varese) alla Compagnia Guardie presso l’Aeroporto Militare di Cameri. Per la prima volta possiamo osservare da vicino i nuovi aerei tedeschi a reazione, Arado 234. Passano alcuni mesi ed otteniamo un nuovo permesso per rientrare a Gorizia. I trasferimenti si effettuano chiedendo passaggi a qualsiasi mezzo circolante ed e’ cosi’ che giunti vicino a Gorizia, tra Mossa e Lucinico, il camion sul quale viaggiavamo esce di strada e Bandini si frattura alcune ossa. Viene ricoverato presso il seminario, adibito ad ospedale ed oggi sede dell’Universita’. Scaduto la licenza, durante il viaggio di ritorno, nelle vicinanze di Verona, vengo a sapere che gli americani sono gia’ a Milano e cosi’ decido di rientrare nuovamente a Gorizia.

La fine della Guerra
A Gorizia arrivano i partigiani di Tito e molti cittadini, soprattutto quelli che avevano incarichi nell’amministrazione statale e comunale o nelle Forze Armate, lasciano la citta’ per rifugiarsi nei paesi oltre l’Isonzo. In quei quaranta giorni di occupazione vengono deportati circa 600 cittadini e di loro si perdera’ ogni traccia. Come gran parte dei goriziani abbandono di tutta fretta la citta’ e mi rifugio nella grande casa dei suoceri a Sagrado, dove posso contare sull’aiuto dei cugini di mia moglie che sono in buoni rapporti con i partigiani. I primi giorni di maggio del 1945 a Sagrado giungono gli inglesi ed il 10° Reggimento “Royal Ussars” della “First Armoured Division” si accampa nei pressi dell’attuale campo sportivo. Il loro Comando requisisce un paio di stanze della casa della famiglia Pian, i miei suoceri, per alloggiarvi alcuni giovani ufficiali. Poco tempo prima la stessa casa era stata occupata da ufficiali tedeschi. Mia cognata, una ragazza di 22 anni molto carina e
 simpatica, e’ subito al centro dell’attenzione degli ufficiali inglesi e in poco tempo instaurano un rapporto di amicizia e fiducia reciproca con tutta la famiglia. La guerra oramai volge alla fine, gli animi cominciano a rasserenarsi e sulla terrazza mia cognata organizza un ballo al quale partecipano tutti gli ufficiali, circa una trentina, del reggimento. Vengo presentato al colonnello comandante del Reggimento, mi qualifico e gli spiego la mia delicata posizione. Mi dice di non preoccuparmi che oramai la guerra e’ finita, e’ questione di pochi giorni. La presenza degli inglesi, che rimarranno a Sagrado fino ai primi di settembre, mi evita i rischi che si correvano anche nei giorni seguenti al termine ufficiale del conflitto. Due di questi ufficiali, i tenenti Daniel Walker e Peter Walker, torneranno a Sagrado nel 1998 e con loro grande sorpresa troveranno la casa dei Pian praticamente come l’avevano lasciata 53 anni prima. Custodivano con cura ancora diverse foto scattate allora con la nostra famiglia.

Il dopo guerra
Terminata la guerra vengo messo in “licenza speciale in attesa di reimpiego” e “sfollato” nel 1949. Gli anni del dopoguerra sono duri per tutti e quello che passa l’Aeronautica non basta. Per “tirare avanti” ci si deve ingegnare e cosi’ mi dedico al commercio del vino all’ingrosso insieme al m.llo Rossi, specialista ed amico. Verso la fine degli anni 40 l’Arma Aeronautica deve riformare gli organici e servono piloti esperti e quelli rimasti oramai si contano sulle dita delle mano. E’ cosi’ che nel 1951 vengo “richiamato” dall’Aeronautica Militare, quale istruttore, insieme a Bandini, per istruire le nuove leve di piloti. Lascio la famiglia a Gorizia e parto per le Scuole di Volo, dove incontrero’ vecchi amici come Pezze’ (Comandante della Scuola di Galatina), Avvico, Mascellani e Squarcina. Mascellani diverra’ famoso nell’ambiente aeronautico per la sua perizia acrobatica con il G59 e Squarcina comandera’ prima la pattuglia acrobatica dei “Diavoli Rossi” e poi nel 1961 dara’ vita
 alle “Frecce Tricolori”. Il 24 luglio comincio a volare sull’aeroporto di Brindisi con il T6. Dopo una breve “ripresa voli” riprendo il lavoro di istruttore. Il 5 febbraio 1952 vengo trasferito alla Scuola di Lecce e poco dopo comincio a volare con il G59, una macchina dalle eccellenti prestazioni anche se alquanto impegnativo, in gergo aeronautico “da naso”. Il 31 ottobre 1952 Mascellani ed io veniamo inviati con due G59 in Sardegna per “istruire” gli istruttori che cola’ operano. Facciamo scalo ad Amendola e ripartiamo il 2 novembre per Guidonia. Il 3 dicembre “facciamo” Guidonia, Olbia, Elmas. Giunti ad Elmas scopriamo che gli istruttori sono tutte nostre vecchie conoscenze che non hanno assolutamente bisogno dei nostri consigli e ci rifiutiamo di “istruirli”. Il 10 novembre ci vengono allora assegnate due squadre, di tre allievi ciascuna, da addestrare. Un giorno e’ prevista una missione di “coppia” con uno di loro. Nel briefing spiego le manovre che eseguiremo
 all’allievo; inizieremo con delle virate “sfogate” per poi passare a dei looping. Andiamo in volo con due G59, ci portiamo sui 1500 metri ed iniziamo a lavorare con un po’ di virate strette e sfogate. Poi per radio gli dico: ” … ora facciamo un looping!”. Inizio una picchiata, cabro e quando sono verticale vedo che l’allievo continua con il muso verso l’alto e non “stringe”, … rimane in piedi, perde velocita’, scampana ed entra in vite. Raddrizzo l’aereo ed imposto una virata in discesa per tenerlo in vista, lo vedo continuare a ruotare velocemente in vite, … provo chiamarlo con la radio, … non risponde, gli do’ le istruzioni per uscire dalla vite ma non risponde, se non ha involontariamente premuto il pulsante di trasmissione dovrebbe sentirmi. Invece e’ proprio cosi’, probabilmente, preso dal panico, ha il dito premuto sul pulsante della radio e pertanto e’ in trasmissione ed ha la ricezione interdetta. Infatti pochi secondi prima di impattare il terreno sento per radio un urlo. Una gran
 fiammata conclude in tragedia la sua missione. Il 28 novembre si torna a Lecce dove riprendo a volare con il T6 ed il G59. Il 6 maggio 1954 effettuo il primo volo sul F51 Mustang. E’ una macchina superlativa dalle prestazioni eccellenti, e’ dotato dello stesso motore Rolls Royce da 1700 Hp dello Spitfire IX. Era impensabile per noi vincere la guerra contro un nemico che disponeva di velivoli simili. Eppure nonostante tutto era un aereo meno impegnativo dei nostri Mc202 e Mc205. Noi facevamo dei velivoli che richiedevano grande abilita’ mentre gli americani avevano capito che bisognava puntare su macchine che anche il pilota medio poteva gestire, soprattutto in atterraggio. Il Mustang rispetto al G59 e’ per certi aspetti piu’ “padre di famiglia” (cosi’ si dice nel linguaggio dei piloti quando un velivolo “tollera” i piccoli errori). E’ meno critico in atterraggio ma tuttavia l’enorme potenza del suo motore fa si che e’ difficile da controllare. Soprattutto all’inizio del decollo, a causa della forte tendenza all’imbardata causata dalla “coppia” dell’elica, non sono rari i casi di allievi che “escono” di pista danneggiando seriamente il
 velivolo. Ci son stati dei periodi a Lecce che quasi tutta la “flotta” dei Mustang era fuori uso per “uscite di pista”. Anche in atterraggio, se si rende necessaria una “riattaccata”, e’ richiesto un considerevole sforzo fisico e prontezza nel compensare gli effetti della coppia dell’elica. Avendo inoltre caratteristiche molto spinte, raggiunge velocita’ elevate in picchiata ed i comandi di volo diventano molto “duri”. Alcuni piloti che durante la “finta caccia” o per altri motivi effettuano delle “affondate” veloci e prolungate hanno difficolta’ ad uscirne e la velocita’ puo’ arrivare a valori pericolosi. E’ cosi’ che sul cielo di Lecce, a circa 500 metri di quota, un Mustang, che si e’ trovato in queste condizioni, si disintegra in volo. Un giorno a Lecce sono di servizio in “biga”. La “biga” e’ una postazione radio semifissa posta lateralmente alla pista e dalla quale un istruttore di turno segue da terra le evoluzioni dei piloti “solisti” ed e’ pronto ad intervenire in caso di avarie o emergenze degli
 allievi in volo. Gli allievi che volano sul F51 Mustang hanno disposizione di stare sul “cielo campo” e ci puo’ essere solo un allievo alla volta in volo. Quelli sul G59 ed AT6 hanno piu’ liberta’ ed a loro sono assegnate zone di “lavoro” limitrofe (piu’ esterne) al campo. Sto parlando con Mascellani quando un allievo vicino a noi strilla: “Maresciallo guardi quel Mustang!”. Volgo lo sguardo verso l’alto e vedo il velivolo a circa 3000 metri che sta precipitando in vite, roteando velocemente con il muso basso. Corro verso la postazione radio, prendo il microfono e strillo: “cloche avanti e piede destro! … cloche avanti e piede destro!”. Mascellani mi tira per il giubbotto: “Cosa fai. Cosi’ lo fai ammazzare!” strilla. Il Mustang intanto e’ sparito in uno strato di nubi ed alcuni secondi dopo ricompare senza piu’ roteare, in posizione verticale, e comincia a prendere velocita’. Con voce calma gli dico: “Ora tira dolcemente, … livella. Fatti un giretto per far passare la tremarella e poi vieni all’atterraggio!”. Poi mi rivolgo a Mascellani: “Ora capisco perche’ a Gorizia col CR32 andavi a 5000 metri, ti mettevi in vite e facevi 15, 20 giri. Non sapevi come si esce dalla vite. Abbandonavi i comandi aspettando che uscisse da solo!”. Mascellani nonostante questo era un grande pilota ed eccelleva nell’acrobazia a bassissima quota facendo rimanere a bocca aperta anche piloti esperti. Lasciata l’Aeronautica, morira’ alcuni anni dopo in un incidente sulle Alpi, volando con un aereo a reazione dell’aviazione generale. Insieme a Bandini e Mascellani “sforniamo” decine, centinaia di allievi sull’ AT-6, Fiat G 59 e P 51-Mustang. Il destino vorra’ che alcuni di questi miei allievi diventino a loro volta istruttori di mio figlio sia a Brindisi sul Macchi MB326, dal 1964 al 1965, sia dopo in Alitalia sul Caravelle, sia sui Douglas DC8, DC9 e DC10. E’ stata una grande soddisfazione apprendere da mio figlio che i miei ex-allievi hanno sempre avuto una grande considerazione nei miei confronti. Non accadeva con tutti gli istruttori!

Di nuovo a Gorizia
Il 25 giugno 1956 termino l’attivita’ di volo in Aeronautica Militare e faccio ritorno all’aeroporto di Gorizia, nel ruolo Servizi. Poco dopo mi viene chiesto di assumere l’incarico di istruttore presso l’Aeroclub di Gorizia e poi nel 1957 presso quello di Ronchi dei Legionari. Sull’aeroporto di Ronchi opera dal 1948 la societa’ “Meteor”, una piccola azienda aeronautica sorta grazie all’intraprendenza di un pilota, avvocato e medaglia d’oro Furio Lauri, costruisce aerei da turismo e velivoli bersaglio. L’avvocato Lauri mi chiama per sostituire l’istruttore e collaudatore della Meteor, Mario Monzali, che lascia per motivi personali la ditta. Prima di partire ci incontriamo e mi racconta che, durante le prove di collaudo di un FL 55, e’ entrato in vite piatta e, vista l’impossibilita’ di uscirne, si e’ slacciato, ha aperto il tettuccio il tettuccio e mentre si sporgeva per lanciarsi, il velivolo e’ uscito dalla vite. A quel punto ha ripreso i comandi e riportato l’aereo a terra. Alcuni giorni dopo debbo proseguire con le prove di collaudo, abbandonate dopo l’inconveniente accaduto a Monzali. I tecnici hanno installato in coda al velivolo un paracadute
 stabilizzatore azionabile in caso di emergenza dall’interno dell’abitacolo. Vado in volo, mi metto in vite ed il velivolo, come nel caso di Monzali, si mette in vite piatta e non c’e’ verso di uscirne, aziono il paracadute freno ed esco dalla vite. Con il paracadute esteso l’azione frenate e’ fortissima e pertanto poco dopo aziono il comando di sgancio, il paracadute non si sgancia! Provo piu’ volte ma non c’e’ nulla da fare, il velivolo scende con un forte rateo e lanciarmi abbandonando l’aereo non mi sembra una buona idea, voglio tentare di salvarlo. Con il motore a tutta potenza vedo che riesco a ridurre il rateo di discesa e, visto che sono non molto lontano dal campo mi porto all’atterraggio praticamente come avessi una piantata di motore, arrivo alto ed atterro regolarmente. Il 13 giugno 1958 il col. Enrico Meille, abile e conosciuto pilota proveniente dal 4° Stormo di Gorizia, giunge a Ronchi per ritirare un velivolo Partenavia P-55 “Tornado” appena revisionato e modificato nelle Officine Aeronautiche della Meteor. Si appresta a decollare per un volo prova e misurare la velocita’ massima utilizzando dei punti di riferimento a terra. Lauri si offre di accompagnarlo in volo in quanto conosce bene la zona intorno all’aeroporto. Sono in compagnia di Basilio Primosic ed Enzo Pian ed assisto al decollo del velivolo in direzione Nord. La corsa e’ molto lunga e la la salita e’ piatta. Dopo alcuni minuti, il rumore del motore cessa improvvisamente ed il velivolo non si vede piu’. Impensierito, metto in moto un velivolo dell’Aeroclub, decollo e poco dopo individuo i rottami del P55 con vicino i corpi dei due piloti, a circa 2 Km a Nord dell’aeroporto. Entrambi i piloti vengono portati all’ospedale di Gorizia. I medici danno poche speranze per Lauri mentre le condizioni del Meille sembrano leggermente migliori. Poco dopo invece il Meille muore mentre Lauri supera i traumi dell’incidente. Per molti mesi Lauri sara’ costretto a camminare con le stampelle e per tutta la vita portera’ i segni di questo incidente. Lauri era da poco reduce da un altro incidente con un aliante, avvenuto sempre a Ronchi. Sara’ proprio questa esperienza a fagli maturare l’idea di sviluppare i velivoli “unmanned” (senza pilota) di cui la Meteor diverra’ la prima azienda nazionale del settore. Nel 1963, debbo assentarmi per un mese per partecipare ad un corso d’aggiornamento per istruttori, in Sardegna. Lauri mi chiede di indicargli tra i soci dell’Aeroclub un pilota affidabile per effettuare dei voli con un FL53B sul quale sono installate delle speciali apparecchiature radioelettriche da collaudare. Conosco personalmente diversi piloti, alcuni dei quali con molte ore di volo eppure la mia scelta cade su un ragazzo di Trieste, Gianfranco Sbocchelli, che ho iniziato al volo appena diciasettenne, nel 1958. Come in passato, il fiuto dell’istruttore mi aveva portato a fare la scelta migliore. Qualche tempo Sbocchelli diverra’ pilota militare e poi passera’ in Alitalia. Nel 1974 superera’ il Corso Comando e nel 1999 lascera’ la Compagnia da comandante di Lungo Raggio sul Boeing 747. Con Sbocchelli mio figlio ha trascorso quasi due anni durante il Corso di Volo e poi ha continuato a volare insieme sull’Airbus A300. Anche lui afferma che e’ stato un pilota “nato” e che aveva un istinto per il volo superiore alla media, era un “manico” come pochi altri. Poco dopo, sempre nel 1963, l’Aeroclub di Ronchi cessa l’attivita’ e continuo a volare per l’Aeroclub di Gorizia. Insieme a me c’e’ pure il vecchio compagno del 4° Stormo, Montanari, istruttore per l’Aero Club di Trieste. Montanari e’ un ottimo pilota. E’ nato a Sagrado, il paese di mia moglie, in una casa poco distante dalla sua. Ha partecipato a tutte le piu’ importanti manifestazioni aeree ed ha fatto parte delle pattuglie acrobatiche del ’36, ’38 e ’39. Abbiamo volato insieme in pattuglia. Lui aveva l’abitudine di volare “ala dentro ala” con il capo-formazione mentre tutti noi stavamo, come previsto, ad un metro, un metro e mezzo dall’ala dell’altro. Anch’io gliel’avevo fatto notare piu’ volte, purtroppo aveva un carattere un po’ spigoloso e non accettava consigli. Di solito volava come gregario interno di sinistra mentre io ero l’esterno. Dopo la guerra si congedo’ dall’Aeronautica ed ebbe l’incarico di istruttore all’Aeroclub di Gorizia e di Trieste. Quando arrivai io, gli subentrai a Gorizia. Montanari sforno’ centinaia di piloti all’aeroclub e fu’ l’istruttore piu’ conosciuto e stimato.

Basta con il volo!
 Nel 1970 smetto ogni attivita’ di volo ed al mio posto propongo al Presidente dell’Aeroclub l’amico Gino Baron che faceva parte del gruppo istruttori di Lecce. Nessuno immagina che Gino Baron, una persona semplice ed umile, pronto sempre alla battuta, sia un abile e valoroso pilota della Seconda Guerra Mondiale. Gino Baron, nato nel 1918 a Castelfranco Veneto, e’ uno dei piloti che operarono in Africa Orientale con la 412^ Squadriglia Caccia, affiliata al 4° Stormo e comandata dal capitano Antonio Raffi. Il serg. Gino Baron e’ amico intimo del ten. Mario Visintini (l’ufficiale dei voli per l’Albania) con il quale effettua molti voli da gregario.Visintini e’ considerato un’asso e molte delle sue 17 vittorie le ottiene in coppia con Baron. Baron ha al suo attivo 10 abbattimenti individuali e 10 collettivi (in collaborazione), una medaglia d’argento ed una di bronzo. Baron non era il tipo da vantarsi e preferiva un’allegra compagnia ed un buon bicchiere di vino ai ricordi nostalgici. In vena di confidenze un giorno, poco prima di lasciare l’incarico d’istruttore per raggiunti limiti d’eta’, rivela ad Enzo Pian, cugino di mia moglie, un segreto di cui si aveva gia’ sentore nel nostro ambiente: “molte” vittorie di Visintini erano in realta’ sue e Baron le aveva “cedute” all’inseparabile amico. Visintini, e’ deceduto l’11 febbraio 1941, schiantandosi contro il monte Nefasit, per cercare Baron che credeva disperso ed invece, a causa delle condizioni meteo, era atterrato a Sabarguma, fra Massaua e Asmara.

Il ritorno alle “origini”
Ho trascorso una vita tra aerei e piloti e come ogni libro, quando si arriva all’ultima pagina, va chiuso. I ricordi della mia infanzia, trascorsa in campagna, riaffiorano e prevalgono su ogni altro interesse. Torno cosi’ “alla terra”, alla mia campagna che avevo lasciato da giovane per intraprendere il “mestiere” del pilota da caccia e mi dedico con passione alla cura delle piante del mio orto, in particolare i pomodori che ricordano le mie origini partenopee. Nel 2001 viene celebrato il 70° anniversario dell’arrivo del primo gruppo di 64 piloti sull’aeroporto di Gorizia per dar vita al 4° Stormo. Gli unici superstiti del gruppo siamo Ruffilli, Bergamini ed io. L’evento si svolge nell’edificio che negli anni ’30 era il luogo di incontro dei piloti, l’ex ristorante “La Lanterna d’Oro”, nel castello di Gorizia. Alla cerimonia partecipa il Capo di Stato Maggiore gen. Sandro Ferracuti ed una rappresentanza del 4° Stormo, oggi di stanza a Grosseto. Fra i vecchi compagni trovo Biffani e Del Moro e
 l’evento e’ anche occasione per un incontro insolito; il figlio di Giuseppe Krizaj (il pilota del mio corso che in Spagna combatte’ sul fronte opposto), il prof. Miomir Krizaj, insegnante a Lubiana, ha voluto incontrarmi per conoscermi e sentire dalla mia viva voce una testimonianza dei combattimenti aerei con suo padre, l’abbattimento e la visita in ospedale durante la prigionia. Da pochi giorni ho compiuto il mio 95° compleanno e mentre detto questi ricordi, il mio pensiero va ai tanti piloti ed amici che ho conosciuto e che oggi non ci sono piu’. Con tristezza guardo dalla finestra il mio orticello che da un paio di anni non sono piu’ in grado di curare ed osservo i pomodori che ora e’ mio figlio a coltivare: … non sono piu’ i pomodori di una volta!
 
 
 

2.Guglielmo Biffani

Sono nato ad Ostia il 27 marzo 1915. Ho conseguito il brevetto di motorista civile d’aeromobile nel 1931 a Napoli e nel 1933 il brevetto di pilota civile di primo grado sull’Idro CA100 presso l’unica Scuola di Volo aperta in quel periodo in Italia e precisamente all’Aeroclub di Genova. Qui continuai con i voli di allenamento annuali volando contemporaneamente come motorista e secondo pilota sui Dornier della SANA, Società Anonima Navigazione Aerea con base ad Ostia. Nel ’36 mi arruolai in Aeronautica e fui inviato a Foggia dove conseguii il brevetto militare su Breda 25 e CR 20. Il 1° di agosto del 1936 fui assegnato al 4° Stormo di Gorizia. Mi feci raccomandare per andare a Gorizia ed infatti ci riuscii.Mi assegnarono alla 73^ Squadriglia, sotto la guida di Pezzè, di Renzi e di altri. Mi portarono su loro, cominciammo con la prima coppia e poi sempre avanti con gli allenamenti. Prima di volare sul CR32, provai doppio comando sul CR30 con il povero Corsi, e gli amici mi avevano detto: “Te la passi bene, vedrai quello che ti combina!”. Me l’ha combinata. Mi ha fatto fare il decollo, poi  mi ha detto: “Lascia la cloche”. Ha effettuato una serie di tonneau non so quanti, sul Carso, sul San Michele. Poi mi ha detto: “Andiamo a casa”. Mi ha fatto fare l’avvicinamento e l’atterraggio e poi mi ha battuto una mano sulla spalla dicendomi: “Vai, vai!”. Ho poi volato con Pezzè che mi ha autorizzato ad effettuare il passaggio sul CR32. A Gorizia conobbi Silvio Salvatori un toscano che aveva una fidanzata pure lei toscana. Durante un trasferimento a Roma con la pattuglia acrobatica per una manifestazione, mentre sorvoliamo la Toscana, si stacca dalla formazione per andare a fare una puntata sulla casa della fidanzata. Si abbassa troppo e si infila con il CR20 nella finestra dell’abitazione della ragazza. L’aereo finisce proprio dentro la casa mentre le ali rimangono di fuori e, cosa incredibile, non si fa nemmeno un graffio. E’ morto dopo la guerra. Volava con quegli aerei che irrorano i campi ed ha urtato nei cavi di una linea elettrica. Era un pilota straordinario, credo non ce ne siano stati molti come lui. Ricordo che faceva i tonneau sfiorando letteralmente gli hangar del 4° Stormo. Puntava sulla zona della 73^ Squadriglia, dove eravamo noi, verso i tre hangar vicino alla strada arrivando dall’Isonzo e sembrava ci finisse addosso. (Anche Ugo Corsi era eccezionale. Ah, Corsi, Corsi, Corsi, non ce ne sarà mai più uno uguale. Non ce ne sarà mai più uno come lui!. Sto criminale, decollava, riduceva motore e si metteva con la coda per terra che cosi’ non staccava e girava dentro l’aeroporto. Merna non è grande, lo sai, ma a lui bastava.)
Anche Ugo Corsi era eccezionale, non ce ne sarà mai più uno uguale. Spesso decollava, riduceva motore, si metteva con la coda per terra senza staccarsi dal suolo e girava dentro l’aeroporto non certamente grande ma a lui bastava. Non toccava terra, la sfiorava. Si sosteneva sul cuscino d’aria creato dall’elica sotto l’ala. Allora questa tecnica non si conosceva. Aveva una padronanza senza uguali nel’eseguire la vite: volava lungo l’Isonzo sui 400/500 metri ed improvvisamente entrava in vite. Lo si vedeva scendere girando e ci aspettavamo che terminasse la manovra ed invece continuava ad avvicinarsi sempre piu’ al terreno. Lo vedevamo sparire ancora con il muso basso dietro gli alberi dell’Isonzo e trattenavamo il respiro. Dopo un po’ ricompariva verso Savogna. Rimetteva l’aereo dalla vite nell’avvallamento dell’Isonzo non so a quanto, forse a 20 metri. Era talmente padrone dell’aeroplano che tutto gli veniva con una indifferenza e serenità eccezionale. Corsi era qualcosa di trascendentale, veramente!. Tanto bravo e tanto sfortunato. In Spagna dopo pochi voli verrà abbattuto e dovrà restare 13 mesi in prigionia.
Credimi, mi ha salvato la guerra. Mi è sempre piaciuto bere: il vino in quantità giuste, a pasto un bicchiere, due bicchieri, e quando capitava un cognacchino, un grappino, una graspa. Ma se fossi rimasto a Gorizia non mi sarei salvato più, non tanto dai colleghi ma dai borghesi. Uno di questi era Gianni Defilippo. Un goriziano, alto, lo chiamavano  “Gianni Flascutta (Fiaschetta). Il pullman  che dall’aeroporto ci portava a Gorizia fermava al bar “Alle Ali” e terminava la corsa in Piazza della Vittoria e ricordo che mi abbassavo, cercavo di non farmi vedere dagli amici che mi aspettavano e che inesorabilmente ti portavano in osteria. Ricordo Sergio Pitassi, aveva un negozio di abbigliamento. Erano tre o quattro fratelli, e lui aveva un bel negozio in Corso. Arrivato in piazza della Vittoria scendevo e andavo in cerca di qualche ragazza. Camminavo e mano, mano mi rinfrancavo quando improvvisamente: “Biffi, … Biffi!” Porca miseria sono rovinato!.”Beh, Biffi, Biffi andiamo a bere un tajut” Poi incontravi quell’altro e diventavamo cinque o sei come minimo. Insomma dopo un’ora ero sbronzo. Veramente sbronzo. E la serata era rovinata.
Intanto era iniziata la guerra in Spagna. Avevo solo 200 ore di volo ma feci comunque domanda. Mi dissero: “Ma tu sei matto”. Va bene, ero matto ma ci volevo andare. Infatti andai in Spagna, alle Baleari, dove ho totalizzato circa 300 ore di volo, tutte sul mare.
Nell’estate  del 1937, insieme ad alcuni colleghi piloti del 4^ Stormo di Gorizia, agli specialisti ed alcuni CR32, veniamo caricati su un treno per La Spezia dove ci imbarchiamo su una nave mercantile, destinazione Palma de Maiorca (Mallorca), Spagna. Dopo una sosta a Cagliari di uno o due giorni, dove trovo il tempo per alcuni bagni e tuffi dal ponte della nave, giungo all’aeroporto di Son San Juan, nelle Baleari. Qui oltre ai nostri CR32 ci sono anche gli S79 ed S81. Incontro subito il caro amico Ferrulli, un “buon” pilota oltre che un “bel” ragazzo. Il comandante e’ il tenente D’Agostinis. I colleghi mi raccontano di un divertente episodio, D’Agostinis qualche giorno prima del mio arrivo aveva abbattuto un Potez ed il pilota, salvatosi con il paracadute, arrivato a terra gridava “un buque, un buque!”, voleva una nave per scappare.D’Agostinis poco dopo il mio arrivo viene rimandato in Italia ed a me viene assegnata la sua tuta di volo, ci stavo dentro due volte!
Un giorno sono in pantaloncini ed improvvisamente c’e’ una partenza su allarme. Sull’ala del CR32 ero solito appoggiare i pantaloni, giubbotto e paracadute. Corro verso l’aereo, indosso il paracadute, non faccio in tempo ad indossare pantaloni e giubbotto che restano sull’ala. Durante la corsa di decollo il giubbotto vola via mentre i pantaloni si mettono meta’ sopra e meta’ sotto l’ala. Su Soller c’era la nostra contraerea ed era proibito passare perche’ avrebbero sparato a chiunque. Penso tra me “… io qua sopra ci passo tanto questi non c’azzeccano mai”. Agito le ali sperando che capiscano che sono uno dei loro ma cosi’ facendo i pantaloni si staccano dall’ala ed a terra cominciano a sparare ai pantaloni scatenando un putiferio.
Avevamo al campo un telefonista spagnolo di Bunol, un paese vicino, il giorno dopo mi dice:
“chi ha perso i pantaloni in volo su Soller?”. Rispondo:
 “io, perche?”
 “li hanno trovati, ma deve andare a prenderseli”
Cosi’ vado a Soller dove distillano un’anice eccezionale e passo delle simpatiche ore.
Dopo D’Agostinis arriva un nuovo comandante, il capitano Pratelli che vuole vedere i suoi piloti come “volano” e li invita a montare su un CR32 senza munizioni ed esibirsi. I piloti fanno a gara per partire per primi e far vedere quanto sono bravi.
Io dico a Ferrulli  “ … stai buono, aspetta che si consumi la benzina e che l’aereo diventi leggero …”. Ferrulli va in volo per penultimo ed io per ultimo.
Quando tocca a me, decollo, vado verso il mare, viro basso, basso, torno sul campo e faccio venti, dico venti, tonneau senza interruzione, uno dietro l’altro. Ovviamente i tonneau dovevano essere per forza perfettamente orizzontali altrimenti avrei toccato per terra. Ero talmente basso che all’ultimo tonneau mi trovai davanti un mulino a vento e lo evitai di un soffio. Alla fine i due piloti scelti da Pratelli saranno Ferrulli e Biffani!. Sono gli unici piloti provenienti da Gorizia!. Le differenze con i piloti provenienti da altri aeroporti, Rimini, Torino, ecc. sono enormi.
Un esempio: siamo a Gorizia ed un giorno ci vengono assegnati i CR42. Il pomeriggio facciamo il passaggio che consiste in un giro campo, decollo, atterraggio e nient’altro. Altro che ambientamento, stalli, ed altre manovre, o ce l’hai il “manico” o non ce l’hai e cambi mestiere. Al mattino successivo arriva Dentis da Torino che porta altri CR42 nuovi per il 4° Stormo. A mensa ci troviamo allo stesso tavolo, non ci conoscevamo prima ed ad un certo punto esclama:
“Biffi, questa mattina quando atterravo ho visto un CR42 che faceva un looping rovescio, ma chi era?”
gli dico:
“a che ora sei atterrato”
“alle undici”
“ero io!”
“ma quante ore hai?”
“veramente ho fatto il primo decollo ieri sera”
Dentis e’ rimasto gelato, di ghiaccio!
Questo voleva dire essere piloti a Gorizia! CR32 o CR42 cambia il numero, cambia la forma, cambia il motore ma l’aeroplano per aria era lo stesso, identico, anzi il CR42 era qualcosa meglio.
Torniamo alla Spagna, Baleari. C’e’ un allarme, io non ho un aeroplano disponibile e mi infilo in un rifugio. Subito dopo viene dentro lo specialista addetto all’agganciamento del tubo dell’aria compressa agli aeroplani per l’avviamento del motore e strilla:
“Un avion es sin piloto!”
Salto fuori, un pilota, il s.ten. Pallavicini, nella fretta s’era messo il paracadute davanti e non riusciva piu’ a sganciarlo. Tutto questo naturalmente in mezzo alle esplosioni delle bombe che cadevano intorno a noi. Gli strappo il paracadute, lo indosso, metto in moto il CR42 e decollo mentre il campo e’ ancora sotto bombardamento.
Do tutta manetta, o meglio tutta “tacca”, come si diceva allora. La manetta si tirava indietro per dare potenza, a fondo corsa si arrivava a 2200 giri al minuto, c’era poi la “tacca”, superando questa si aumentava di altri 150 giri al minuto. Questo extra di potenza si poteva usare solo in emergenza e per pochi minuti, si rischiava altrimenti di bruciare il motore. Mentre sono in salita vedo ancora i Martin Bomber, bombardieri veloci, e’ una formazione di 28 aerei.
“Questi sono partiti da Reus, Barcelona e tornano a Reus” dico tra me. La formazione vira verso Ovest, verso Ibiza “Non mi fregate, voi tornate a Barcelona”. Li abbandono e punto cosi’ verso Barcelona, a Nord, sempre tenendo la massima potenza, “tirando” il motore. Se non regge, dico tra me, chiudo gli occhi, spingo la cloche tutta avanti finche’ mi infilo in mare e tutto e’ finito. Meglio cosi’ che un ammaraggio ed una lunga agonia in prigione.
Ad un certo punto li vedo nuovamente, ” … avevo ragione, … bravo Biffi!”. Saranno passati 40 minuti e sto ancora salendo, saranno circa 6.000 metri di quota.  “Ora vi frego” penso. Gli arrivo addosso, loro rimangono fermi in formazione. Forse non mi hanno nemmeno visto arrivare. Sparo ad uno che “va giu’”, sparo ad un altro e poi dico “Basta Biffi, torna a casa, questi hanno la radio, avvertono la caccia io sono da solo, arrivano i Rata e mi fanno fuori!” oltre tutto ero vicino alla costa.
Verso la fine del ’37 alloggiavamo in una cascina presso l’aeroporto di Son San Juan, vicino alla stazione radiogonometrica. Una sera vado ad osservare il lavoro degli operatori del gonio che si occupano del rientro radioassistito di un SM 81 che aveva effettuato un bombardamento sul continente. Non e’ tempo brutto, forse qualche nube, comunque l’operatore al radiogoniometro entra in contatto radio, inizia con dei rilevamenti QTE e QDM ma quelli non ne tengono alcun conto e vagano per l’area a nord di Mallorca finche’ dopo circa un’ora di vani tentativi dell’operatore addetto al radiogoniometro, quelli tacciono. Sapremo il giorno seguente che avevano fortunosamente preso terra sull’isola di Menorca, in mano ai repubblicani. Tutti prigionieri, e meno male che ebbero salva la vita.
Dopo tredici mesi alle Baleari rientro in Italia. Pratelli non voleva mandarmi via ma ero debilitato, non stavo piu’ in piedi, tanto che ero svenuto durante il volo riavendomi  mentre l’aereo veniva giu’ in vite. Facevamo una vita da matti. Eravamo una ventina di piloti e si andava in volo all’alba, le missioni erano pesanti ed oltretutto rinunciavamo al riposo per andare a ballare, bere e divertirci.
Rientrato dalla Spagna, fui assegnato di nuovo a Gorizia, alla 73^ Squadriglia. Mi misero nella Pattuglia Acrobatica di Remondino come gregario di riserva.
Poi arrivò Botto, per salire sull’aereo lo aiutava Pezzè, poverino, aveva una gamba sola. Costituimmo una pattuglia in nove, ma non ti dico che razza di programma! Ben 45 minuti di programma. Fuori da una figura, dentro nell’altra, in nove!
Poco dopo inizio’ la guerra e col CR42 fui trasferito a Comiso da dove si operava su Malta. Tutto da ridere, capirai. Quanta acqua c’era pure li’ ! Una volta con un mitragliamento su Alfar  fui colpito sull’alettone sinistro, che mi rimase bloccato in basso. L’aereo si sarebbe messo a fare un tonneau dietro l’altro e allora ho dovuto contrastarlo e continuare a volare con tutto l’alettone destro in basso, cloche a sinistra,  per compensare quell’altro e rimasi solo. I miei colleghi mi lasciarono perchè pensavano che fossi stato abbattuto. Andai a finire a Catania, perche’ l’aereo “la’ voleva andare”, per me dove andava, andava. Atterrai a Catania, me lo misero a posto e tornai a Comiso.
In luglio fummo trasferiti in Libia. Ero a Bengasi con tutto il Gruppo e dovevamo partire per un’ azione il pomeriggio. Saremmo andati a El Adem (Tobruk) che era la nostra base operativa. Decollammo e subito dopo il mio motore si mise a vibrare. Tra me dico: “Non posso continuare la missione. Sara’ una candela, un magnete. Torno indietro,faccio sistemare, riparto e li raggiungo”.  Atterrai e mi misero a posto il motore. Era infatti una candela che non funzionava e questo causava le vibrazioni. Il maresciallo Turchi aveva una candela sola, mi sistemo’ subito il motore, era bravissimo.
Botto era rimasto a terra perchè aveva alcune cose da  sistemare. Gli dissi:
“Comandante, vado via subito. Li raggiungo a El Adem. Faccio in tempo a …
“No, no, andiamo via insieme. Facciamo insieme l’azione”
“Comandante … “
“Ho detto di no. Andiamo via insieme!”
“Va bene”
Siamo cosi’ partiti il pomeriggio e quando siamo arrivati a El Adem i colleghi avevano gia’ portato a compimento l’azione ed erano rientrati. Sette dei nostri erano stati abbattuti. Sette della 73^! Io sarei stato tra costoro senz’altro. Ho avuto fortuna.
Il 9 dicembre 1940 sono stato fatto prigioniero. Per me la guerra era finita!. E’ stata la mia salvezza. Siamo partiti in 78 piloti ed alla fine della guerra abbiamo avuto 83 morti. Com’e’ possibile? Per ogni pilota che “andava di sotto” ne arrivava un altro. Abbiamo avuto cinque prigionieri. Io ero uno dei cinque.
Hai sentito parlare di Sergio Stauble? Era di Venezia ed eravamo molto amici, gli facevo dei dispetti madornali, di tutti i colori, pero’ mi voleva bene ed io gli volevo bene e lo stimavo moltissimo. E’ morto al largo della Sicilia durante un volo di trasferimento in Africa. A proposito potresti sentire che fine ha fatto la sorella che dopo la sua morte abitava a Gorizia . [A seguito di ricerche ho accertato che dopo la morte di Stauble, la sorella si era riunita alla famiglia a Venezia e negli anni ’40, durante un bombardamento su Mestre, mentre si trovava in un bunker, e’ morta insieme ad un altra sorella ed i genitori. E’ sopravvissuto solamente un fratello].
Dicevo, il 9 dicembre … la sera prima Botto ci aveva detto:
“Domani mattina verso le 09.00 si parte”.
Eravamo ad El Adem in Libia nella stessa tenda io e Stauble. Al mattino sveglio Sergio:
“Dai, Sergio, via che c’e’ l’azione, dai c’e’ l’azione …. e va in malora!”.
Non riuscivo a buttarlo giu’ dal letto era come morto:
“Va all’inferno!”.
Monto sul pullman e andiamo in linea. Botto mi fa:
“… e Stauble?”
“Non s’e’ voluto alzare”
“Va beh, vieni tu”
“Vengo io!”
Siamo andati in volo e sono ritornato in Italia 63 mesi dopo.
Torniamo indietro prima di quel 9 dicembre: come pilota ero in un certo qual modo considerato, quindi stimato:non andavo male e pertanto non avevo usurpato niente. Cosi’, quando arrivavano da Roma capitani, maggiori, colonelli per fare quattro o cinque missioni tanto per dire ” … ho fatto la guerra dammi la promozione”, li assegnavano al sottoscritto come gregari. Quindi avevo questa zavorra da portarmi appresso. Quelli sapevano appena stare in volo, avevano fatto un passaggio ordinario sul CR42, quindi avranno avuto un’esperienza di volo di10 ore, … ma quali 10 ore, 5 ore di volo massimo.
Quel fatidico 9 dicembre avevo come gregario il sottotenente Querci che poi si e’ ammalato, tumore, si è suicidato. Mentre siamo in quota mi fa un gesto indicando dietro (non c’era la radio). Sempre a gesti gli rispondo:
“Dove? Dove sono?”
“Oh!, porca miseria. Allora ci sono veramente!” dico tra me “Ma dove? non li vedo”. Querci da tutto motore e si sfila, si va mettere in mezzo agli altri, sotto le ali della chioccia.
E allora sparo per avvertire Botto. Alla prima raffica vedo Botto che accenna un rovesciamento. Io tiro subito su e mentre sono con il  muso in alto, vedo passare tre “Hurricane”. Dunque non li vedevo perchè li avevo proprio sotto la pancia e quasi sicuramente mi aveva già collimato. Mi sono passati avanti, quindi saranno stati forse a 200 metri, a 300 metri al massimo.
Vado su, in candela, e vedo la 73^ Squadriglia avanti, questi tre Hurricane in mezzo e dietro a loro la 96^ Sq. e la 97^ Sq. Tutta una candela che andava fino a terra.Mentre sono nella mischia, vedo che un Hurricane taglia la corda. Evidentemente deve essersi guardato alle spalle e vista quella fila di musi ha pensato di squagliarsela.”Non si fanno queste cose, ora (mo’) te sistemo io!”
Continuo a salire, ero il più alto di tutti, poi mi butto giù con tutto motore, … gli arrivo addosso … riduco motore e metto i giri entro i 1850 e i 2250 perchè altrimenti ti tagliavi l’elica, come successe a Gon e come successe ad altri.
Si, perchè l’elica andava fuori sincronizzazione,e il colpo partiva quando la pala dell’elica passava davanti alle armi. Eh i nostri tecnici, … grandissimi, sai? Il meccanismo di sincronizzazione delle mitragliatrici che sparano attraverso l’elica è semplicissimo, è elementare ma dico io non potevano montare le armi sulle ali come tutti gli altri? E allora andate all’inferno! Avete vinto tutti i record, battuto tutto, conquistato tutto quello che c’era da conquistare per aria e ci mandate senza radio, senza corazza, il serbatoio della benzina sotto il sedere. Ma noi andavamo su tranquilli, sereni e quando rientrava la formazione, il pilota che era rimasto a terra, successe a me più di una volta, tirava moccoli e pugni perchè in quel combattimento lui non c’era.
Uno del quale non faccio il nome, della 73^ Squadriglia che tu hai conosciuto anche di persona, mi diceva:
“Biffi, questa guerra la perdiamo. Biffi, non possiamo, non possiamo combattere contro questi. I nostri aeroplani sono inferiori”
Un bel giorno dissi:
“Senti, o la pianti o ti denuncio, perchè questo non devi dirlo a me”
Come dicevo … quando gli sono addosso apro il fuoco. Collimo, vedo i proiettili esplosivi che scoppiano nell’ala. Non succede nulla, perchè? Non c’è benzina? Nell’altra ala la stessa cosa, scoppiano, nulla. Sparo nel motore, nulla. Le vedo bene le traccianti e poi non era la prima volta che sparo.
A Gorizia prendevo il palloncino che innalzavano con 10 colpi.
Nel frattempo perdo velocità. Quello con tutto motore si sfila “… va beh arrivederci!”.
Viro per riportarmi verso ovest e tornare verso El Adem. Poi guardo indietro, vedo che sta tirando su e virando anche lui. Quindi non gli ho fatto niente. Ma come, gli scoppiavano i proiettili addosso! Allora dico “… dai Biffi, tira su”.
E tira su anche lui e cosi’ ci troviamo appiccicati per aria. Sai, li’ è un istante. Se prendi la decisione giusta bene, senno’ sono guai seri. Somma le due velocità ed arrivi in un istante alla distanza di tiro, saremmo stati alla fine della virata a circa 500 – 600 metri l’uno dall’altro. Prima che questo mi prenda in coda, dico tra me, gli sparo di muso. Sparo di corsa, senza guardare il collimatore.
Vedo le traccianti che gli arrivano addosso. Un bel momento le sue semiali si illuminano e contemporaneamente il mio aeroplano prende fuoco. E’ stato un attimo!. Mi sono arrivati addosso, capirai, i proiettili di otto armi contemporaneamente, quattro su ogni semiala, calibro piccolo tant’e’ che collimavano sui 300 metri. Otto armi che collimano in un punto fanno un disastro!
A quel punto mi sono rovesciato. Io ero solito fare una manovra, il looping “rovescio”. Nel fare questa manovra esce la benzina e prende fuoco il motore. Allora prima di iniziare chiudevo la benzina e toglievo contatto e poi “rovesciavo”. Quando ero sopra, riaprivo la benzina e ridavo il contatto. Fu una fortuna per me perchè questa mano istintivamente ha tolto contatto e chiuso la benzina. Con mia sorpresa l’incendio si e’ spento.
Nel frattempo pero’ mi ero rovesciato e sciolto per lanciarmi. “No!” dico “non mi lancio perchè quello mi spara”. Infatti la RAF sparava addosso al paracadute, l’aeroplano lo trascurava. Hanno cominciato prima gli americani, poi anche gli inglesi o meglio, non so se fossero inglesi o neozelandesi ma erano della RAF. Quindi era un ordine che avevano ricevuto. Un nostro aereo, non era del 4° Stormo, atterro’ vicino a Bardia perche’ colpito, l’ Hurricane gli ando’ appresso, non sparo’ sull’aeroplano, sparo’ sul pilota che correva per allontanarsi.
Come ti dicevo mi ero rovesciato per lanciarmi, mi tenevo con i piedi sul seggiolino attaccato al parabrezza,. Quanto tempo ci vuole per rovesciarti? Un secondo? In quel secondo avevo fatto tre cose: contatto, benzina e sciolte le bretelle. E m’ero dato uno slancio. In quell’istante, l’incendio si e’ spento. Decido di rientrare. Eh si, e’ una parola. Mettiti un po’ sottosopra con l’aeroplano e rientra. Sono rientrato. Non lo so come, ma sono rientrato.
Per fortuna l’aereo continuava a volare rovescio senza imbarcarsi nonostante avessi mollato la cloche. A quel punto dovevo andar giù a candela ed avvicinarmi al mare. Sotto c’era il deserto, chi mi avrebbe trovato?. Mentre scendevo continuavo a guardarmi intorno per cercare l’inglese finche’ l’ho visto con una scia di fumo che perdeva quota. Arrivato per terra è esploso. “Pigliatela in saccoccia!”
“Beh,” dico “allora cerca di andare più vicino che puoi alla strada, sfrutta la quota”. Ho provato a riaprire la benzina e mettere il contatto. Fuoco! Basta, non se ne parli più! Usciva la benzina, quindi mi avra’ colpito i tubi vicini al convogliatore di scarico. No, il serbatoio non era colpito, mi aveva sparato di muso, il serbatoio era protetto dal motore.
Atterro in mezzo ai carri armati inglesi. Mi mettono su una camionetta e viaggiamo tutta la notte. La mattina arriviamo all’aeroporto di Marsamatruk dove c’e un concentramento di prigionieri italiani. Mi fanno scendere, mi consegnano, resto in attesa col caschetto e le mani nelle tasche, capirai quanto ero allegro!
Mi si avvicina un individuo in uniforme. Lo guardo e penso: “ha il distintivo con l’aquila, questo è un pilota!”. Mi viene vicino, mi fa:
“Buongiorno, che è successo?”
Parla italiano, anzi fiorentino.
“Ieri ho avuto un combattimento ed eccomi qua. Lei conosceva il signore inglese che ho abbattuto, era un suo collega?”
“No, no, lui comunque è rientrato”.
Evidentemente s’era lanciato, il paracadute non l’ho visto perche’ è rimasto sopra, io guardavo sotto.
Dunque gli faccio:
“Lei è molto tempo che è qui?”
“Si, dall’inizio della guerra”.
Era dicembre, erano trascorsi sei mesi, volava sui Blenheim.
“Da dove viene lei?”
“C’è scritto sull’aeroplano: 4° Stormo”
“Dov’è il 4° Stormo?”
“El Adem”
“Ah la!, ieri ve l’abbiamo date eh?”
“Ah, lei era uno di quei tre Blenheim?”
“Si!”.
Al mattino avevamo avuto ordine tassativo di non decollare neppure se ci avessero bombardato. Verso le 10, “Allarme, allarme, allarme!” Passano tre Blenheim, sganciano le bombe, fanno una gran cagnara ma nessun danno, son cadute fra gli hangar e gli edifici, la mensa … tutte le bombe in fila, non han fatto nemmeno un buco nelle lamiere degli hangar.
“Si, ci avete bombardato, ma non avete fatto niente assolutamente perchè … ” gli faccio uno schizzo sulla sabbia ” … qua, qua, qua …siete passati ma senza danneggiare nulla. Pero’ se doveste tornare, qui c’è un edificio, all’ingresso dell’aeroporto”
“Si, si”
“Bene, quello salvatelo”
“E perchè?”
“Perchè dentro ci sono le donne”
“Come sarebbe a dire?”
“Le donne, le donne … parliamo d’altro … Lei allora che è tanto tempo che è qua, sa qualcosa dei miei colleghi che non  sono rientrati?”
“Mi dica, mi dica i nomi”
“Bir El Gobi, Renzi”
“Abbiamo trovato il suo cadavere nei rottami dell’aeroplano”.
Era Norino Renzi!, L’avevano già trovato, subito e nessuno di noi lo sapeva. Loro avevano i mezzi che giravano nel deserto, le camionette, la facevano seriamente la guerra, noi no! Dei venditori di vasetti come siamo stati noi. Non noi, che combattevamo. Continuo ad elencare i nomi dei colleghi:
“il colonello Piraggino”
“Prigioniero”
“il tenente Lanfranco”
“Prigioniero”
“Corsi”
“Ah, quello ci è costato caro!” proprio, credimi, fece: “Ahh!”
“Perchè?”
“Quello ci è costato caro”
“Perchè, come ando’ il combattimento?”
“Si e’ trovato da solo in mezzo a cinque Hurricane e ne ha abbattuto tre!”.
Me lo disse in inglese questo.
Di Ugo Corsi nessuno ne ha mai parlato. Io ho cercato di contattare, di trovare notizie attraverso l’Ambasciata, attraverso l’Addetto Aeronautico inglese, non ci sono riuscito. Perchè non è giusto che Corsi sia caduto nel dimenticatoio. Tanto era una persona a postissimo, bell’uomo, simpatico, pilota unico. “Quello ci è costato caro. Da solo in mezzo a cinque Hurricane, ne ha abbattuti tre, … da solo ne ha abbattuti tre!”. Poi è stato sopraffatto dagli ultimi due. Mettiti un po’ da solo in mezzo a cinque Hurricane con un CR42, te lo immagini? Questo me l’ha detto l’inglese eh? Lo sapevamo già noi, perchè da Bardia era stato visto il combattimento, quindi si sapeva. Dall’aeroporto di Bardia, li’ nel golfo di Sollum, li vedi gli aeroplani.
Ugo Corsi di Pirano d’Istria. Torno’ dalla prigionia nel ’38. Raccontava che appena catturato ci fu una visita della “Pasionaria” una famosa comunista:
“estos quien son?”
“pilotos italianos”
“y che esperais a matarlos?”.
(Questi chi sono? Piloti italiani. Che aspettate ad ammazzarli?).
Dal giorno dopo, la mattina li bendavano, li portavano in un certo posto, una scarica di fucileria. Sparavano per aria. Perchè questo? Li liberarono grazie ad uno scambio con piloti rossi. Erano preziosi, altrimenti li avrebbero uccisi tutti.
La prigionia: Prima in Egitto, a Ismailia, poi in Palestina, Latrun. La fame, la fame !. Poi in India a Dehra Dun, a Yol c’erano gli ufficiali.
Dopo un  anno o due, ci trasferirono a sud di Bombay, a Bophal. Dopo l’otto di settembre del ’44 decisi di “cooperare”, come tanti di noi, … seguendo l’esempio del Re (!).
Partiti dall’India con il  caldo, arrivammo in Inghilterra, a Glasgow che c’era la neve, era gennaio. Sono rimasto in Inghilterra fino al rimpatrio avvenuto nel ’45 o ’46. Dopo un mese di licenza premio e ho chiesto di rientrare al Reparto e son tornato cosi’ a Lecce al 4° Stormo ed  ho ripreso a volare naturalmente dopo un po’ di “doppio comando.”
Anche dopo Lecce son rimasto al 4° Stormo poi sono stato trasferito a Napoli, a Capodichino.
Li’ c’erano i Mustang, bei aeroplani … il piu’ bell’ aeroplano e’ stato pero’ il Lightning. Una meraviglia.
Quando mori’ mio padre, per ragioni di famiglia, rimasi a disposizione a Torino. Superato questo periodo, tornai in servizio come avevo chiesto e mi mandarono alla DAT, Difesa Aerea Territoriale.
Andai poi a Parigi a frequentare il corso per istruttore di GCA Ground Controlled Approach (Avvicinamento Controllato da Terra con il radar). Tornato nuovamente a Torino avevo due aeroplani a disposizione, un Savoia Marchetti 102 ed un C45 e con questi volavo ed facevo l’istruttore di procedure GCA.
Il 4° Stormo da Capodichino si trasferi’ a Pratica di Mare, quindi a due passi da Ostia. Chiesi ed ottenni cosi’ di andare là, sempre quale operatore GCA.
Al Colonnello Verrengia dissi:
“Comandante, io voglio volare sull’aeroplano sul quale volate voi”
“Sul F86?. Va buono, va buono!”
Era un napoletano, una persona carissima.
Volai anche sul T33 ed il Vampire.
Andai in pensione dall’Aeronautica Militare nel ’60 e dopo poco tempo incontrai, o meglio mi cerco’, il comandante Staffieri. Mi disse:
“Noi stiamo costituendo una Società, ti interesserebbe?”
“Come no?”
Conseguii cosi’ anche il brevetto di Terzo Grado e di Ufficiale di Rotta e venni assunto dalla SAM dove volai con il DC6 e col Caravelle. Rimasi alla SAM finchè chiuse e poi mi assorbi’ l’Alitalia dove continuai a volare sul Caravelle.
Non avrei potuto fare il comandante in quanto non avevo il titolo di studio di scuola superiore. Il comandante Rambaldi, un amico, un bolognese, parlo’ con Rech il nostro Capo Pilota. Mi mise in addestramento al Comando con un certo Mucci sul DC 6. Un mese circa assieme, non mi disse mai una parola: “tu hai sbagliato, avresti dovuto fare … “hai fatto bene, hai fatto male”. Mai niente, io facevo quello che facevo di solito. Un bel giorno vado in linea, dovevo fare un altro volo con Mucci ma viene il Capo Pilota e mi dice:
“Facciamo un controllo, Biffani”
Andiamo in volo ed arrivati su Ciampino, il Controllore del Traffico Aereo ci mette in holding ed io stupidamente, ero nel pallone completo, entrai in holding con virata a destra. Era invece con virata a sinistra.
Lui disse:
“Basta, basta!”
Mi tolse i comandi dalle mani e andammo a terra. Non mi fece abile al Comando. Avevo 13.400 ore di volo, non erano da buttare via e cosi’ andai a volare in Libia.
Erano gli anni ’78 – ’79 e mi mandaronoa a Gat, avevo 62 – 63 anni. Non ero poi da  buttar via come pilota.
Un giorno ero in volo con l’allievo nella mia area e vedo avanzare da Nord verso Sud un banco di ghibli formidabile che non avevo mai visto. Avverto la torre e dico:
“Fate rientrare immediatamente tutti perchè si chiude l’aeroporto”.
Tornai subito sul radiofaro, mi misi sopra a tutti e aspettai che l’ultimo avesse atterrato ma nel frattempo si era chiuso l’aeroporto. Chiuso di brutto.
Dissi all’allievo:
“Adesso ti faccio vedere un avvicinamento senza visibilità. Stai bene attento a quello che faccio”.
Non credo che abbia capito molto quello che stavo facendo, era un allievo alle prime armi.
Lascio il radiofaro in allontanamento e comincio a scendere per iniziare la procedura strumentale di avvicinamento. Risorvolo il radiofaro alla quota prevista per l’avvicinamento finale, ho il radiofaro in coda, la lancetta e’ spostata un po’ sulla destra rispetto al valore previsto. “Voglio stare tra la pista e il raccordo” dico tra me “Se non vedo uno, vedo l’altro”, giusto?. Scendo, un bel momento vedo sulla sinistra il bordo del raccordo, accosto a destra e mi poso. Chiudo il motore e chiamo la torre:
“Mandatemi il follow-me, non posso rullare, non ci vedo!”.
Insomma un avvicinamento con visibilità bassissima! Credimi, quando arrivava la sabbia eran dolori. Non potevi neanche rullare per andare al parcheggio.
Arrivato al parcheggio c’era un colonnello, una brava persona, che mi disse:
“Lei li fa fuori tutti, questi qua!”.
“Questi qua”. Non li classifico’ diversamente. Dico: “In Compagnia hanno speso milioni per addestrarci, se non abbiamo capito niente siamo proprio dei deficienti!”.
Insomma, rientrai e Salvaneschi, che era il nostro comandante, una bravissima persona, mi disse:
“Biffi, che fai adesso?. Vuoi venire con noi?”
Avevano appena fondato una Compagnia Aerea a Bologna o Parma, non mi ricordo. Avevano due o tre Caravelle ma non disponevano di piloti qualificati. Mi disse:
“Con i secondi che ci sono, non ci posso volare. Dai, vieni tu!”
Feci alcuni voli con loro come secondo pilota.
Un giorno mi scadeva il brevetto di volo ed andai all’ufficio brevetti di Bologna, da Belleu per rinnovarlo. Lui lo guardo’ e disse:
“Ma lei non puo’ mica portare passeggeri a pagamento!”
“E perchè?”
“Sopra i 60 anni non puo’!”
E va beh, e allora dico:
“Basta, finisce cosi’!”.
 
 
 

3.Vincenzo Patriarca

Per poter volare sono stato costretto ad andare in Italia. Non avevo altra scelta. Negli USA volare costa caro. Un corso di volo avanzato per il conseguimento della licenza di pilota commerciale costa intorno ai duemila dollari. In realta’ anche di piu’ poiche’ bisogna aggiungere le spese per il vitto e l’alloggio.
Esiste un’altra soluzione: arruolarsi nell’Aeronautica Militare americana. Ma quali possibilità ha un semplice aviere di diventare pilota ? Puo’ darsi che qualcuno si accontenti di rifornire di carburante gli aerei, sedere ai comandi per riscaldare il motore, togliere i tacchi dalle ruote e guardare qualcun altro decollare. A me queste esperienze frustranti non interessavano.
Di solito andavo all’aeroporto di Long Island  con in tasca solo il denaro per l’autobus e trascorrevo il tempo guardando gli aerei e torturandomi. Andai per la prima volta in quell’aeroporto nel 1931 per alcune lezioni di volo. Ero riuscito a risparmiare un po’ di denaro facendo lavori occasionali nella darsena degli yachts nella periferia di New York, vicino a casa mia.
Avevo 17 anni ed ero affascinato dal volo. Mio padre che sembrava comprendere ed incoraggiare la mia ambizione per il volo mi aiuto’ nelle spese del corso. Avevo venti ore di volo come “solo pilota” al mio attivo e stavo per sostenere la prova d’esame per ottenere la licenza di pilotaggio, quando una disposizione governativa cambio’ il regolamento e porto’ a cinquanta ore le venti previste. Fu un colpo disastroso per me. Sapevo che le mie possibilità di trovare il denaro sufficiente per pagare le trenta ore addizionali erano molto remote.
In quel momento non vi erano molti lavori precari per i giovani, nel Bronx dove vivevo io quasi tutti erano disoccupati.
Una mattina d’estate subito dopo l’alba andai all’aeroporto per osservare un amico che stava allenandosi nel volo acrobatico. A quell’ora del mattino di solito l’aria è fresca e calma, perfetta per l’acrobazia. Non c’è turbolenza nell’aria ed il velivolo risponde docilmente. Nelle altre ore del giorno non potete immaginare il ballo che si incontra effettuando dei tonneau od una serie di stalli.
Quel mattino osservai a lungo le acrobazie del mio amico e poi mi recai nella sala piloti. Ero pieno di rabbia per la mancanza di mezzi che mi costringeva a terra. Mi lasciai cadere sconfortato su una sedia e distrattamente raccolsi una rivista di aviazione che qualcuno aveva lasciato  e cominciai a sfogliare le pagine.
Improvvisamente trasalii. “I figli di italiani residenti all’estero” – queste erano approssimativamente le parole – “che intendono frequentare corsi di pilotaggio possono essere addestrati a spese del Governo italiano presso le Scuole di Volo. Rivolgetevi al Consolato italiano per ulteriori informazioni”.
Lessi e rilessi queste parole, quindi con un grido di gioia corsi fuori. Molto prima che il Consolato italiano di NewYork aprisse ero già ad aspettare. Finalmente, quando il console mi ricevette, ero cosi’ emozionato che potevo a malapena parlare.
Il novembre successivo al Ministero dell’Aeronautica di Roma appresi che ero il primo americano ad approfittare della generosa offerta dell’Italia. In seguito incontrai altri compagni che erano venuti come me dall’estero alle Scuole di Volo italiane.
Fui assegnato inizialmente ad un gruppo Osservatori. Il mio addestramento cominciò cosi’ all’aeroporto di Grottaglie, nel Sud Italia, noto per la serietà degli istruttori e proseguì poi all’aeroporto di Gorizia, vicino Trieste, fucina di brillanti piloti.
Dopo circa tre mesi trovavo molto noioso starmene seduto nel cielo e scattare fotografie. Il mio compagno, Ernesto Monico, odiava anche lui questo lavoro. Ottenemmo la qualifica di “osservatori” e poco dopo fummo trasferiti al prestigioso 4° Stormo Caccia, che stava sul lato opposto dell’aeroporto, il tutto grazie ad un “fortuito incidente”.
Un giorno, mentre io e Monico stavamo provando due aerei Caproni, ci dirigemmo verso il vicino Adriatico. Questi aerei erano pesanti e non era il caso di tentare l’acrobazia. Pero’ ci sentivamo cosi’ ringalluzziti che nel volo di ritorno volammo per un po’ con le estremità delle ali che si toccavano.
Era un divertimento pericoloso e severamente vietato dai regolamenti. A nostra insaputa, il  comandante stava volando un migliaio di metri più alto. Questo giochetto ci costo’ dieci giorni di arresti senza paga. Un mese più tardi fummo trasferiti al 4° Stormo dove, cosi’ ci fu detto, avremmo potuto sfogarci come avremmo voluto.
Nell’agosto 1935 sentimmo per la prima volta parlare di piani per invadere l’Etiopia. Come cittadino americano all’inizio non avevo l’intenzione di andare, ma in seguito cambiai idea e mi offrii volontario.
La primavera dell’anno dopo trascorsi due mesi all’ospedale di Napoli tentando di dimenticare Massaua sul Mar Rosso, dove all’ombra c’erano “solo” 52° centigradi ed i comandi di volo erano cosi’ caldi che non si potevano toccare; Asmara, dove di notte la temperatura scendeva sotto lo zero, duemilaquattrocento metri sul livello del mare; Gura, dove pattugliavamo il confine sapendo molto bene che fine avremmo fatto in caso di atterraggio forzato in territorio nemico; Assab, ancora più calda di Massaua, dove non era raro vedere un pilota smontare dalla carlinga ed accasciarsi svenuto.
Giacendo nel mio letto d’ospedale, ricordavo in ogni dettaglio l’unica vera azione di guerra cui avevo preso parte il giorno di Natale del 1935, quando ci trovammo sopra una mitragliatrice della contraerea nascosta sotto un albero e la mettemmo fuori uso mitragliandola in picchiata. Fu una piccola vendetta personale per la sorte di due compagni rinvenuti presso i rottami dei loro velivoli e scuoiati vivi, con i cuori strappati ed al loro posto infilate le scarpe.
Stavo molto male ma dopo qualche tempo, una volta ristabilito,  fui lieto di ritrovarmi di nuovo al mio Reparto a Gorizia, con “solamente” un’ulcera allo stomaco. Una sera di agosto mi fermai ad un caffè al ritorno dal cinema. Ad un tavolino sedeva un uomo alto con i capelli grigi che giocava al solitario.
Improvvisamente mi fece segno di raggiungerlo e con mia sorpresa mi chiamo’ per nome. Prese un piccolo calendario dalla sua tasca e indicandomi una data mi chiese se sapevo cosa significasse:
“Domenica, 19 luglio ….”
Scossi la testa. Mi spiego’ che era la data ufficiale dell’inizio della Rivoluzione spagnola.
La cosa interessante di tutto questo era che il governo ribelle offriva 200 dollari al mese, tutte le spese, comprese le sigarette, se fossi andato in Marocco a combattere per il generale Franco con la Legione straniera spagnola.
Tutto questo poteva andarmi bene, ma una cosa mi preoccupava: che aeroplano mi sarebbe stato assegnato? Avevo sentito che c’erano pochi aeroplani decenti in Spagna da ambedue le parti belligeranti.
“Che aereo vuole?”
“Un Fiat, … sono i migliori”
L’agente spagnolo scosse la testa:
“Impossibile, non ce lo possiamo permettere, ma non preoccuparti, avrai un buon aereo”
“No – risposi – non accetto se non mi viene assegnato un Fiat”
In passato non avrei mai accettato di rischiare la vita per un paese straniero, ma ora improvvisamente, quando fu chiaro che tutto dipendeva solo da me, non vedevo l’ora di partire per la Spagna. Non avevo mai provato una simile sensazione, non avrei mai pensato ad una simile eventualità’.
Per essere sicuro di partire ed avere l’aereo che desideravo, mi recai in banca e prelevai tutti i miei averi, circa 15.000 lire. Con quel gruzzolo ottenni quello che volevo.
Il 22 agosto ero già in Marocco dove cominciai le prime esperienze di guerra. Il mio primo volo in Spagna fu su un Junker adibito al trasporto passeggeri, con due piloti e due meccanici, tutti tedeschi.
A bordo c’erano anche alcuni ufficiali spagnoli e marocchini. Sul pavimento erano sparse dieci bombe da 500 libbre.
A meta’ strada da Seville (Siviglia), nostra destinazione, incontrammo forte vento e le bombe cominciarono a rotolare sul pavimento dell’aereo. Fortunatamente eravamo vicini a Jerez, territorio degli insorti. Atterrammo e fissammo le bombe con sacchetti di sabbia per evitare che continuassero a rotolare.
Improvvisamente un meccanico dagli occhi spiritati mi disse di fare attenzione agli aeroplani che volteggiavano intorno a Seville.
Ero ancoro scosso da questo avvertimento della mia prima missione di guerra, quando a circa 20 minuti dalla citta’ vidi un puntino in avvicinamento ad una velocità terrificante. Era un biplano. Ci volle un bel po’ di tempo per sapere se era amico o nemico.
Gli aerei franchisti come emblemi per distinguersi avevano una croce nera sulla coda e un disco nero sulla fusoliera e sotto le ali. Gli aerei repubblicani, portavano due cerchi rossi separati da una striscia rossa sulla parte superiore e inferiore delle ali e una bandiera rossa quadrata dipinta sulla coda.
Mentre lo Junker virava per allontanarsi, sparai alcuni colpi per scaldare le mie mitragliatrici. Non fu necessario, le insegne che vidi erano come le mie, non solo, notai anche qualcosa di familiare nel modo di pilotare l’aeroplano.
Quando entrammo in formazione stretta e le nostre estremità alari erano pochi piedi l’una dall’altra, ci scambiammo un cenno di saluto, quindi l’altro pilota sollevo’ gli occhialoni e sorrise: era il mio compagno di Gorizia, Ernesto Monico!
Subito dopo il nostro incontro nel cielo di Seville, Monico, che era un ufficiale, “mosse alcune maniglie” per trasferirmi alla loro base di operazioni a Caceres.
Lo stesso giorno ebbi il mio battesimo del fuoco. Stavamo tornando a Seville scortando i nostri bombardieri dopo un’azione coronata da successo, quando dalla mia destra, da un banco di nubi, venne fuori in picchiata un aeroplano da caccia color rosso ad ala alta, filante e preciso come una freccia, che si avvicino’ al bombardiere.
Il mio compito era proteggere il bombardiere che scortavo. Mi inclinai e gli virai incontro, ma lui aveva picchiato passandomi sotto sparando selvaggiamente senza colpire ne’ me né il bombardiere che lo aveva evitato virando con 90 gradi di inclinazione.
Era un aereo molto veloce che si arrampicava molto bene. Quando riuscii a mettermi in coda, cabro’ violentemente effettuando rapidi rovesciamenti per sganciarsi e portarsi fuori tiro.
Improvvisamente picchio’ di nuovo, prese velocità e parti’ per un looping. Capii  che cercava il combattimento, ma il suo looping era piu’ ampio.
Stando incollato alla sua coda strinsi ancora il mio looping. Giunti al culmine,  stavamo volando rovesci, quasi sospesi nel vuoto e aderenti al sedile grazie alle bretelle.
Erano momenti difficili, ma ero all’interno del looping. Prontamente puntai il collimatore telescopico su di lui, partirono le mie traccianti che colpirono in pieno la sua fusoliera.
Vidi l’aereo entrare in vite incontrollata, eravamo a circa 8000 piedi, (2440 metri). Mentre precipitava, percepivo il sudore sgorgare da tutto il mio corpo e pregai che si lanciasse col paracadute.
Quando rientrai alla base i colleghi si complimentarono per l’abilita’ che avevo dimostrato in occasione del mio primo combattimento aereo. L’equipaggio del bombardiere mi abbraccio’ a lungo riconoscente per lo scampato pericolo ed alla sera ebbi un elogio ufficiale.
Ma quella notte, per la prima volta della mia vita, non potei dormire. Andai nella chiesa più vicina e pregai per l’uomo che avevo abbattuto, ma cio’ non mi fu di molto aiuto.
Il peggio doveva ancora venire. Quando raggiunsi la mia squadriglia a Caceres, venni a sapere che Monico era stato abbattuto dall’asso repubblicano Felix Urtubi e catturato vivo dietro le linee nemiche. E non era tutto, un nostro informatore – che  era stato testimone oculare dei fatti- aveva riferito al nostro comando di Caceres che Monico era stato trattato in modo disumano. Consegnato ad una folla di donne inferocite che simpatizzavano per i repubblicani, le stesse donne che si vedono nei filmati propandistici, queste lo avevano graffiato, sputato addosso e strappati i vestiti. Sotto il sole ardente gli avevano attaccato alle braccia ed alle gambe i finimenti di quattro cavalli poi lanciati ciascuno in una direzione diversa. Squartarono il suo giovane e fragile corpo trascinando i miseri resti sull’arsa terra spagnola. La folla impazzita esultava di compiacimento.
(Il diario “Viva la muerte” di Ruggero Bonomi, capo della spedizione italiana, riporta che Monico si era lanciato col paracadute e aveva preso terra incolume a circa sette chilometri da Talavera verso Oropesa. Fatto prigioniero da un gruppo di miliziani in ritirata era stato ucciso a rivoltellate. Successivamente gli autori vennero identificati dalle truppe nazionali e a loro volta fucilati. NdR)
Ora avevo solo un’idea in mente: anche a costo di morire avrei vendicato Monico!
Mentre il mio aeroplano era in manutenzione, dipinsi una testa di indiano sulla fusoliera con una penna per ciascun aeroplano che avevo abbattuto. Sopra la testa scrissi: “MONICO PRESENTE” ed altrettanto fecero i miei compagni di squadriglia.
Era un modo, tipicamente italiano, per ricordare una persona amata che era scomparsa. Monico era costantemente presente nei miei pensieri ed ora chiunque avesse rivolto lo sguardo ai velivoli della sua squadriglia si sarebbe ricordato di lui.
Nel giro di un mese il mio meccanico dipinse due altre penne sulla testa di indiano.
Un giorno uno dei nostri piloti, non ancora ventenne e senza esperienza di combattimento, mi venne incontro mentre ci  preparavamo per partire, ripetendomi nervosamente:
“Dimmi Patriarca, cosa debbo fare?”
Lo guardai e per la prima volta ero provavo una strana sensazione nel  trovarmi in Spagna.
“Stai tranquillo, Cenni” – dissi – “stai tranquillo!”
Continuavo a pensarci. Avevo la sensazione che quel giorno qualcosa di diverso sarebbe accaduto.
Stavamo effettuando una missione di vigilanza su Talavera e Toledo, in una bella domenica calda. Avevamo portato a termine la missione senza incidenti quando le squadriglie di Salamanca vennero a  rilevarci per il cambio.
Mentre viravamo per ritornare al nostro campo, vidi due bombardieri nemici e tre aerei da caccia con la parte superiore delle ali mimetizzate, a circa 500 metri piu’ in basso.
A gesti lo segnalai al capopattuglia ed egli di ritorno:
“No,  … lasciali andare”.
Deliberatamente disobbedii agli ordini. Buttandomi in picchiata, sparai con le mitragliatrici sulla formazione degli aerei da caccia.
Ne colpii uno e mentre lo inseguivo per un breve tratto, un altro caccia venne sulla mia sinistra e mi si mise in coda. Tentai di sganciarmi ed uscire dal suo campo di tiro ma quell’individuo sapeva come volare e combattere.
Mi piombo’ nuovamente  addosso e di nuovo virai bruscamente. Questa volta manovrai cosi’ brutalmente che il sangue deflui’ dalla mia testa e per alcuni interminabili secondi rimasi totalmente cieco.
Riuscii alla fine a sganciarlo e come me lo ritrovai davanti, si butto’ in picchiata, tirai allora un looping per uscirne in cima.
Capii subito che non era un pilota normale, un cacciatore normale. Doveva essere un pilota molto abile. Improvvisamente capii: questo era l’uomo responsabile della morte di Monico, Felix Urtubi !.
Persi la mia calma. Improvvisamente mi sentii gelare in tutto il corpo. Prudentemente ridussi la potenza e con un freddo calcolo evitai di passargli sotto quando usci’ dal looping, lo raggiunsi e mi incollai alla sua coda.
Feci partire una raffica. Eravamo tanto vicini che potevo vedere le traccianti finire alcuni pollici sotto l’ogiva della sua elica. Sapevo che oramai era una questione di pochi secondi.
Quando vidi sprigionarsi prima il fumo e subito dopo le fiamme dal serbatoio di riserva sopra l’ala, pensai che avevo finalmente regolato i conti per Monico.
Credo che abbia potuto vedere la scritta “MONICO PRESENTE” e deve aver compreso che ero determinato ad abbatterlo ad ogni costo.
Improvvisamente, con un abile cambiamento di tattica, mi sperono’ violentemente con la sua ala sinistra, danneggiandomi l’ala e bloccandomi l’alettone. Entrambi entrammo immediatamente in vite. Il suo aereo precipitava avvolto dalle fiamme. Non avevo rimorsi per Felix Urtubi ma con il pensiero lo salutai come un coraggioso cacciatore, un grande pilota.
Ernesto Monico era vendicato!
Improvvisamente mi sentii pervaso da una grande calma e mi sembrava un miracolo. Una sensazione che non ho mai piu’ provato. Portai la manetta al minimo, spinsi la cloche ma notai che non si muoveva, anche quando l’afferrai con entrambe le mani. L’aereo vibrava e mi sballottava sul seggiolino. Stavo girando in vite sempre più stretta e veloce.
Non so neanch’io perche’, ma detti tutta potenza, slacciai le bretelle, mi sporsi e mi gettai fuori lateralmente. Era il mio primo lancio col paracadute.
Ebbi un senso di sollievo quando il mio corpo volteggio’ nello spazio e subito tirai la maniglia che liberava l’estrattore del paracadute.
Veleggiando appeso al paracadute in una leggera brezza, mi sentivo sereno e spossato. Sotto di me l’aeroplano di Urtubi continuava a bruciare. Il mio si era schiantato al suolo poco distante. Si era schiacciato come un cannocchiale, la coda era entrata nella fusoliera.
Pensai: “Non potro’ aggiungere un’altra piuma sulla testa dell’indiano dipinto sulla fusoliera”.
Mentre scendevo appeso al paracadute mentalmente feci un rapido calcolo: avevo abbattuto cinque aeroplani esattamente in due settimane.
L’impatto col terreno fu piu’ brusco di quanto m’aspettassi. Ero convinto di essere finito dietro le linee dei Repubblicani ma improvvisamente dovetti constatare che mi trovavo proprio in mezzo di esse.
Mi liberai subito del paracadute e mi rifugiai in una buca di granata mentre le pallottole sibilavano attorno.
Quando gli spari cessarono, tentai di trascinarmi carponi verso quelle che ero certo fossero le nostre linee. Poco dopo ebbi un’amara sorpresa: ero circondato da militari repubblicani che mi aspettavano in una buca più profonda. In quel momento mi torno’ alla mente il destino di Monico.
Fui catturato e costretto a marciare fino ad una casetta dietro le linee dove fui perquisito anche nelle scarpe. Fui sottoposto ad un primo interrogatorio da parte di un generale dall’aria paterna che interruppe a metà le sue domande per chiedermi se dovevo andare al bagno.
“Mercenario!”esclamo’ il generale repubblicano guardandomi sarcasticamente ”Pensavo che voi tutti eravate morti con i conquistadores”,
risposi “Immagino che sono qui per essere mandato davanti al plotone d’esecuzione domani all’alba. Le sarei grato se telegrafasse a mio padre, qui c’è il suo nome e l’indirizzo. Come ho detto, sono un americano e mi sono arruolato nella legione straniera spagnola sotto il falso nome di Cesare Boccolari. Non volevo che lui lo sapesse e si preoccupasse.
Poco dopo fui messo sotto scorta rinforzata e caricato su un automezzo diretto a Madrid: nella piu’ fortunata delle ipotesi sarei finito davanti al plotone d’esecuzione il mattino successivo, ma il comportamento delle guardie che stavano sul cellulare e di quelle che stavano sul predellino, mi preoccupava.
Ad alta voce ed in modo provocatorio, discutevano sui dettagli delle torture che avevano inflitto ai prigionieri nemici prima di sopprimerli.
Durante quelle due ore di viaggio verso la capitale, il filo che mi legava i polsi mi penetrò nella carne bloccando la circolazione del sangue, facendole diventare bluastre le mani. Un soldato lo noto’, rise e sputo’ sulle mie mani con disprezzo.
Cominciai a dire il rosario, più volte. Un rosario immaginario. Il mio era stato confiscato al momento della perquisizione assieme a cronometro, pullover, sciarpa, 800 pesetas e 200 franchi. Il giorno prima avevo ricevuto il salario mensile equivalente a 200 dollari americani.
Avevo messo in conto di cadere prigioniero ma, quando uno dei soldati che mi avevano catturato mi tolse una piccola spilla, ricordo di mio fratello piu’ giovane, Carmine, arruolato nella Marina degli Usa in Cina, vidi rosso. Considerando il momento ed il luogo, cio’ potrebbe sembrare bizzarro.
A Madrid fui sistemato in una buia cella dei sotterranei del Ministero dell’Aria e della Marina. Avevo sudato ed ora, mentre attendevo l’alba, nella mia leggera tuta di volo, il mio corpo era scosso dai brividi. Non accadde niente per ore finchè una guardia mi porto’ dell’acqua e fagioli. Più tardi altre due guardie mi scortarono ai servizi igienici. Questa routine continuo’ per giorni.
Una notte improvvisamente entrarono nella mia cella cinque individui che indossavano delle tute e dei berretti rossi e neri sui quali c’erano le lettere FAI, Federazione Anarchica Iberica, uno di questi mi tiro’ giu’ dalla brandina.
Mentre mi spingevano lungo un corridoio fino ad una parte più illuminata dei sotterranei, vicino ad una caldaia, stesero alcune carte su un tavolo, mi misero una penna nella mano e mi ordinarono di firmare.
Chiesi di cosa si trattasse e come risposta ricevetti un colpo in faccia con il calcio del fucile. “Fai quello che ti abbiamo detto” strillarono. Mi rifiutai di firmare!
Mi fissarono per un momento in silenzio quindi, uno che sembrava il loro capo, comincio’ ad interrogarmi sulle dimensioni della forza aerea di Franco, il numero di tedeschi e di marocchini e se quest’ultimi erano stati trasportati dal Marocco in aereo o per nave. Risposi semplicemente: “Non lo so”. Avrei voluto raccontare loro  un sacco di frottole, ma ero troppo intontito da quel colpo con calcio di fucile ed i miei riflessi erano rallentati.Alla fine, dopo avermi torto piu’ volte le braccia, puntate le pistole allo stomaco e con queste colpitomi il capo, capitolai e firmai i documenti.
Ero troppo esausto per sospettare che le carte riportavano una dichiarazione completamente falsa nella quale si diceva che ero stato obbligato dalle autorita’ italiane ad arruolarmi nella Legione Straniera di Franco. Questi documenti dovevano essere consegnati a Ginevra quale prova contro il Governo italiano.
Solo chi ha trascorso giorni e giorni in una buia cella, attendendo che accada qualcosa di diverso, sia essa buona o cattiva, purchè accada, può comprendere la disperazione e senso di impotenza che si prova.
“Quando tocchera’ a me? Quando mi fucileranno?”chiedevo alle guardie. Loro sghignazzavano. “Vuoi andare alla «Corrida» chico?” “Alla «Corrida»?” non capivo e loro facevano il gesto di sparare col fucile.
Dopo circa due settimane inaspettatamente fui portato sotto scorta in un ufficio dei piani superiori. Mi dissero che due scrittori americani, Jay Allen e Louis Fischer volevano vedermi. Non avevo mai sentito i loro nomi. Pensai che questo fosse un nuovo trucco per farmi parlare.
Appena entrai nell’ufficio dove mi attendevano, notai che uno di loro (poi lo avrei identificato in Allen) aveva carta e matita pronto a scrivere quello che avrei detto. Mi preparai mentalmente per dare meno informazioni possibile.
Allen fu il primo a farmi le domande.
 “Lei e’ il primo pilota americano catturato in azione. Si rende conto delle gravi conseguenze?”
Compresi allora che forse loro avrebbero potuto aiutarmi. All’improvviso Allen affermò che non c’era alcun motivo per cui dovessi rimanere in Spagna. Fischer assenti’ affermando che ero fortunato ad essere ancora vivo e dubitava che lo sarei stato tra una decina di giorni. Mi rassicurarono che avrebbero fatto tutto il possibile per risolvere al meglio quella brutta situazione.
Due giorni più tardi all’alba mi tirarono fuori dalla cella, mi misero le manette e mi caricarono su un cellulare.
“Siamo alla fine,” pensai “e’ giunto il momento!” Ora tutto ciò che desideravo era farla finita il più presto possibile.
Al “Conde Duque”, le piu’ vecchie caserme di Madrid mi sistemarono in un sotterraneo. Dovetti passare in un cortile, attraverso delle vecchie scuderie, prima di raggiungere la mia cella sotterranea. Era freddo e tirava un gelido vento e ad un certo punto vidi un gruppo di tremanti soldati, circa una cinquantina, che avevano disertato dall’esercito di Franco. Notai tante donne ammassate supplicanti che agitavano le mani. Erano le madri interrogate dai funzionari repubblicani in merito alla posizione dei loro figli. Loro non lo sapevano, e l’opinione generale era che si fossero aggregati alle truppe di Franco. Queste madri erano tenute prigioniere tra la popolazione civile.
La guardia che mi aveva condotto nella cella del “Conde Duque” era un uomo anziano dallo sguardo gentile. Appena mi libero’ dalle manette, le braccia mi tremarono.
“Hai paura?” mi chiese.
“No, e’ soltanto l’incertezza del mio futuro. Mi farebbe un atto di carita’ cristiana se riuscisse a sapere quando saro’ fucilato”
“Non si curano di atti cristiani da queste parti” rispose con tono duro
“ma, … paciencia ! Sei giovane e hai tempo per morire”
La cella era infestata da ratti, scarafaggi, pulci e formiche. Di notte, mentre giacevo sulla paglia, sentivo i ratti correre sul mio corpo. Mi abituai a loro ma dormivo raramente.
Indossavo ancora la mia leggera tuta di volo. In ottobre a Madrid fa freddo. La mia cella era umida e un lenzuolo di cotone non mi teneva caldo.
Nello spesso muro di pietre c’era in alto una piccola apertura con le sbarre dalla quale passava una forte corrente d’aria. Spesso giacevo in una specie di trance o stupore pensando di essere ancora nella casa di mio padre nel Bronx. Avrei voluto liberarmi di questi sogni, probabilmente cominciavo ad impazzire.
Ogni settimana la guardia mi portava una candela e sette fiammiferi. Potevo cosi’ vedere  gli avanzi di grasso che mangiavo e la scodella d’acqua che mi veniva consegnata ogni giorno. Solo con la luce della candela potevo tenere lontani i ratti dal mio cibo.
Avevo trovato una piccola nicchia piana nella parete di pietra della cella, dove appoggiare la candela. Un giorno essa cadde sul pavimento ma non con la velocità che dovrebbe avere un oggetto di quelle dimensioni. Venne giù lentamente come al rallentatore, ruotando su se’ stessa come un velivolo senza controllo. La piccola fiamma che si diffondeva lungo la cera sembrava un aereo in fiamme.
Mi sentii mancare, mi coprii gli occhi con le mani ed ebbi una visione. Vidi Urtubi precipitare con l’aereo in fiamme più chiaramente di come lo vidi quel fatidico mattino.
Sebbene inizialmente non ne rendessi conto, tutta Madrid sembrava sapesse che  ero rinchiuso nel Conde Duque. Credo che l’unica cosa che mi evito’ di impazzire sia stata la moltitudine di persone che venivano a vedermi. Praticamente non ero mai solo durante il giorno. La porta della mia cella era in lamiera d’acciaio. La gente mi scrutava dallo stretto corridoio che portava alla mia cella. Mi sentivo come un animale allo zoo.
Alle donne non era permesso vedermi ma le guardie, quando erano fuori servizio, portavano le loro ragazze. Loro non si limitavano ad osservarmi, inveivano e mi sputavano addosso. Una ragazza invece non lo fece ma esclamo’: “Sei troppo bello per morire”.
Gli uomini mi lanciavano degli insulti, mi maledivano, altri mi lanciavano pietre attraverso le sbarre. Un giorno arrivo’ in caserma un reparto di seimila militari e le guardie stentarono a tenerli lontani dalla mia cella.
Una settantina di loro riuscirono ad entrare con la forza gridando insulti osceni nei miei riguardi. Mi e’ rimasta impressa una voce piu’ acuta che sovrastava le altre e gridava in inglese:
“Che la malasorte ti accompagni, ragazzo”.
Questi fanatici Repubblicani erano cosi’ pazzi che contribuirono ad evitare che io impazzissi.
Le due guardie del turno di notte erano molto gentili con me. Qualche volta andavano a comprare a loro spese pane, uva e caffè e me li offrivano quando eravamo soli. Dovevano stare molto attenti che nessuno li vedesse.
Una notte udii in distanza delle voci maschili che cantavano l’inno fascista.
”Sono circa trecento e vanno a morire”
disse la guardia.
Un’altra notte udii delle donne urlare.
”Per amor del cielo” chiamai la guardia “cosa succede la fuori?”
“Hanno preso le prostitute che Franco ha mandato per diffondere le malattie veneree nei ranghi dei Repubblicani”mi disse la guardia che in passato mi aveva detto di avere pazienza.
“Le ragazze che Franco mando’ a diffondere le malattie veneree tra i ranghi dei Repubblicani?. Veramente tu credi a questa propaganda?” esclamai.
”Quien sabe? (chi lo sa?). Non so se credere ai miei occhi, ma questa è la guerra. Oggi in strada ho visto un combattimento tra il P.O.U.M. (Partido Obrero Union Marxista) ed il F.A.I. (Federacion Anarquista Iberica). Domani il Partito Socialista combatterà tutte e due e noi ci chiamiamo lealisti (republicani), uniti insieme per una causa comune. Non si sa a cosa credere oggi, l’unica cosa sicura e’ la propria pancia che dice quando e’ vuota. Soltanto lei dice la verita’ “ mi rispose la guardia.
Mentre parlava le grida delle donne aumentavano. Acute e più alte e sovrastanti i rumori dei motori che provenivano dalla strada. Facevano rabbrividire. Non avevo mai sentito simili urla strazianti.
“Dove le stanno portando?” chiesi.
“Alla Corrida”, disse la guardia passandomi una sigaretta.
Un sorriso strano apparve sulle sue labbra come se facesse fatica a controllarsi. Si allontano’ dalla porta della mia cella. Le grida cessarono improvvisamente. Non riuscivo a togliermi dalle orecchie le grida di quelle sventurate.
Una mattina una guardia irruppe nella mia cella:
“Stai per uscire”, disse.
Avevo difficoltà a sentire la sua voce, ma poco dopo ero davanti ad un generale spagnolo e, con mia grande sorpresa, a due membri dell’ambasciata americana.
Al mio fianco c’era il Facente Funzioni dell’Ambasciatore Wendelin ed il Consulente Generale Johnson.
“Siedi diritto, sei in una situazione molto critica, ma forse potremo tirarti fuori”  sussurro’ Mr Wendelin.
Al ritorno nella mia cella avevo il dubbio di avere sognato e mi sembrava impossibile che si stesse facendo qualcosa per liberarmi. Solo i resti del cibo che Mr Wendly mi aveva portato, una bottiglia vuota di latte ed alcuni torsoli di mele provavano che non sognavo.
Da quel giorno non dovetti più mangiare i rifiuti della prigione. Ogni pomeriggio veniva  qualcuno dell’Ambasciata con un canestro di zuppa calda, pane e frutta. Fui anche trasferito dalla cella sotterranea ad uno dei garage nel cortile. Mi fu permesso di fare della ginnastica. Una volta giocai perfino a palla con la guardia.
E, incredibile, mi fu dato un pezzo di sapone: potei fare il bagno nell’abbeveratoio dei cavalli della prigione e lavare finalmente la mia tuta di volo sporca, indossata per tutte quelle interminabili settimane.
Cominciavo a perdere la speranza di essere rilasciato, tuttavia nelle mie preghiere imploravo la fine di questa prigionia. Quando finalmente era arrivato un aiuto, forse era già’ tardi. Presto una notte anch’io sarei stato portato alla “Corrida” per essere giustiziato. Stupidamente mi stavo facendo del male da solo.
Un tardo pomeriggio due Franchisti (Nazionalisti), un portaordini del Marocco ed un artigliere italiano, furono rinchiusi nel garage con me. Il primo era quasi morto. Sussurro’ che gli avevano messo una corda attorno al collo ed era stato trascinato per le strade di Toledo. Non si capiva come fosse ancora vivo. La folla lo aveva lapidato e un esagitato gli ha gridato: “Hai ucciso mio cugino” e poi colpito alla la testa con la baionettta.
Il prigioniero italiano, un ragazzo sotto i 19 anni, era isterico, terrorizzato. Quando i soldati che lo portarono in cella si voltarono per andare via, egli si piego’ sulle ginocchia piangendo e baciando loro le mani.
Osservavo ed ero disgustato dalla scena. Quando la guardia non ci poteva sentire, mi avvicinai a lui:
“Tenta ancora una volta quella specie di baciamano e se i Repubblicani non ti sistemano, ci penso io. Puoi esserne certo che lo faro’!”
gli dissi.
Mi guardava attraverso le lacrime come un bambino. Ho pensato che non fosse fatto per la guerra.
“Sarai interrogato” continuai “e ricorda una sola cosa, non dichiarare mai la verità. Tira fuori i muscoli, fai vedere che hai del fegato. Esagera o diminuisci i fatti, intimoriscili, falli preoccupare. E’ l’unico modo per aiutare i compagni di prigionia”
Quella stessa notte fu portato al Ministero per un interrogatorio. Immagino che sia crollato perche’ racconto’ tutto quello che gli avevo detto, parola per parola. Fui rispedito nuovamente nella cella situata nei sotterranei del carcere.
Quando all’indomani, William Krieger, terzo segretario dell’Ambasciata Americana, venne da me con il cibo, mi fisso’ a lungo:
“Hai una predisposizione per ficcarti nei guai. Come sei riuscito a rimanere vivo per 23 anni?”, mi disse.
Krieger mi aveva portato dei canditi e quella notte, quando un tenente venne nella mia cella, gliene offrii alcuni.
“Molto buoni” disse ma i suoi pensieri sembravano molto distanti.
“E’ un candito americano”, risposi. Prese un altro:
“A proposito, stasera verranno a prenderti per portarti via”
Non ebbi il tempo di rispondere, se n’era già andato. Provai di nuovo un senso di sollievo.
Ero dispiaciuto per il personale dell’Ambasciata che avevo stupidamente messo nei guai con i consigli al prigioniero italiano. Jay Allen e Louis Fischer si erano adoperati per me ed io gli avevo procurato delle noie per niente.
A mezzanotte salutai  le due guardie che erano state sempre premurose e mi avevano trattato bene. Una guardia dall’aspetto molto fiero venne verso di me, non l’avevo mai vista prima. Mi porto’ in un ufficio della caserma, la canna del suo fucile premeva tra le mie scapole.
All’interno aspettammo due colonnelli Repubblicani. Uscimmo subito nel cortile. Un capo delle guardie mi saluto’ e mi sussurro’: “Ti auguro buona fortuna”.
C’era qualcosa che non riuscivo a ricordare, poi improvvisamente mi rammentai:
“Ci sono due coperte nella mia cella, appartengono a Bill Kriger dell’Ambasciata Americana”.
Uno dei colonnelli ordinò di andare a prenderle. Poi mi spinsero sul sedile posteriore di una limousine che stava aspettando. Sentivo i battiti del mio cuore, ma la mente era lucida. Cio’ nonostante non riuscivo a pregare, continuavo a ripetere a me stesso:
“Ricordati che questi sono i tuoi ultimi momenti, in questo luogo che non dimenticherai per tutta la vita”.  Improvvisamente quella parola “ricordati” sembrava divertente, era tutto finito!.
Eravamo partiti da poco quando l’autista si volto’ verso il colonnello:
“Dove andiamo?”
Il colonnello, seduto alla mia destra rise, mi guardo’ negli occhi e rispose:
“All’Ambasciata Americana”
Il mio viso dev’essere sbiancato o arrossito, non lo so neanch’io.
L’altro colonnello alla mia sinistra aggiunse:
“Noi rispettiamo il Governo Americano perchè rispetta il trattato di non intervento”
“Dove pensa che la stavamo portando?”, chiese il colonnello alla mia sinistra.
“Alla Corrida”, risposi spontaneamente.
Se sono un mercenario, come disse il generale repubblicano, allora non sembra proprio sia stato un grande affare! Il governo degli Stati Uniti non riconosce quei “bizzarri” piloti che vanno a combattere per altri Paesi.
E cosi’, sebbene abbia quattro anni di addestramento in due delle migliori scuole militari italiane, su un aereo da caccia fra i piu’ moderni ed un’esperienza unica nella disciplina di due guerre in un anno, nel mio Paese non ho diritto neanche una semplice licenza per il volo turistico.
Secondo la regolamentazione in vigore negli Stati Uniti, dovrei frequentare nuovamente una scuola di volo e ricominciare d’accapo tutto il corso di pilotaggio.
Mi e’ “concesso” invece trovare lavoro come autista d’auto o di camion, come marinaio su uno yacht, come verniciatore a 70 cents l’ora, ma guadagnare da vivere col lavoro che meglio conosco, cioè il volo, quello proprio no!
“Sono stato messo a terra”, come si dice nel gergo aviatorio. Le parole più tragiche per un uomo che vive solo per volare!
 
 
 

4.Ettore Erasmo di Valvasone

Il 6 Aprile 1940 presentai domanda per il corso di all’allievo sottufficiale pilota ma il fatto che non avessi concluso gli studi non andava bene a mia madre: voleva che facessi l’Ufficiale. Pur essendo entrato tra i primi otto, ed avendo quindi iniziato il corso conseguii la Maturità Classica dando gli esami da privatista, era il periodo intorno al 10 Giugno 1940, il giorno dell’entrata in guerra dell’Italia. Immediatamente dopo feci domanda per l’Accademia. Rimasi alla scuola sottufficiali fino al momento di entrare in Accademia, a Caserta, alla fine di ottobre del 1940. Ne uscii dopo tre anni, nel giugno del 1943, e fui mandato alla Scuola Caccia di Gorizia, aeroporto di Merna, per un addestramento specifico prima del trasferimento ai Reparti operativi e poi essere impiegato in operazioni belliche. Alloggiavo a Salcano,
paesino vicino a Gorizia sul fiume Isonzo ed  i pasti li consumavo all’albergo Posta. Doppio comando con il maresciallo Nicola sul CR30, passaggio sul CR32 ed inizio di preparazione con acrobazie di coppia. La vita era bella, la speranza era superiore a tutte le difficoltà, e le “mule” ci guardavano con occhi velati d’amore. La caduta del fascismo del 25 luglio fu un primo colpo alle mie patriottiche illusioni, ma tutto continuò nel migliore dei modi e volando, con la speranza di passare presto sul G.50 e Macchi 200 per addestrarmi con l’allora cap. Pezzè ed altri istruttori, ed essere al più presto pronto per servire il mio Paese. L’otto settembre 1943 mi trovavo all’aeroporto di Gorizia nell’hangar di mezzo, insieme con il mar.llo Nicola mio istruttore di volo su CR32, quando appresi la notizia dell’armistizio. Mi recai allora al primo hangar verso la strada di Merna, strada che costeggia l’aeroporto nella parte nord. Nell’hangar c’era un tenente anziano, o un capitano, che strappava un paracadute: a momenti facevamo a botte. Per me il paracadute era un simbolo (il paracadute salva la vita), a lui serviva solo per fare camicette o mutande per la moglie. La sera dell’8 mentre con il torpedone ritornavamo a Salcano molti cittadini specie ragazzi goriziani cominciarono a fischiare ed a sfottere. Il torpedone si fermò, scesi ma tutto finì lì. L’8 settembre 1943 è la data della delusione, del termine dei sogni e nel mio io rimase solo la voglia di volare. L’allora t.col. Botto Ernesto detto Gamba di ferro, medaglia d’oro vivente, comandava la linea di volo e quindi noi allievi del corsoVulcano. Il giorno 9 settembre ci radunò e disse: “chi ha parenti o amici vicini può andare via”. Poi Botto, divenne Sottosegretario all’Aeronautica nella Repubblica di Salò. Graziani era Sottosegretario per l’esercito ed un ammiraglio di cui non ricordo il nome per la Marina.
Botto era medaglia d’oro, ed era detto «gamba di ferro» in quanto gli mancava una gamba persa durante un combattimento in volo nella guerra di Spagna. Botto disse – come ho ricordato –  che chi aveva parenti o amici vicino a Gorizia poteva andare da loro. Io volevo recarmi a Valvasone ma mi dissero che al ponte della Delizia sul Tagliamento c’erano i tedeschi e sul Tagliamento fermavano tutti i giovani. Allora mi fermai a Saciletto nei pressi di Cervignano dal sergente Cesare Dibert, mio compagno del corso Allievi Sottufficiali  piloti che aveva due molini uno a Cervignano, che funzionava con l’elettricità e l’altro a Saciletto con la ruota ad acqua.
Imparai a fare il mugnaio. Usavo la tuta di volo bianca, quella estiva. Rimasi a Cervignano per due mesi fino a novembre. Sospettavo che all’aeroporto di Gorizia non fosse rimasto quasi nessuno e ne ebbi conferma quando un giorno provai a rientrare all’aeroporto e lo trovai deserto. A Cervignano viveva il maggiore De Agostinis ed ascoltando lui seguii tutte le vicissitudini per la nomina di Botto a capo dell’Aeronautica della Repubblica Sociale Italiana. Botto era a Padova, alla Fiera Campionaria. Io insieme a Fiumicelli e ad un ufficiale superiore, un maggiore soprannominato «il Biondo» [nota: nel raccontarmi di questo ufficiale mio padre omise volontariamente il nome dicendo che era una persona che aveva fatto carriera dopo la guerra non ammettendo mai di essersi unito dai repubblichini ; la mia insistenza fu tale per cui alla fine mi disse il nome] andammo a Padova, avendo saputo del proclama che la Repubblica di Salò aveva emesso per far rientrare i piloti.
A novembre del 1943 presi il treno a Cervignano e mi presentai alla Zona Territoriale di Padova e fui reimpiegato. Assegnato all’ufficio del t.col. Beneforti trovai con me il compagno di corso Erminio Grandinetti [nota: con Grandinetti mio padre farà la “ripresa voli” all’aeroporto di Gioia del Colle nel 1950/51]. Ci dettero la mensilità di settembre e 7.000 lire di perdita bagagli. Con questi soldi potevamo andare al ristorante e così ci recammo al ristorante Stoppato:, dove mangiai Faraona arrosto con i carciofini. In questo ristorante tornai in viaggio di nozze e Anna [nota: mia madre] imparò lì a fare i carciofi, del tipo alla romana con aglio e prezzemolo. Da Stoppato andammo in quattro. C’era anche il tenente Alvaro Querci di Lucca che poi ai primi di agosto del 1944 passò le linee per andare a trovare la fidanzata a Lucca. Fu preso e portato in un campo di concentramento a Coltano vicino Pisa. Questo era un campo gestito da partigiani o badogliani dove venivano internati i fascisti. In realtà fu beffato, in quanto invece di essere considerato un eroe per avere passato le linee fu considerato fascista come quelli della «Decima» e gli altri che subiranno la sorte degli sconfitti.
A proposito della X MAS, in località Garfagnana al passo dei Carpineti combattevano contro gli americani la  Divisione «Monterosa» e la «Decima ». Ci fu un episodio: questi “ragazzi” andavano a svaligiare i magazzini degli americani (sigarette e cioccolato). In queste loro scorribande si erano accorti che gli americani avevano steso un filo collegato a una mitragliatrice che sarebbe scattato se qualcuno ci inciampava. Di queste trappole ve n’erano più d’una. Una sera girarono la
direzione di mira delle mitragliatrici contro gli americani. Gli italiani dettero un calcio al filo che collegava le mitragliatrici che incominciarono a sparare, a quel punto gli americani scapparono credendo fosse in atto un attacco in grande stile. Arrivarono oltre Lucca e ho saputo che fu istituito un processo contro questi soldati americani che erano fuggiti. Erano dell’Ottava Armata. Botto tenne un discorso il 17 novembre 1943 alla Fiera Campionaria a Padova di questo tono: «l’Aeronautica è l’Aeronautica, quindi, noi ci presentiamo qui e speriamo che quelli andati a sud ci perdonino, noi perdoneremo loro». Questa è l’amicizia fra aviatori. Tant’è che quando ero alla 2^ ZAT (Zona Area Territoriale) a Padova, noi salutavamo ancora con la mano alla visiera e l’esercito già salutava alla romana, e ci furono delle discussioni con quelli dell’esercito, al teatro vicino al Pedrocchi. Infatti Graziani e l’Ammiraglio avevano cambiato il saluto senza dirlo a Botto.
A Padova ero assieme ad Erminio Grandinetti: ci avevano sistemati all’ufficio personale della segreteria della 2^ Zona Aerea con il t.col. Beneforti, che all’8 settembre comandava un Gruppo caccia del 1° Stormo. Questo gruppo di stanza a Ronchi dei Legionari era equipaggiato con i Macchi 200 ma avrebbe dovuto ricevere i Macchi 202 che non arrivarono mai. Il Colonnello Beneforti era una ottima persona, poi venni a sapere che era di Pistoia. Poi fui trasferito alla segreteria del col. Vossilla, che era il Comandante della 2^ Zona Aerea; assieme a lui c’era anche il magg. Bertoni. Alla ricezione di quelli che si presentavano c’era il serg.m. Castellani, che poi morì al 1° Stormo con il gruppo di Visconti, e un certo magg. Musolino.
Di Lollo, mio compagno di corso e con me a Gorizia in un primo tempo, fu il primo italiano a pilotare un Messerchmit 262, a reazione. Volava nel gruppo di Visconti. All’Ufficio Personale Ufficiali c’era il magg. Baruffi al quale domandai di tornare a Gorizia. Mi disse di no. Un giorno ad Erminio Grandinetti fu proposto di andare con un aereo Saiman 202 presso un comando tedesco a Tricesimo.
Dopo alcuni mesi venne offerto anche ad un mio subalterno di volare con un Saiman presso l’aeroporto di Povoleto in collegamento con il comando tedesco che si trovava a Tricesimo  per l’eventuale trasporto del personale. Lui doveva studiare, allora gli dissi di dire che sarei andato io perché così potevo rivolare.
 Fui trasferito nel febbraio del 1944 a Tricesimo al Flugzeug Fhurer Comander [?sic!], quello che oggi chiamano «guida caccia». L’attività del Comander era la presa di segnalazione della partenza degli aerei americani da Foggia che andavano in Austria, Germania ed Italia a bombardare. Una volta intercettati i bombardieri veniva avvisata la «Caccia» che interveniva dove era segnalato che stavano arrivando le fortezze volanti. I caccia tedeschi e italiani si alzavano in volo a difendere il suolo italiano. Il comandante di questo gruppo tedesco era il col. Von Maltzan. [sic!]. Atterrai a Povoleto, feci poi un giretto con l’aereo, ma i tedeschi usavano dare motore al contrario di noi. Noi si tirava la manetta, loro la spingevano. Feci una puntata su un gruppo di tedeschi ed italiani e sbagliai dando manetta con il Saiman e passando sopra le loro teste; avevo rischiato di ucciderli e di schiantarmi al suolo. Loro invece mi applaudirono pensando che avessi fatto chi sa quale impresa.
Nel marzo del 1944 morì mio patrigno Attilio Bencaster per un attacco di cuore. Chiesi a Von Maltzan un aereo, e mi fu dato un Saiman. Pensavo di atterrare a Sarzana, ma era stata bombardata. Allora atterrai a Parma e di lì in treno arrivai a casa a La Spezia da mia madre.
Successivamente il Comando Flugzeug [?] fu trasferito vicino Bologna a villa Marconi (Sasso Marconi) e portai il Saiman all’aeroporto di Bologna. Il Comandante Von Maltzan mi propose di entrare come tenente nella Lutwaffe, io ero sottotenente, ma gli feci vedere il distintivo di orfano di guerra e dissi: «Comandante, vede, mio padre è morto per avere combattuto contro di voi ed io non posso tradire la sua memoria. Mio nonno Nicolò aveva combattuto nella I GM dal 1916 al 1918, ed era stato congedato nel luglio 1919 col grado di Tenente. A causa delle ferite e in particolare del freddo e malattie che aveva preso sia sul Pasubio nel 1916/17 che attraversando il Piave a nuoto come ufficiale del servizio informazioni dell’VIII armata nel 1918, morì nel 1926 ad appena 39 anni; per questo gli era stata riconosciuta la causa di guerra. Anzi lei che può mi faccia trasferire a Gorizia».
Andai a finire al Gruppo Trasporto Velivoli “De Camillis” di Gorizia. Gruppo trasporto velivoli di varia qualità, dall’FL3 al Macchi 200, dall’Italia in Germania. Era all’incirca tra marzo e aprile del 1944. Mi presento all’aeroporto e dico: «sono Valvasone»; mi dice un caporale maggiore tedesco: «non c’è» (intendeva
nell’elenco). In quel momento era presente Pontevivo, un altro del Vulcano, che disse: «Graf» (Conte), e il caporale «Ja,Ja»; nell’elenco c’era scritto «Graf Von Valvasone».
A Gorizia ritrovai oltre a Pontevivo anche Peppuccio Gennaro, Marangoni, Minotti che era di Gorizia, Di Lollo, e tanti altri del corso Vulcano. Il giorno dopo mi dettero un  foglio di viaggio con l’ordine di andare a portare un FL3 a Muenkendorf, che è un paesetto in Austria dove all’epoca si trovava una scuola di volo. L’FL3 era la balilla d’Italia, con un litro faceva dieci chilometri. Aveva un motore leggerissimo. Un giorno Non riuscivo a farlo decollare controvento, allora lo presi per il ruotino di coda e lo trascinai mettendolo verso la direzione del vento, così decollai col vento in coda.
Da Gorizia la maggior parte dei voli era in direzione di Graz e dei laghetti di Klagenfurt, verso Vienna, in Austria. Spesso portavamo aerei a Graz dove c’era la «scuola allievi» tedeschi. Poi tornavamo con uno Junker 52 che ci raccoglieva tutti riportandoci a Gorizia. Graz, luogo frequente di arrivo del trasporto degli aerei, aveva più piste sia per la scuola di volo con FL3 che con gli Arado ed una pista per la scuola di volo a vela con alianti.
Nella seconda metà di luglio ci affidarono il compito di trasferire da Gorizia quattro Saiman a Baltringen, verso Magonza in Germania, via Innsbruck, ad un’altra scuola di volo. Le cattive condizioni del tempo ci costrinsero a deviare per Bolzano ove restammo fermi per circa 20 giorni in attesa di miglioramento delle condizioni climatiche. Il 9 Agosto ottenemmo il permesso di decollare. Con me c’erano il s.ten. Zucconi ed i marescialli Zorn e Montanari. Poco dopo aver superato il Brennero, all’altezza dei laghi di Schongau, fummo improvvisamente attaccati sul fianco destro da una pattuglia di quattro aerei Mustang americani. Virai istintivamente a sinistra cercando di infilarmi nelle valli strette delle Alpi [nota: a mia madre aveva detto che s’era infilato in una gola dove volando parallelo al terreno avrebbe rischiato di toccare con le ali la montagna, ma che quello era l’unico modo per salvarsi]. Gli aerei inglesi ed americani non potevano certamente volare così bassi ed in spazi così angusti. Vidi il m.llo Zorn tentare un atterraggio di fortuna virando e tornando verso la direzione da cui eravamo venuti. Fu raggiunto dai caccia nemici quando oramai era a terra e ripetutamente colpito sino a quando l’apparecchio non prese fuoco. Ci salvammo in tre raggiungendo Baltringen e rientrammo in sede il 13 agosto. I Saiman in Italia venivano usati per il volo strumentale. Li avevo usati durante i corsi in Accademia, a Capua. C’erano due strumenti che servivano per valutare se uno «andava via liscio». In maggioranza portavamo Saiman ed FL3 utili alle scuole di volo. I CR32, che a volte portai anche all’aeroporto di Graz, venivano usati come aereo civetta oppure demoliti per recuperare il ferro, strumenti e quant’altro di utile. A proposito dei CR32, il 28 maggio partimmo da Gorizia diretti a Muenkendorf in tre: io, il s.ten. Pitocchi, che era del corso Vulcano, ed il serg.m. Buccero. Pitocchi, che era l’unico ad avere la bussola, si infilò dentro le nuvole. Sentii un aereo che mi passava sulla testa. Era Buccero che tornava indietro in direzione di Gorizia. Probabilmente si perse e forse finì in mare o in qualche palude. Fu dato per disperso e non si seppe mai che fine aveva fatto. Io proseguii e facendo dei gestacci a Pitocchi lo oltrepassai e me ne andai per i fatti miei. Arrivai a Graz prima di lui, senza bussola.
Un giorno, con un CR32, ero diretto verso un altro aeroporto dell’Austria. Un sottotenente di complemento disse: «facciamo la coppia»; ma mi passava sopra e sotto continuamente. Diedi manetta e scappai perché capii subito che la coppia non l’aveva mai fatta. Infatti, come si dice, non reggeva la coppia, ovvero stare in volo affiancati. Dava continuamente «piede» per cercare di avvicinarsi. Meglio togliersi prima che mi finisse addosso. Facemmo molti viaggi fino all’Agosto del 1944. C’era un aeroporto vicino a Vienna nel cui sottosuolo, ad una profondità di dieci metri, avevano costruito una fabbrica di benzina sintetica. Gli alleati a « suon di bombe » raggiunsero la fabbrica distruggendola.
I tedeschi avevano promesso i Me 109, invece non fecero altro che cercare di portare i piloti italiani in Germania alla Lutwaffe. Io non accettai. Infatti era successo un «casino» nell’agosto del 1944: i tedeschi volevano mettere i piloti italiani con la divisa tedesca, ovvero istituire una legione italiana all’interno della Luftwaffe. Pochi lo volevano e sciolsero molti Gruppi. A causa delle tensioni con i tedeschi per due mesi fu bloccata quasi ogni attività dell’aviazione repubblicana. Il reparto G. T.V. era stato reso inoperativo il 15 agosto  e trasferito a Lonate Pozzolo. Nel settembre fu sciolto e ai piloti fu data libertà di congedarsi o passare ad altri reparti.
Lasciata a settembre Gorizia, andai ad Udine alla Caserma Erasmo di Valvasone. Dopo qualche tempo passò Marangoni e mi disse che mi cercavano, mi avevano dato per disperso.
Andai a Bergamo all’ufficio personale dove incontrai Fiumicelli. Mi mandarono al Gruppo Azzurro a Trezzo d’Adda dove c’era il deposito macchine della 1^  Legione Aerea, Zona di Milano. Il mio fratellastro Sergio Bencaster mi venne a trovare a Trezzo d’Adda. Era entrato nella Milizia Ferroviaria, aveva 15 anni e portava un pistolone per cui gli dissi: «il carro armato dove l’hai lasciato?». Sergio era grande e grosso e veniva continuamente bloccato dai tedeschi che lo volevano portare a lavorare nella Todt credendo fosse un renitente alla leva. Lui invece voleva andare alla Decima MAS, ma io scrissi a mia madre che era meglio entrasse nella Milizia Ferroviaria. Un giorno a Trezzo diedi un permesso ad un aviere che voleva andare a Palazzuolo vicino Brescia. Era un sabato ed io gli dissi che doveva essere presente in tutti i modi all’appello di lunedì mattina. Partì sui pattini a rotelle ed il lunedì mattina era rientrato in caserma. Poco tempo dopo, quando Mario Anzichi (altro del Vulcano)  mi chiese di andare con lui a Mantova, (Mario Anzichi assieme al s.ten. Porro mi avevano invitato a lasciare il servizio. In seguito alla morte del s.ten. Porro per un incidente di macchina Mario aveva insistito perchè lasciassi il servizio), dissi a Fiumicelli che me ne volevo andare, perché di fare il «fante» nel battaglione azzurro a me non andava. Mi diede una licenza illimitata senza assegni.
Con Mario Anzichi, Luciano Semeraro e Franco Dalè andai quindi a Mantova tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 1945; poi arrivò anche Antonio Berillo, un altro del Vulcano. Mario aveva un foglio, un permesso dei tedeschi, che dava la possibilità di comprare automezzi e rivenderli a loro. Avevamo preso in affitto un garage grande alla Molina dove sistemavamo macchine e camion da rivendere.
Una volta un tedesco ci vendette un Taurus verniciato con pittura mimetica per cinquecentomila lire. Noi lo portammo in garage alla Molina, lo pitturammo d’azzurro, unica vernice che avevamo, ed il giorno dopo lo rivendemmo ai tedeschi per un milione e mezzo.
Un giorno, mentre con Mario tornavamo da Bergamo su una “1100”, fummo attaccati da due aerei americani Thunderbolt. Stavamo viaggiando tranquilli e poco prima avevamo chiesto a due operai, due «stradini», se avevano sentito o visto aerei, ottenendo un cenno negativo. Solo dopo scoprimmo che erano due sordomuti.
Ad un certo punto dissi a Mario di rallentare, anzi di fermarsi. Avevo l’impressione che la ruota posteriore destra fosse bucata. Appena in tempo. Mario rallentò ed inserì la “terza”, ed in quel mentre ducento colpi di mitraglia si stamparono sul cofano anteriore della macchina. Mario sterzò bruscamente e finimmo in un fosso. La prima passata dei caccia americani aveva bucato il pneumatico posteriore e non ce ne eravamo accorti. La seconda invece arrivò talmente vicino che un
pallottola bucò il sedile dove ero seduto, mi passò in mezzo alle gambe. Inoltre nel fosso era stato accumulato il letame fresco, come usava un tempo, in attesa di spargerlo nei campi. Mario, nell’uscire dall’auto passando dalla parte dove sedevo io, era finito in quel letamaio. Ci nascondemmo sotto un piccolo albero poco distante ma per fortuna gli aerei si erano già allontanati.
Lasciata Mantova con Mario andammo a Bergamo e cercammo di trafficare con merce varia. Una mattina sentimmo degli spari e meravigliati ci dissero che erano scesi in città i partigiani, era il 25 Aprile 1945.
Nell’ottobre del 1945 ero a Vicenza da Armando Marangoni che mi disse : «come! non ti sei ancora ripresentato?». Era uscito un bando per la raccolta di quelli che erano stati nella Repubblica Sociale. Mi presentai a Vicenza. C’era un capitano che mi disse: «peccato voi del Vulcano, così giovani»; intendeva dire che non ci
avrebbero accettato nell’Aeronautica per il nostro passato nella RSI. Allora dissi che lo avevo visto quando nel 1943 si era presentato alla ZAT di Padova, quindi della  Repubblica di Salò, per i soldi. Mi disse: «si, ma poi mi sono dato ammalato»; ed io: «anch’io mi sarei dato ammalato, se avessi potuto, e comunque ti ho visto in via Dante alla mensa». Mi diede cinque giorni di arresti con una scusa.
Dopo una settimana tornai a casa a La Spezia. Mi avevano epurato. Mi avevano fatto delle domande del tipo «perché hai aderito alla Repubblica di Salò?» ed io scrissi «perché avevo lì i miei superiori», e «hai avuto contatti con i partigiani?» ed io «si, dopo la liberazione».
A casa mia madre mi presentò Lamberto Colapietro. Mentre ero in Accademia mi ero iscritto a Legge a Pisa. «Così studiate assieme» disse mia madre. La nonna di Lamberto aveva un bar in via del Torretto a La Spezia. Lo zio di Lamberto trasportava i giornali da Genova fino a Pisa con un camioncino e qualche volta lo accompagnavo. Un giorno ad una curva sulla Foce, vicino a Spezia, trovammo del ghiaino sull’asfalto e uscimmo di strada finendo in un burrone .Anche quella volta mi andò bene.
Un giorno con Lamberto dovevamo andare  a Pisa per pagare le tasse universitarie. Ma non lo facemmo e, tornati indietro, comprammo un camion per il trasporto di benzina. Io avevo trecentomila lire, un milione e seicentomila me li prestò mia nonna Elvira, duecentomila lire era quel che aveva Lamberto. Il camion lo pagammo in tutto tre milioni e mezzo, quel che mancava l’avremmo pagato col lavoro. Io mi occupavo del lato «commerciale» dell’impresa, Lamberto ed un altro facevano gli autisti. La mattina andavo da « Peola » sotto i portici, verso le 10 e mezzo o 11. Arrivavano i clienti, offrivo un caffè od un aperitivo, se chiedevano una certa quantità di carburante, ad esempio 50 quintali di olio combustibile, andavamo alla “Shell”, caricavamo l’olio combustibile pagandolo subito, e lo portavamo al cliente. Comprammo un camion tipo «66» con quattro milioni e mezzo per trasportare catrame. Per Lamberto questo finì per essere il suo lavoro, e così lo è stato per i suoi figli. Divenne uno degli uomini più ricchi di La Spezia.
Io rientrai in Aeronautica, dopo cinque anni, perché pur di rientrare e volare avrei fatto i salti mortali. Infatti mi richiamarono, nell’ottobre del 1949, dandomi 60 giorni di fortezza per essere stato nella Repubblica Sociale. La pena fu trasformata in dieci giorni di arresti poi condonati anche questi. Fui mandato a Firenze.
La sera del 10 dicembre 1950, alla festa per la Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori, alla Scuola di Guerra Aerea di Firenze, conobbi Anna, mia moglie. Nel marzo del 1951 ci sposammo e, dopo il viaggio di nozze, ci trasferimmo a Gioia del Colle dove continuai la «ripresa voli» su aerei americani, gli Stinson.
Nell’agosto del 1974 sono stato messo a riposo, nella riserva, con il grado di Colonnello. Pochi giorni prima avevo effettuato le ultime ore di volo in seno all’Aeronautica Militare Italiana. Solo successivamente a me e ad altri colleghi del Vulcano hanno riconosciuto il grado di Generale. Sempre a titolo onorifico ho poi ricevuto il grado di Generale di Divisione Aerea.
 
 
 

5.Leonardo Ferrulli

Leonardo Ferrulli nasce il 1°gennaio 1918 a Brindisi. Si arruola in Aeronautica il 23 giugno 1935 e consegue il brevetto di pilota militare il 5 marzo 1936 a Grottaglie. Il 16 marzo 1936 viene assegnato alla 84^Squadriglia del 4°Stormo di Gorizia. Parte per la Campagna di Spagna il 12 febbraio 1937 e rientra a Gorizia il 24 dicembre 1937. Viene assegnato prima alla 90^ Squadriglia e  poi alla 91^. All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, il 7 giugno 1940, e’ inviato in Libia (A.O.I.). Partito da Sigonella il 5 luglio 1943, durante un combattimento contro uno Spitfire nel quale il suo aereo viene gravemente danneggiato decide di lanciarsi con il paracadute quando ormai e’ troppo tardi. Nella sua seppur breve carriera gli vengono conferite tre Medaglie d’Argento al Valore Militare, tre medaglie in Spagna (“Medalla Militar”, “Medalla de la Campana”, “Cruz Roja”), tre Croci al Merito di Guerra e una Medaglia d’oro al Valore Militare. Ferrulli e’ stato uno dei piu’ grandi assi dell’Aviazione italiana e pilota eccezionale. Ha conseguito un totale di 22 abbattimenti individuali e uno collettivo. Di lui si sa ben poco altro, poiche’ la documentazione ufficiale dello Stormo e’ andata perduta nell’affondamento della nave che la trasportava daal’Africa all’Italia.
 
 
 

6.Ugo Corsi

Ugo Corsi, soprannominato “Fufo” per il suo volto da ragazzino, aveva un istinto innato per il volo, una padronanza senza uguali del velivolo e di lui si dice che, se non fosse nato sfortunato, sarebbe stato il miglior pilota acrobatico dell’Aviazione italiana. Fu il pilota piu’ abile del 4°Stormo. Poco dopo essere giunto in Spagna, cade prigioniero. Al primo combattimento in Africa si trova ad affrontare da solo cinque Hurricane, ne abbatte tre e alla fine viene a sua volta abbattuto. Finito in mare con il suo CR 32, il suo corpo non verra’ mai piu’ trovato. Nato a Pirano d’Istria nel 1911, e’ scomparso nel Golfo di Sollum il 19 giugno 1940.
 
 
 

7.Francesco Comelli

Franco (Francesco) Comelli (Komel), nasce a Gorizia il 29 aprile 1910 in via Codelli n.14 da Francesco e Maria Vecchiet. Il 14 gennaio 1931 viene ammesso alla Scuola Specialisti di Capua, il 28 marzo 1931 inizia il corso di pilotaggio alla Scuola di Volo di Sesto San Giovanni e il 9 settembre consegue il brevetto di pilota civile. Assegnato alla 2^Squadriglia Caccia di Aviano, il 10 ottobre, consegue il brevetto militare su CR 20 il 20 novembre e transita alla 75^Squadriglia il 4 gennaio 1932 e successivamente al XXIII Gruppo di Lonate Pozzolo. Il 15 agosto 1933 giunge infine alla 91^Squadriglia del 4°Stormo di Gorizia e vi rimarra’ fino alla morte, l’ 8 luglio 1938, dovuta a un incidente durante il decollo da Fologno. Partecipa alla Campagna di Spagna nel 1937 ove si guadagna una medaglia d’argento, una di bronzo e la “proposta” di una seconda medaglia d’argento
 
 
 

8. Marco Minio Paluello

Mio padre, purtroppo molto rigido nell’educazione con noi figli e piu’ “largo” con gli altri, non aveva assolutamente l’abitudine di parlare di se stesso. I ritagli di giornali contenuti nel libro del Gen. Duma che accennano a mio padre li ho avuti da una mia zia, che li aveva gelosamente conservati. Mio padre ha distrutto dopo la guerra le copie conservate da mia madre perche’ lui “quello che ha fatto lo ha fatto perche’ suo dovere e non se ne doveva gloriare” e questo prendetelo come unico aneddoto che io ho su di lui. Purtroppo non ho ricordi perche’ non me li ha mai raccontati. Posso solo dire che era molto severo (soprattutto con se stesso), onesto, lavoratore, non lo ho mai sentito dire una parolaccia! Massimo Minio Paluello

Ecco tutto quello che sappiamo della vita aeronautica di Marco Minio Paluello:
Com.te 73^Sq. dal 05/03/1934 al 1/02/1935
Com.te 96^Sq. dal 06/04/1936 al 31/03/1937
Com.te IX Gr. dal 27/02/1941 al 23/11/1941
Com.te 4°St. dal 25/10/1941 al 01/01/1942
Nell’ottobre 1941, a bordo di un MC 202, in un combattimento a Nord di Malta abbatte uno Spitfire.
 
 
 

9.Mario Bandini

Nato il 12 dicembre a Castrocaro (Forli’), consegue il brevetto di pilota d’aeroplano il 24 settembre 1929 e il brevetto di pilota militare il 13 febbraio 1930. Inseparabile amico di Raffaele Chianese, e’ vissuto a Gorizia (in via Manzoni) fono alla morte, avvenuta il  23 aprile 1983. E’ stato decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare per la sua azione sul cielo di El Adem del 16 giugno 1940, con le seguente motivazione: “Sottufficiale pilota da caccia ardito ed esperto, capo formazione di una pattuglia di polizia aerea, avendo avvistato sei apparecchi nemici, decisamente li inseguiva e li attaccava. Ferito ad un braccio da una raffica di mitragliatrice insisteva nei suoi attacchi riuscendo ad abbattere un velivolo nemico”. L’azione puo’ essere dunque cosi’ riassunta: Bandini sta rientrando dopo aver completato il turno di allarme sul camapo T3 di Tobruk quando si trova in rotta con sei Blenheim inglesi che stanno rientrando dopo aver bombardato il suo campo base di El Adem, ne raggiunge uno in coda e lo mitraglia, mentre viene ferito al braccio da un altro avversario, fino a quando non lo vede infrangersi al suolo. A questo punto rientra a Tobruk T2 e solo dopo aver riferito su quanto avvenuto acconsente a essere trasportato in ospedale.
 
 
 

10.Alberto Montanari

Nato a Sagrado (Gorizia) il 10 luglio 1911, inizia a volare nel 1929. Consegue il brevetto di pilota d’aeroplano nel 1930 presso la Scuola di Volo di Ciampino. E’assegnato alla 91^Squadriglia del 1°Stormo di Campoformido e, durante le “Grandi Manovre Aeree”, momentaneamente dislocato ad Aviano. Fa parte del primo gruppo di 64 piloti insediato a Gorizia nel settembre 1931. Partecipa alle piu’ importanti manifestazioni aeree di quei tempi: Budapest (1936 e 1937), Zurigo (1937), Belgrado (1938) e Berlino (1939). Durante il Secondo Conflitto Mondiale e’ in Africa sempre con il 4°Stormo e dopo l’8 settembre entra a far parte del G.T.V. (Gruppo Trasporto Velivoli). Terminata la guerra, lascia l’Aeronautica e continua a volare come istruttore dell’Aeroclub di Trieste e Gorizia. E’ scomparso il 30 giugno 1998