Serg. pil. Raffaele Chianese

Un volo, più di cinquant’anni fa. 
Un pò più di mezzo secolo fa, il Comandante Chianese mi regalò l’emozione del primo volo. 
Doveva essere nella seconda metà degli anni ’50 e sul campo di Ronchi del Legionari si celebrava la Giornata dell’Ala. Era una manifestazione con qualche connotato di sagra paesana, perché in Italia erano tempi davvero difficili per le attività aeronautiche,  ma richiamava spettatori entusiasti da tutta la regione.  Davano spettacolo noti “artisti” dell’aria: il capitano Damiani, con il G46, il maggiore Mantelli, con l’aliante Canguro … Quella festa (che si tenne annualmente dal 1950 al 1958) l’aveva  resuscitata Furio Lauri, avvocato e pilota, medaglia d’oro al Valor Militare nella guerra appena terminata. Nel 1947, nei capannoni rabberciati dell’aeroporto, maltrattato dai bombardamenti, aveva avviato con alcuni amici la Meteor, società per costruzioni aeronautiche, oggi universalmente nota. Le officine avevano cominciato con la riparazione di aerei recuperati nel surplus delle forze Alleate, erano passate poi alla costruzione di alianti e, quasi ontemporaneamente, avevano messo mano alla realizzazione di un agile monomotore ad ala bassa,  derivato dall’addestratore FL3. Nacquero così, uno dopo l’altro, l’FL 53, l’FL 54 e l’FL 55, rispettivamente a due, tre e quattro posti. In quegli anni ero corrispondente del settimanale ALI Nuove, di cui era direttore il mitico Armando Silvestri. Mi aveva chiesto “un buon servizio” dalla manifestazione di Ronchi e, alla chiusura della giornata, esibii all’avvocato Lauri la mia modesta Closter e gli chiesi di poter fotografare in volo un FL dell’ultima serie.  Lui mi affidò alle cure del Comandante Chianese, a quel tempo pilota istruttore dell’Aero club di Ronchi, che mi fece salire su un MB 308, mi allacciò la cintura e dette manetta. Cominciai così una lunga avventura tra aeroporti e aeroplani, ma ho sempre vivo il ricordo di quel volo e di quel signore in tuta, silenzioso e già con i capelli diradati, che per la prima volta dette una dimensione reale alla mia passione per il volo. Mezzo secolo fa, Raffaele Chianese faceva già parte della storia dell’aviazione italiana. E l’aviazione italiana, come dimostra nei suoi scritti, è la storia della sua vita. Ancora una volta, gheregheghez, Comandante.Bruno Stella. Presidente UGAI

A Raffaele Chianese 
Dopo quasi 55 anni è ancora con grande emozione che ho ritrovato nelle pagine di quest’opera magistrale quell’Uomo e quell’Istruttore che con il Suo esempio m’ha insegnato ad essere pilota, istruttore ed uomo con il senso del dovere, a Sua immagine e somiglianza morale. Grazie, RAFFAELE CHIANESE ! Suo per sempre affezionatissimo.Renzo Dentesano

Mio padre 
Al momento di mandare in stampa questo libro, Raffaele Chianese sta per compiere 100 anni e la sua memoria non è più lucida come in passato,tuttavia è stato possibile carpirgli ulteriori dettagli che hanno arricchito il diario oggetto della nostra precedente pubblicazione “Aquile e Pomodori”. Del primo gruppo di 64 piloti che giunsero a Gorizia nel settembre del 1931, oggi lui è l’ultimo “superstite”. Al 4° Stormo è giunto dopo un anno trascorso al 1° Stormo di Campoformido ed a Gorizia ha contribuito a portare avanti la tradizione dell’acrobazia collettiva, voluta e sostenuta da Rino Corso Fougier, che rese famoso il 4° Stormo. Lasciato definitivamente il volo nel 1970, si è dedicato, fino a quando ne ha avuto la forza, al suo “orticello”, tornando così alle origini contadine di famiglia e, con chi lo andava a trovare, amava più parlare delle sue piante di pomodori che del suo passato.Fulvio Chianese

La mia infanzia 
Sono nato a Calvizzano, provincia di Napoli, il 14 marzo 1910 in una modesta casa di campagna ove ho trascorso la giovinezza insieme ai miei genitori e numerosi fratelli. Mio padre Gennaro, morì nel 1936, a 68 anni per una banale infezione alle vie urinarie che oggi si sarebbe curata con antibiotici. Mia madre, Giovanna Galiero, è morta a cent’anni ed ha vissuto fino all’ultimo da sola, nella sua vecchia casa di Calvizzano. Il più anziano dei miei fratelli, Vincenzo, classe 1896, partecipò alla Grande Guerra e il 29 giugno 1916, mentre si trovava nella zona del San Michele, a 4 km dal campo di volo di Gorizia, venne coinvolto dall’attacco austriaco con il fosgene, il terribile gas ulcerante fatto defluire da centinaia di bombole piazzate presso la Cima 4 del monte. Vincenzo fu solo sfiorato dalla nube tossica, ma per il resto della vita risentì delle conseguenze del gas. Della Grande Guerra ricordo ancora con chiarezza un episodio poco noto, forse poco pubblicizzato perchè poteva costituire uno smacco per le nostre Forze Armate: nel marzo del 1918, durante la notte un dirigibile tedesco sorvolò senza trovare ostacoli la città di Napoli, sganciò alcune bombe che mancarono gli obiettivi strategici e colpirono il centro abitato, causando il panico e diversi morti. Il frastuono delle bombe giunse fino a Calvizzano, mi svegliai e mi affacciai al balcone, in strada i paesani spaventati facevano le ipotesi più disparate sulle cause dei boati. Nel 1919, da poco terminata la Guerra, scoppiò l’epidemia “spagnola” e Napoli subì un’altra dura prova, anche la nostra famiglia ebbe una vittima, mio zio paterno Girolamo. La nostra era una famiglia di contadini, eravamo nove fratelli, tutti fin da piccoli impegnati ad aiutare nei lavori dei campi e ad accudire gli animali della masseria. Io fui più fortunato degli altri poichè mio zio materno, Raffaele, mi prese a cuore e convinse mio padre a farmi studiare fino al conseguimento della licenza media. Non fui comunque esonerato dai lavori in campagna che mi attendevano al pomeriggio, quando rientravo dalla scuola che si trovava in un altro paese e che raggiungevo percorrendo diversi chilometri a piedi. Mio zio Raffaele, classe 1885, era sacerdote e professore. Uomo di cultura, ordinato sacerdote nel 1910, partecipò alla Grande Guerra e successivamente fu molto attivo, si distinse per alcune sue opere storiche su Calvizzano e si impegnò anche in politica. Finite le scuole medie dovetti aiutare mio padre nei lavori della campagna e questa volta a tempo pieno. L’Italia era uscita vittoriosa dalla Grande Guerra ma le ferite erano ancora aperte, la vita era dura ed il cibo non abbondava. La nostra casa era in aperta campagna, costruita al piano terra con muri di tufo, si accedeva dall’interno di un cortile, la porta d’ingresso semplice e massiccia, aveva una sola battuta. All’interno un focolare con intorno panche e qualche vecchia sedia di legno grezzo. Nel caminetto grossi ceppi bruciavano lentamente e contribuivano ad illuminare la stanza le cui pareti erano annerite dal fumo che a volte fuorusciva dalla cappa. I servizi igienici erano all’esterno ed erano tutto tranne che “igienici”. Le pietanze più consumate erano fagioli, patate, pomodori, uova, animali da cortile, salsicce affumicate. Non mancavano noci e castagne ma il piatto al quale ero più affezionato era la zuppa di patate con lo stoccafisso. Vivendo in campagna non abbiamo sofferto la fame che invece era un problema più sentito da chi stava in città. Nostro padre, con una famiglia di tanti figli, non poteva permettersi molti lussi ma tutto sommato non ci potevamo lamentare, tutti si lavorava sodo, noi maschi in campagna e le femmine in casa. Mia madre provvedeva ad acquistare il vestiario che ci serviva ed alla fine della settimana, avevamo anche qualche soldo per le nostre piccole spese. Mio padre aveva preso in affitto 24 campi che erano coltivati in gran parte a frutteto ed il resto a canapa. Tutto intorno, nella parte perimetrale dei campi, c’erano lunghi filari alberi di noci il cui raccolto rappresentava una consistente entrata per la famiglia. Le noci erano pagate bene e gli alberi venivano “battuti” con dei bastoni ma i rami più alti non erano facilmente raggiungibili. Io ero agile e mi arrampicavo senza timore fino alla cima e così cominciai a raccogliere le noci abbandonate che poi andavo a vendere “in proprio”. Dopo diversi mesi raccolsi un gruzzoletto che mi permise di acquistare una bicicletta, a quei tempi un miraggio per un giovane come me. Un giorno mia madre mi incaricò di portare ad un negoziante del paese i soldi relativi alle spese arretrate, una cifra consistente, cosa che feci senza preoccuparmi di chiedere una ricevuta, ero troppo giovane ed inesperto. Il negoziante in seguito negò di aver ricevuto il denaro e mia madre dovette sborsare nuovamente la somma e non volle credere mai alla mia versione dei fatti, l’acquisto della bicicletta aggravò la mia posizione. Questa convinzione non la modificò negli anni, nonostante i miei sforzi per dimostrare il contrario, e questo mi amareggiò per la mancanza di fiducia nei miei confronti. Molti anni dopo mi confessò di essere convinta che la somma che riceveva mensilmente e che era il mio compenso per la mia rischiosa missione in Spagna, fosse dovuta al mio senso di colpa per quella vecchia storia, ci rimasi molto male!

L’arruolamento 
Come tutti giovani dell’epoca, sono attratto dalla nuova Arma, l’Aviazione, che, dopo aver dimostrato la sua importanza strategica durante la Grande Guerra, stava sviluppandosi velocemente, conquistando record dopo record. Compiuti i 18 anni, confido a mio padre che vorrei arruolarmi nella Regia Aeronautica spiegando che volevo intraprendere la carriera di pilota. Mio padre non si dimostra entusiasta dell’idea, anzi, non può permettersi di perdere due braccia, proprio ora che aveva preso in affitto altri campi e pertanto la risposta è un secco “No! Scordatelo”. Così, contro la volontà dei miei genitori e falsificando la firma di mio padre, presento segretamente la domanda per la selezione all’ammissione al Corso Sottufficiali Piloti. Un paio di mesi più tardi ricevo una lettera, debbo presentarmi all’Istituto di Medicina Legale di Napoli per essere sottoposto ai controlli medici e verificare così la mia idoneità psico fisica e attitudinale al volo. Fuori dall’edificio dell’Istituto di Medicina trovo un folto gruppo di coetanei che attende come me di entrare, ci vengono richiesti un documento di riconoscimento e la lettera. Dopo una mezzora, un aviere con le nostre cartelle sotto il braccio, ci chiama a gruppi di una mezza dozzina per volta e ci accompagna accanto all’ingresso degli stanzoni che fungono da ambulatori dove i medici specialisti, tutti Ufficiali dell’Aeronautica in camice bianco, coadiuvati da avieri, esaminano, uno alla volta, i giovani aspiranti piloti. C’è un gran trambusto, gli esaminandi si spostano da un ambulatorio all’altro, gli avieri chiamano i nomi ad alta voce e con le cartelle si spostano da uno stanzone all’altro, seguiti da gruppetti di ragazzi. Quando è il mio turno della visita di otorinolaringoiatria, l’Ufficiale medico, dopo avermi controllato naso, orecchie e bocca, mi chiede di voltargli le spalle e ripetere le parole che pronuncia. Sono raffreddato e probabilmente non ripeto correttamente alcune parole ed inoltre, quando il medico emette un fischio, io che non so fischiare, me ne sto zitto. Il medico conclude che il mio udito non è normale e verso mezzogiorno, terminate tutte le visite, vengo chiamato in un ufficio dove un maresciallo, dietro ad una scrivania stracolma di cartelle, mi comunica frettolosamente che non sono idoneo perche “non ci sento”! È un duro colpo ma non mi arrendo, dopo circa sei mesi, nel novembre 1929, ostinato nella mia determinazione di diventare pilota, ripresento la domanda senza menzionare il precedente esito negativo, altrimenti non potrei essere riammesso alla selezione. Ripeto tutta la trafila di esami clinici e visite e, quando entro nell’ambulatorio di otorinolaringoiatria, per un attimo mi si gela il sangue nelle vene, l’Ufficiale medico è lo stesso che mi aveva visitato sei mesi prima e mi riconosce e mi chiede: “… ma tu non eri sordo?”. Questa volta però supero la selezione, finalmente respiro a pieni polmoni, la mia vita è cambiata, mi sembra di toccare il cielo con un dito!

Il Centro Addestramento di Capua 
Ora debbo affrontare un’altra prova: rivelare ai miei che intendo lasciare la famiglia per fare il pilota e … che ho “falsificato” la firma. La reazione di mio padre era scontata ma fortunatamente mia madre contribuisce a placare la sua irritazione. Trascorrono alcuni mesi in attesa della lettera di convocazione per l’inizio del corso di formazione militare. Ai primi del gennaio del 1930 ricevo la lettera, debbo presentarmi a Capua, al centro di addestramento militare. Solamente qualche giorno prima della partenza comincio a rendermi conto che la mia vita è ad una svolta, dovrò separarmi dai miei genitori, dai miei fratelli, dalla mia casa, dagli amici. Una settimana dopo mi ritrovo a Capua, in una caserma, insieme ad altri 330 coetanei. Veniamo subito inquadrati, divisi in plotoni di una cinquantina di allievi e assegnati a diversi istruttori, ci viene insegnata la disciplina militare ed a marciare. È previsto anche lo studio delle materie correlate al volo: aerodinamica, motori, impianti, e così via. Siamo alloggiati tutti insieme in alcuni grandi hangar utilizzati come camerate, gli ultimi giorni veniamo addestrati all’uso delle armi. Divento amico di Italo Baldelli, di un anno più giovane, con il quale trascorro insieme le ore di studio e di libera uscita. Il corso termina l’11 marzo con gli esami che supero classificandomi al 130° posto.

L’Aeroporto del Littorio 
Dopo Capua gli allievi sergenti vengono avviati ciascuno a diverse Scuole di Volo private: Roma Littorio, Ponte San Pietro e Portorose, per il conseguimento del brevetto di volo civile di 1° grado. Assieme ad un altro gruppo, vengo destinato alla Scuola di Pilotaggio del Littorio, oggi aeroporto dell’Urbe, dove veniamo sistemati in ampie camerate; oltre ai classici letti metallici, abbiamo a disposizione degli “stipetti” per sistemare i nostri effetti personali. I primi giorni li trascorriamo ritirando il materiale didattico ed il vestiario per il volo: tuta, caschetto, occhiali. La “Scuola di Pilotaggio del Littorio” è privata ma noi siamo comunque dei militari e pertanto dipendiamo dal “Comando Militare Scuola Aviazione Aeroporto Littorio”. Il Comandante del “Aeroporto presidiato” è il m.llo Alfredo Checchia mentre l’Ufficiale di Sorveglianza è il ten. Vincenzo Ceciarelli che il primo giorno ci presenta i nostri istruttori di teoria e, dopo averci diviso in gruppi di una mezza dozzina, ci assegna ai rispettivi istruttori di volo. Dopo alcune ore trascorse in aula e accanto agli aerei per apprendere le nozioni basilari, il 20 marzo effettuo il primo volo di ambientamento su un AS 1. L’istruttore mi invita a salire sul posto anteriore e di seguire le manovre che lui farà, appoggiando le mani ed i piedi sui comandi di volo. Quando scendo sono emozionato ma anche preoccupato, “riuscirò a fare quello che l’istruttore pretende da me?” mi chiedo. Le lezioni di volo sono brevi ma impegnative, hanno una durata media di 7-8 minuti e di solito si effettuano due atterraggi per missione. L’istruttore interviene spesso sui comandi, dando di tanto in tanto degli strattoni per farmi capire quando sbaglio e contemporaneamente da dietro strilla ma, con il rumore del motore ed il caschetto, non riesco a capire che poche parole. Quando scendo sono demoralizzato, comincio ad avere qualche dubbio sull’esito del corso. Il 28 maggio, ho il primo turno di volo del mattino, arrivo in linea di volo alle 05.30, i motoristi hanno già’ aperto gli hangar e portato fuori i velivoli, l’istruttore arriva qualche minuto dopo, è assonnato e non sembra di buon umore. Effettuati i controlli previsti e riscaldato e provato il motore, decolliamo. Dopo 12 minuti e tre atterraggi, l’istruttore fa cenno di rullare verso l’hangar, spengo il motore, lui si slaccia le cinture e scende. Mi slaccio anch’io e quando mi sollevo dal sedile per scendere, mi fa cenno di non muovermi e si avvicina “Fermo. Metti in moto e vai in volo!”. Sul momento non capisco e quando realizzo che è arrivato il momento tanto atteso, ho un tuffo al cuore, non me l’aspettavo! Effettuo un solo circuito e dopo 4 minuti sono nuovamente a terra. Dopo 66 missioni e 7 ore e 40 minuti di voli a doppio comando, ho provato finalmente l’emozione di essere da solo su un aereo tutto mio! Il 13 giugno inizio una serie di doppio comando con l’istruttore sullo SVA 10 ed il 25 giugno effettuo il primo decollo da solo sullo SVA 4. Il 19 luglio decollo sullo SVA 1 “Balilla”. Le ultime lezioni comprendono un pò di acrobazia ed un paio di “raid” a Cerveteri. Col passare del tempo anche la durata dei voli si allunga e si arriva a un’ora ed anche un’ora e mezza. Lo stesso per la quota, dai primi voli a 200 metri, si passa a 500 metri, 1000 metri, fino a 5000 metri con il “Balilla”. L’8 agosto 1930 effettuo il mio ultimo volo al Littorio con una missione di 43 minuti di acrobazia sullo SVA 3. Supero gli esami e vengo assegnato alla Caccia, la specialità più ambita, riservata ai migliori del corso. Dopo una cerimonia per la consegna del brevetto di pilota civile, alla presenza del Comandante della Scuola e degli istruttori, c’è il commiato ed il giorno dopo lascio l’aeroporto del Littorio per la nuova destinazione.

La Scuola Caccia di Ghedi 
Vengo nominato 1° Aviere Pilota e verso metà agosto sono assegnato alla 2^ Squadriglia Allenamento Caccia di Ghedi, cittadina vicino a Brescia, dove inizio il corso per il conseguimento del brevetto di Pilota Militare. Noto subito la differenza dall’aeroporto del Littorio, l’organizzazione è decisamente militare, gli istruttori sono tutti in divisa ed anche da noi si pretende più disciplina. Siamo ospitati nelle solite camerate affollate, la mensa invece è più grande e più efficiente. La Scuola è comandata dal cap. Arrigoni che ci accoglie e ci presenta al Comandante della Squadriglia, il cap. Lorito, al capopilota, il ten. De Wittemberski, agli istruttori di volo, i m.lli Cirelli, Baldazzi e Rizzotto. Seguiamo un breve corso per conoscere le caratteristiche dei velivoli sui quali dovremo volare e il 27 agosto inizio una serie di voli a doppio comando sul CR 20, con il ten. De Wittemberski che, dopo nove missioni, il 3 settembre, mi fa decollare da solo. Queste missioni sul CR 20 servono per preparare l’allievo ad andare in volo con il CR 1 che è “monoposto” e così il 18 settembre salgo su un CR 1 per il mio primo volo su questo velivolo. Sia il CR 1 che il CR 20 sono macchine “militari”, decisamente più potenti, oltre i 400 CV, ed anche più impegnative, progettate per un impiego operativo dei vari Reparti dell’Aeronautica. Dopo il conseguimento del brevetto di pilota militare e la nomina a Sergente, si viene destinati al Reparto in base alla classifica ottenuta alla fine del corso. 
Al 1° Stormo di Campoformido 
Il 23 ottobre 1930, mi viene comunicata la nuova destinazione, il 1° Stormo Caccia di Campoformido, cittadina vicino a Udine. È una notizia che accolgo con gioia, essere destinati ad un Reparto da Caccia è l’ambizione di tutti gli allievi, “Vuol dire che non sono tanto male” è la conclusione che traggo. Pensare che ero convinto di essere più scarso di alcuni miei compagni che invece sono stati esonerati; il mio morale è alto, mi sento sereno e più sicuro per il mio futuro. Se, come dicevo, l’ambizione dei piloti è di essere assegnati alla Caccia, esserlo al 1° Stormo di Campoformido, è il “massimo” che si possa pretendere! Campoformido è uno dei campi di volo del Friuli da dove decollavano alcuni tra i più noti piloti della Grande Guerra, da Baracca a Ruffo di Calabria, Ranza ed altri. Il 1° Stormo, trasferitosi a Campoformido nel 1927, è ora comandato dal t.col. Rino Corso Fougier, un pilota distintosi durante la Grande Guerra, convinto sostenitore dell’acrobazia collettiva, che con il suo grande carisma ha reso celebre questo Reparto. Il campo è situato ad una mezza dozzina di chilometri a Sud-Ovest di Udine, di forma grosso modo “triangolare”, è delimitato da un lato dalla ferrovia e dall’altro dalla strada provinciale Udine – Treviso. L’ingresso è curato con aiuole e piante, lungo il perimetro aeroportuale sorgono tre imponenti hangar in cemento, chiamati “Voisin”, dalla forma insolita ed elegante ed altri quattro classici e rettangolari. Il Comando d’aeroporto è situato in un edificio che ha più l’aspetto di una palazzina signorile che di una struttura militare. I nostri alloggi sono situati nel lato Nord del campo, accanto alla mensa Sottufficiali. Il clima a Campoformido è alquanto diverso da quello che ero abituato a Napoli, d’inverno spesso il cielo è completamente coperto da nubi basse ed una incessante pioggerella infastidisce e penetra attraverso i vestiti: per diversi giorni consecutivi si è costretti “a terra”! Improvvisamente poi il tempo cambia, il cielo diventa limpidissimo ed azzurro, la grande vallata friulana riappare e tutt’intorno si stagliano, in tutta la loro bellezza, le Prealpi Giulie con le cime imbiancate dalle nevicate. Vengo assegnato alla  96^ Squadriglia, comandata dal cap. Angelo Reali, che insieme alla 73^ e 97^ fa parte del IX Gruppo, quest’ultimo comandato dal magg. Gelmetti. L’accoglienza è calorosa e trovo una grande disponibilità nei colleghi Sottufficiali; molti di loro, seppure di poco più anziani, sono già affermati per le loro qualità di pilotaggio. Conosco e faccio amicizia con i sergenti Sansone, Mascellani e Tommaso Diamare, quest’ultimo, uscito anche lui dalla scuola di volo di Ghedi, è giunto a Campoformido nel 1928, ed è considerato un dei migliori piloti del 1° Stormo, proprio come lo sarà il serg. Ugo Corsi per il 4° Stormo. Un’altra bella figura è il serg. Silvio De Giorgi, uno dei piloti della famosa “Squadriglia Acrobatica di impiego nazionale” comandata da Ariosto Neri. De Giorgi farà parte nel 1934, del Reparto Alta Velocità di Desenzano.

In volo con la 96^ Squadriglia 
Vengo affidato al pilota più anziano della Squadriglia che si accerta di come volo e poi inizio subito l’addestramento previsto per un pilota da Caccia che deve essere in grado di confrontarsi nei combattimenti aerei e di portare a compimento ogni tipo di missione bellica. Si comincia subito con i voli in coppia e in formazione, con la finta caccia, con i tiri al poligono. La convinzione di Fougier che l’acrobazia contribuisca a perfezionare qualità del pilota da caccia, fa sì che molto tempo venga dedicato a questa specialità. Non esiste tuttavia un addestramento standard, come avverrà solamente a partire dagli anni ’50, e molte manovre si imparano guardando gli altri e provando e riprovando in volo, da soli. Un giorno chiedo ad un collega più anziano come si esegue un tonneau e lui mi risponde: “Semplice, prendi velocità, cabri di circa 30 gradi, dai piede ed alettone e quando sei rovescio centra i comandi …”. Convinto dalla spiegazione decollo, mi porto sulla verticale dell’aeroporto a circa 700 metri e provo la manovra ma centrando i comandi l’aereo continua a ruotare, abbassa il muso e scende in verticale. Fermo la rotazione a circa 200 mt da terra, cabro e ritorno in quota e ripeto il tutto ma il risultato è lo stesso. Il collega o non sapeva spiegarsi od il tonneau non l’aveva mai fatto! Quando atterro noto gli specialisti fuori dagli hangar che guardano nella mia direzione. Spento il motore vedo il Comandante di Squadriglia uscire dall’hangar ed incamminarsi verso il mio aereo, salto giù dall’aereo, penso che voglia sapere cosa è successo ed invece, quando è vicino, mi dà una bella strigliata e mi affibia una punizione di rigore di 15 giorni. Dopo tre giorni mi chiama l’Aiutante di Campo di Fougier, il magg. Raul Moore, latore di un messaggio del Comandante: ” … Non provare più a bassa quota queste manovre. Hai della stoffa e farai strada. Per questa volta te la cavi con tre giorni di arresti!”. Volo con il CR 1 fino al 29 gennaio 1931, sono tutti voli “Pattuglia” e “Acrobazia”. Dal 4 febbraio passo sul CR 20, dove, oltre i soliti voli, ci sono missioni di “Ricognizione”, “Raid”, “Quota”, “Fotomitragliamento”, “Virage con incrocio” (che i giornalisti chiamano “bomba”) . Il 27 aprile, in un incidente in fase di decollo muore un caro amico, il serg. Enrico de Ferrari. Non ci si abitua facilmente a queste perdite di giovani piloti con i quali fino a pochi giorni prima vivevi gomito a gomito. Un groppo alla gola ti prende quando torni nella camerata e gli occhi ti cadono sul suo letto vuoto e sulle mani pietose di un collega  che raccoglie gli effetti personali dello scomparso per consegnarli alla famiglia, quale ultimo conforto. Lo Stato Maggiore dell’Aeronautica decide di effettuare le “Grandi Manovre dell’Armata Aerea” nella seconda metà di agosto 1931. Le manovre dovranno interessare diversi aeroporti del Nord Italia e vedranno l’impiego di 900 aerei di vari reparti, Caccia, Ricognizione e Bombardieri. Per l’occasione sarà costituito un nuovo Stormo Caccia, il 4°, con l’intento poi di scioglierlo al termine delle manovre. Il 4° Stormo sarà composto dal IX Gruppo del 1° Stormo di Campoformido (73^,96^ e 97^ Squadriglia), dalla 84^ e la 91^ Squadriglia che arrivano da Ciampino e dalla 90^ del XVII Gruppo che arriva da Aviano. Il 1° di giugno del 1931, nell’aeroporto di Campoformido, viene così costituito il 4° Stormo ed in agosto giunge il Comandante della II Brigata da Caccia, col. Mazzucco, che passa in rassegna il 1° e 4° Stormo e si accerta che la pianificazione per le manovre sia adeguata al grande impegno richiesto. Fin dai primi giorni di giugno iniziamo ad allenarci per le manovre, il 2 giugno decolliamo alle 08.30 per un “Raid Campoformido – Ferrara – Campoformido”, arriviamo a Ferrara, effettuiamo le prove acrobatiche e rientriamo a Campoformido alle 11.10. Dal 5 giugno, prima a giorni alterni e poi quasi ogni giorno, siamo in volo per missioni di “Pattuglia con trasformazione”, “Esercitazioni di Brigata Aerea”, “Pattuglia acrobatica”, “Acrobazia in pattuglia”. 
Il mio primo incidente, la collisione a terra 
Nel corso degli allenamenti, il 18 agosto 1931, qualche giorno prima che inizino le manovre, rientrando al campo sto posando le ruote a terra, quando un Ca 100 pilotato da un Maggiore, inizia la corsa di decollo. Mentre sto smaltendo la velocità mi accorgo che il Ca 100 “scarroccia”, interessando la mia traiettoria. Tento un’azione evasiva ma la velocità è troppo bassa e l’altro velivolo si avvicina velocemente da sinistra, con l’elica minacciosa che rischia di maciullarmi. Qualche secondo prima dell’impatto, con una “spedalata”, imbardo per cercare di proteggermi presentandogli la coda. Sento un gran colpo ed un rumore di ferraglia: l’elica mi “trita” letteralmente la fusoliera fino a pochi centimetri dall’abitacolo. Fortunatamente non c’è alcun inizio d’incendio e nessuno di noi due rimane ferito. Il Maggiore, facendosi forte del suo grado cerca di giustificarsi di fronte al Comandante d’aeroporto e tenta di incolparmi ma l’inchiesta, pochi giorni dopo, stabilirà che è lui ad aver commesso un’infrazione alle regole di volo. Chi atterra ha sempre la precedenza su chi decolla e quest’ultimo deve accertarsi che non ci siano rischi di collisioni e di non costringere a manovre evasive chi atterra. Intanto, mentre proseguono gli allenamenti, si fa amicizia con gli altri piloti che si allenano insieme a noi, sono quelli della 84^, 91^ e 90^ Squadriglia che, dislocati ad Aviano, sono spesso a Campoformido. Insieme si va nei ristoranti frequentati dai piloti del 1° Stormo, all’Arizona degli Aviatori e da Boschetti, a Tricesimo. 
Le Grandi Manovre 
Nonostante i velivoli siano stati controllati e riforniti il giorno prima, il 24 agosto ci si alza molto presto, far decollare una trentina di CR 20 è sempre un lavoro impegnativo. Il mio IX Gruppo decolla alle 06.30 con destinazione Modena, dove giungiamo alle 08.10. Intanto il X Gruppo parte da Aviano per Rimini. Il 27 agosto effettuiamo una “Crociera di protezione” su La Spezia ed il 28 agosto su Bologna. Il 30 agosto si vola a Milano ed il 31 agosto a Ferrara, dove arriviamo alle 10.15 e qui partecipiamo alla “chiusura” della Manifestazione Aerea. Il grande numero di velivoli impiegati comporta non pochi problemi organizzativi ed è una fortuna  che ci sia un “solo” un incidente. Visto il successo conseguito nell’esercitazione collettiva, i vertici dell’Aeronautica decidono di dare forma definitiva al 4° Stormo. A Campoformido non c’è posto per ospitare il IX Gruppo e come sede operativa viene scelto l’aeroporto Egidio Grego di Merna, vicino a Gorizia. Il 9 settembre il X Gruppo si trasferisce da Aviano a Merna e subito dopo, il 28 settembre, anche il nostro IX Gruppo, lo segue da Campoformido. Alle 09.55, a bordo del mio CR 20, insieme a tutta la mia Squadriglia atterriamo a Gorizia e con il nostro arrivo lo Stormo ora è al completo. Il gen. Duma nel libro “Quelli del Cavallino Rampante”, il più autorevole e completo documento sul 4° Stormo, dopo meticolose ricerche è riuscito a risalire ai nominativi dei piloti giunti a Gorizia quel settembre: ten. Oscar Molinari, ten. Antonio Colla, ten. Roberto Giannoni, ten. Marco Bressan, ten. Gustavo Giusti, ten. Carlo Azzali, ten. Francesco De Turro, cap. Astorre Alvisi, serg. Luigi Acerbi, m.llo Attilio Allavena, serg. Raffaele Anelli, serg. Carlo Attanasio, serg. Giuseppe Avvico, serg. Mario Bandini, serg. Emilio Barbetti, serg. Aldo Bassi, serg. Rodolfo Bergamini, serg. Francesco Breveglieri, serg. Enzo Callegari, serg.magg. Romolo Cantelli, serg. Casentini, serg. Giovanni Celeghini, serg. Raffaele Chianese, serg. Ugo Corsi, serg. Silvio Costigliolo, m.llo Terzo Degan, serg.magg. Giuseppe Frass, serg.magg. Antonio Gallarani, serg. Franco Giachetti, serg.magg. Antonio Gugliotta, serg. Italo Larese, serg. Arrigo Marchetti, serg. Canzio Marini, serg. Amerigo Melani, serg. Metlicovith, serg. Alberto Montanari, m.llo Emiro Nicola, serg. Gino Passeri, serg. Poltronieri, serg. G. Pongiluppi, serg. V. Pongiluppi, serg. Giuseppe Regini, serg. Norino Renzi, serg. Giovanni Ricco, serg. Vittorio Romandini, serg. Mario Ruffilli, serg. Giuseppe Salvadori, serg. Sirio Salvadori, serg. Luigi Sandoli, serg. Sanzin, serg. Sica Alberico, serg.magg. Giovanni Silvestri, serg. Felice Sozzi, serg. Elio Steffan, m.llo Pietro Tofful, m.llo Giovanni Venturi, e altri quattro Sottufficiali piloti non identificati. Il 10 ottobre viene emanato l’atto ufficiale che costituisce in forma definitiva il 4° Stormo.

L’aeroporto Egidio Grego di Merna, Gorizia 
Il campo di volo di Merna, utilizzato dagli austriaci per un breve periodo prima dell’inizio della Grande Guerra, sorge su un terreno alluvionale che ha la caratteristica molto importante di consentire il rapido drenaggio dalle piogge, anche di forte intensità. Nel 1924 il Ministero dell’Aeronautica  decide di utilizzare questo campo ed avvia i lavori per la costruzione di hangar e strutture annesse. Verso la fine del 1925 si insedia la 38^ Squadriglia del 63° Gruppo del 21° Stormo Osservazione Aerea, seguita poco dopo dalla 41^ e 113^ Squadriglia. Nel 1929 anche il Comando del 21° Stormo si trasferisce a Gorizia. Le tre Squadriglie che hanno in dotazione il Ro 1, dispongono in totale di una trentina di velivoli. Quando giungiamo a Gorizia, sull’aeroporto ci sono quattro enormi hangar Lancini di 50 x 50 metri alla base ed alti circa 18 metri, due hangar affiancati di 65 x 30 metri, un hangar “austriaco” Gleiwitz di 67 x 28 metri e diversi altri edifici utlizzati come magazzini, uffici, posti di guardia, officine, dormitori e mense per il personale. I velivoli del 4° Stormo vengono ospitati nei tre hangar Lancini posti a Sud dell’aeroporto che fino a poco prima avevano ospitato una Squadriglia di bombardieri. In ogni hangar vengono sistemate due Squadriglie, partendo da quello più vicino alla strada statale che costeggia l’aeroporto, sono la 73^, 96^, 97^, 84^, 90^,91^. Nella parte esterna degli hangar, sul lato Sud, nelle cosidette “appendici”, ci sono i Comandi di Squadriglia. Nel secondo hangar, sempre a partire dalla strada, c’è il Comando del IX Gruppo e di Stormo, mentre nel terzo hangar c’è il Comando del X Gruppo. Sul terreno retrostante i tre hangar, qualche anno più tardi troverà posto la Colonia Elioterapica, voluta dal Duca d’Aosta per ospitare i figli dei contadini di lingua slovena che, proprio a causa degli espropri dei loro campi per costruire l’aeroporto, hanno subito un non indifferente danno economico al punto che alcune famiglie stanno vivendo in condizioni di povertà. Seguendo il vialetto interno parallelo alla strada statale, in direzione Nord, si incontrano due edifici paralleli, sono adibiti a Reparto Servizi e Cassa, Casermetta Alloggio Carabinieri e Infermeria, accanto a questi troviamo un giardino particolarmente curato e poco più avanti una piscina. Gli uffici del Comando d’Aeroporto sono più a Nord, nella elegante palazzina che si affaccia su un lato alla strada e dall’altro ad una grande aiuola e alla Rosa dei Venti. Poco più avanti il quarto hangar Lancini, detto anche del 6° Stormo, in quanto per un breve periodo ospitò una Squadriglia di questo Stormo, con accanto l’Aerofaro “Luria”. Tra quest’ultimo hangar e la strada, la Cabina con pozzo (dove sorgerà nel 1936 un altro edificio adibito a servizi vari), l’Autorimessa e annesso Gabinetto Fotografico, il Corpo di Guardia e Prigioni. Dal corpo di guardia parte un vialetto con direzione Ovest, alla sua sinistra troviamo l’Officina tipo III, l’Hangar ex austriaco Gleiwitz della Ricognizione Aerea (38^ Sq. ), il Magazzino MSA (Materiali Speciali Aeronautici), l’Ufficio Comando Squadriglie della Ricognizione Aerea e l’Hangar della Ricognizione Aerea ( 41^ e 116^ Sq.). Alla destra del vialetto, sempre verso Ovest, la Caserma Avieri, il Lavatoio Avieri, l’Alloggio Mensa e Circolo Sottufficiali (quest’ultimo sarà costruito intorno al 1936), la Stazione Ricetrasmittente, il Magazzino Vestiario e Cinema. Più a Ovest, quasi a metà campo, il deposito carburante e, nel lato estremo di Sud Ovest del campo, il terrapieno per la prova e la taratura delle mitragliatrici degli aerei. L’aeroporto è dotato di propri impianti contro gli incendi, di pozzi d’acqua e relativi serbatoi, sia interrati che sopraelevati. Accanto ad ognuno dei tre hangar del 4° Stormo, a quello del 6° Stormo e a quello della 41^ e 116^ Sq. della Ricognizione, c’è una torre alta una dozzina di metri per le segnalazioni ai velivoli in fase di decollo e di atterraggio. L’aeroporto è dotato di quattro ingressi, quello più a Sud porta agli hangar del 4° Stormo, il secondo è posto in corrispondenza del Comando d’Aeroporto, il terzo accanto al Corpo di Guardia ed il quarto di fronte alla Caserma degli Avieri. Sull’altro lato della strada un’altra area è riservata all’edificio adibito a Alloggio Ufficiali, Mensa e Circolo (verrà costruito intorno al 1936) e più ad Est, la Polveriera di Vertoiba e Riservetta con il suo Corpo di Guardia. Noi Sottufficiali veniamo alloggiati nella Caserma Avieri, un edificio a tre piani, dove mi viene assegnata una cameretta all’ultimo piano, insieme ad altri due sergenti, Costigliolo e Castelletti. Gli Ufficiali vengono invece  alloggiati in città, non è ancora costruita la palazzina Ufficiali, ne quella Sottufficiali, lo saranno qualche anno più tardi e nel frattempo ci dobbiamo adattare.

Passando sotto i ponti 
A Campoformido alcuni piloti più esperti ed un pò incoscenti, hanno dato vita all’insana abitudine di passare sotto le arcate dei ponti del Tagliamento. Fortunatamente per i piloti del 4°  Stormo, i ponti sull’Isonzo non si prestano a questo rischioso esercizio, sono tutti più bassi. Qualche pilota era stato tentato di passare sotto il ponte in pietra ad arcata unica di Salcano, ora in Slovenia, nella vallata tra il Monte Sabotino ed il San Gabriele ma questo ponte, pur essendo alto ed ampio, è disposto obliquamente al letto dell’Isonzo, in una gola stretta e, per quello che so io, nessuno ci ha mai provato. Un giorno, quando ero a Campoformido, volavo in coppia con un collega più anziano, allora non esisteva la radio e ad un tratto vedo che fa oscillare le ali, con un braccio indica un ponte e mi mi fa segno di rimanere in quota. Orbito sopra il ponte e vedo che vira e si abbassa portandosi a pelo del fiume e passa sotto l’arcata ma, non è soddisfatto, cabra quasi in verticale, vira di 180° per ripetere il passaggio nella direzione opposta. Quando è con un assetto di 45° a picchiare si accorge che la manovra è impostata male. Tenta a questo punto di passare “sopra” il ponte ma l’aereo non ha abbastanza velocità, comincia a “spanciare” e sfiora il ponte con la coda che passa a poco più di un metro dal parapetto, per un soffio non si schianta. Il 18 gennaio 1932, quando sono da meno di quattro mesi al 4°  Stormo, giunge a Gorizia la notizia di un grave incidente: il serg. Tommaso Diamare, in pattuglia con il ten. Ernesto Sanzin stava rientrando a Campoformido dopo avere effettuato esercitazioni di tiro al poligono di Vivaro. All’altezza di Sequals, Diamare si stacca dalla formazione, si abbassa e passa sotto l’arcata centrale del ponte di Sequals, un ponte a tre arcate, torna indietro lungo il letto del torrente Meduna e ripassa sotto l’arcata centrale, la più larga delle tre. Altra virata e questa volta si appresta a passare sotto l’arcata di destra, con un’apertura ridotta rispetto a quella centrale. Fatalità vuole che un cavo di una linea telefonica penda dall’arcata e agganci il delicato compensatore fisso che sporge di una quindicina di centimetri sopra l’alettone destro e, spostandolo, comanda una incontrollabile rotazione del velivolo che si schianta sulla sponda sopraelevata di destra. Sono scosso per la sua scomparsa, lo conoscevo personalmente per aver volato insieme, aveva un’eccezionale padronanza del velivolo e sono scosso per la sua scomparsa. Con il CR 20 puntava gli hangar scendendo a poco più di un metro da terra per poi cabrare e sfiorare la sommità della costruzione. Mentre l’aereo era in salita effettuava tre quarti di tonneau che terminava alla velocità minima e poi, abbassando il muso, in scivolata, virava di 180° sorvolando nuovamente l’hangar. Diamare, dotato di innegabili doti professionali, aveva rappresentato lo Stormo in numerosi meeting all’estero con la Pattuglia Acrobatica del ten. Ariosto Neri. Le ripercussioni dell’incidente comportano conseguenze pesanti per il 1° Stormo. A Roma lo Stato Maggiore, che non ha mai apprezzato le idee di Fougier, punisce lo Stormo degli “acrobati”: viene  costituito a Bresso il Nucleo Alta Acrobazia, negando così a Campoformido il titolo fino allora detenuto di  rappresentate dell’acrobazia aerea.

Il Duca d’Aosta Comandante del 21° Stormo 
L’11 giugno 1932, il col. Amedeo di Savoia duca d’Aosta, figlio del generale Emanuele Filiberto, che aveva comandato la Terza Armata nella zona tra Gorizia e Monfalcone durante la Prima Guerra Mondiale, assume il comando del 21° Stormo Osservazione Aerea dislocato sull’aeroporto di Gorizia. L’anno successivo, il 1° maggio 1933, il Duca lascia il 21° Stormo e assume il comando del 4° Stormo. A Gorizia il 4° Stormo, mantiene viva la tradizione e lo spirito di Campoformido dove l’acrobazia era di casa. Il CR 20 non è la macchina ideale per l’acrobazia, richiede particolare impegno per il motore poco brillante che sommato all’effetto della “coppia dell’elica”, costringe ad un continuo uso del timone di direzione. I gregari più esterni alla formazione tendono a “sfilarsi” durante le virate perche’ devono percorrere una traiettoria più lunga e pertanto costretti a “lavorare” di motore e pedaliera! Poco dopo l’arrivo a Gorizia, nel febbraio del 1932, cominciamo a ricevere il nuovo aereo, il CR Asso, destinato a rimpiazzare gradatamente il CR 20 dal quale si differisce per il motore Isotta Fraschini, raffreddato ad aria e con una potenza leggermente superiore. A Gorizia l’aeroporto è utilizzato dal 21° Stormo a Nord e dal 4° Stormo a Sud. Ciò comporta la necessità di separare le operazioni di decollo e atterraggio dei velivoli dei due Reparti che hanno prestazioni ed esigenze operative diverse. L’aeroporto viene così diviso in due settori, quello a Nord, riservato alla Ricognizione e quello a Sud, riservato alla Caccia. I due settori sono a loro volta divisi in due “strisce” di circa 800 metri di lunghezza, una per gli atterraggi, al centro aeroporto ed una per i decolli, all’esterno. A seconda da dove spira il vento, queste strisce possono essere utilizzate per atterraggi e decolli in entrambi i sensi. Quando spira forte vento da Sud o da Nord, evento alquanto remoto, è previsto ruotare di 90 le operazioni di atterraggio e decollo, utilizzando in questo caso una sola pista. Considerando che il 21° Stormo con le sue tre Squadriglie, la 116^ , 41^ e 38^, ha al suo attivo circa due dozzine di velivoli, tra Ro 1 e Ro 5 ed il 4° Stormo con le sue sei Squadriglie dispone di quasi una settantina, si può comprendere quale possa essere il traffico sull’aeroporto anche quando anche solo una parte dei velivoli è in volo. Per le loro missioni, ai velivoli vengono assegnati “spazi aerei” distanti dall’aeroporto dove possono allenarsi nell’acrobazia singola, in coppia, in formazione, mentre sull’aeroporto “circuitano” gli aerei che ai addestrano all’atterraggio e decollo. Per quest’ultime operazioni, sebbene già esistessero le radio e fossero anche state installate su alcuni velivoli da caccia ma poi rimosse, le “istruzioni” di decollo ed atterraggio vengono date visivamente ai velivoli da operatori piazzati sulle torri di segnalazione, poste accanto agli hangar. Intanto, dalla 96^ Squadriglia, con la quale sono giunto da Campoformido, transito per un breve periodo alla 90^ Squadriglia, poi alla 84^ e dal 3 giugno 1932 sono assegnato definitivamente alla 91^, la Squadriglia di Francesco Baracca che da lui ha ereditato il nome. Il Comandante dello Stormo, il col. Felice Porro, non ostacola le iniziative dei piloti che “provano” nuove figure acrobatiche. Vado in volo con il serg. Enzo Callegari e cerchiamo di perfezionarci nel looping e nelle altre manovre acrobatiche in coppia. Gli altri colleghi da terra ci osservavano per poi a loro volta imitarci. Callegari perirà il 28 gennaio 1933 in un incidente durante le esercitazioni a fuoco al poligono di Aviano. Tradito dal complicato e poco efficiente collimatore del CR 20, un tubo con un oculare sistemato davanti al viso del pilota che riduceva la visuale, impatta il terreno poco prima del bersaglio. Nel novembre del 1933, giungono a Gorizia i s.ten. Giuseppe D’Agostinis e Vittorio Pezzè, sono appena usciti dall’accademia. D’Agostinis, è di Cervignano, è un uomo alto semplice e cordiale, quando mi conosce mi confida che vuole volare con me per affinarsi nell’acrobazia, gli tornerà utile nel condurre la pattuglia acrobatica della Squadriglia. Dopo quasi tre anni trascorsi con il 1° e 4° Stormo, mi sono guadagnato la fama di “discreto” pilota. Molti anni dopo, il 17 maggio 1975, in occasione di un incontro con i veterani del 4° Stormo, nel ristorante “La Lanterna d’Oro” di Gorizia, D’Agostinis, divenuto Generale mi confiderà: “… Chianese, da te ho imparato tanto …”. Sarà uno dei più graditi complimenti ricevuti durante la mia carriera. Il 28 marzo 1934 intanto il Duca d’Aosta è nominato Generale di Brigata ed assume il comando del 1° Stormo di Campoformido e del 4° Stormo di Gorizia. Il 3 maggio 1935 effettuo il primo volo, da Torino a Gorizia, su un CR 32 nuovo di zecca, appena uscito dalla linea di montaggio della Fiat. Col passare del tempo e delle ore di volo, accumulo esperienza, le mie doti di pilotaggio migliorano insieme al mio rispetto per la disciplina e forse mi evitano la sorte dei colleghi che per eccessiva esuberanza vanno ad allungare le fila dei deceduti per incidente di volo.

Gli incidenti di volo e la ribellione dei piloti 
Il volo praticato a Gorizia, in particolare l’acrobazia in formazione, comporta un certo rischio e gli incidenti raggiungono una frequenza tale che intorno all’aeroporto non è raro incontrare cippi che ricordano i caduti. Nei periodi di massima attività gli incidenti possono raggiungere un picco di uno alla settimana e in primavera, dopo la ridotta attività dovuta alle condizioni atmosferiche invernali, quando si riprende il normale ritmo di volo, la media sale ancora. Le salme di coloro che vengono coinvolti negli incidenti vengono trasportate all’Ospedale Militare di via Ristori, oggi adibito ad alloggi per le famiglie. Qui si officia la cerimonia funebre ed infine le bare prendono la via del paese di provenienza della vittima. Un anno in cui il destino fu particolarmente avverso con Gorizia, partecipando a tante cerimonie funebri, consumai un paio di guanti bianchi della divisa. Nel tentativo ridurre il numero di incidenti di volo, il Comandante di Stormo, constatato che alla domenica il personale di volo era solito trascorrere la libera uscita in modo non molto sobrio e temendo che al lunedì non fossero completamente smaltiti i postumi dei bagordi domenicali, ordina che in questo giorno non si voli ed il personale debba comunque essere in servizio in aeroporto. Non dovendo volare al lunedì, accogliamo malvolentieri la disposizione di essere costretti a rimanere in aeroporto e chiediamo ai superiori di estendere il permesso almeno fino a mezzogiorno. Non veniamo accontentati ed il malcontento dilaga al punto che viene escogitata una protesta insolita, organizzata dal serg. Renzo Castelletti. Durante l’esibizione del 10 luglio 1935, alla presenza del gen. Francesco Pricolo, Comandante della II Z.A.T. ed altre autorità, ci accordiamo per volare in formazione “larga”. Non il solito metro o metro e mezzo tra velivolo e velivolo bensì 5-6 metri. Il X Gruppo aderisce alla protesta mentre il IX Gruppo sfila in formazione compatta. Le autorità ed il pubblico, nemmeno lo notano ma il Comandante di Gruppo ed i Comandanti di Squadriglia vanno su tutte le furie. Castelletti inoltre, dopo il decollo, raggiunta la formazione, si stacca e rientra in aeroporto simulando un malfunzionamento del motore. Castelletti pagherà cara la sua iniziativa! Viene punito e alla prima occasione, nel gennaio del 1936, verrà trasferito al 6° Stormo. Una trentina di piloti sono consegnati ma un effetto comunque viene conseguito e dopo alcuni giorni le punizioni sono sospese e le richieste dei piloti accolte.

Il Duca d’Aosta pilota 
Il Duca aveva un velivolo a sua disposizione, custodito dalla 73^ o dalla 91^ Squadriglia. Quando decideva di andare in volo, l’Aiutante di Volo, il ten. Aldo Tait, telefonava alla Squadriglia per preparare il velivolo. Il Duca arrivava fino sotto l’aereo con la macchina, non voleva curiosi attorno ma solamente il motorista. I comandanti di Squadriglia, cap. Giuseppe D’Agostinis e cap. Vincenzo Dequal, lo osservavano da lontano. Il serg. Enzo Vosca che era addetto al suo velivolo nel 1937, ci raccontava che mentre lo aiutava ad imbragarsi e sistemarsi nell’abitacolo, il Duca gli diceva: “Vosca guarda, guarda come mi controllano. Non si fidano!”. Era un buon pilota, soprattutto considerando le poche ore di volo che poteva fare a causa degli innumerevoli impegni burocratici che lo assillavano. Appena arrivato allo Stormo, il Duca aveva chiesto al Comandante di Stormo, t.col. Augusto Bonola, qualche pilota esperto per effettuare i voli in coppia ed un paio di volte fui scelto io. Dopo un briefing nel quale abbiamo discusso le manovre da eseguire, siamo andati in volo e dopo un pò di acrobazia, lui da leader ed io da gregario, siamo rientrati. Ricordo che scesi dall’aereo lui mi domandò: “Chianese, come sono andato?”. Era una persona semplice e carismatica. Amato da tutti, quando lo chiamavano rispettosamente “Altezza”, rispondeva “Un metro e novantotto!”.

L’acrobazia a Gorizia 
Col passare del tempo anche noi “pivellini”, ultimi arrivati a Campoformido e primi arrivati a Gorizia, diventiamo “anziani” e facciamo da istruttori ai giovani che arrivano dalle Scuole di Volo. Un giorno al serg. Vittorio Romandini viene assegnata una “coppia” con un allievo e cioè insegnargli a volare stando “in ala” durante tutte le manovre, compresa l’acrobazia. Terminata la missione in quota, Romandini inverte il ruolo e fa da “gregario”, affiancando l’allievo che viene all’atterraggio da Ovest, dal lato della ferrovia. L’allievo è un pò alto e veloce e dopo la toccata si sposta verso Romandini, quest’ultimo dà motore per portarsi avanti e non farsi investire ma così facendo allunga la corsa di atterraggio. Sarebbe ancora in tempo per dare tutto motore e riattaccare ma pensa: “Ce la faccio!”. Invece “non ce la fa”, il velivolo supera la fine del campo, travolge la siepe, attraversa il vialetto sussultando pericolosamente e si ferma in mezzo ad una nube di polvere con il muso appoggiato alla parete della palazzina degli Uffici Amministrativi, situata 150 metri a Sud della Palazzina Comando. Romandini si slaccia le bretelle, scende, sposta i rami della siepe che il velivolo ha trascinato nella sua corsa e che gli impediscono il passaggio, si toglie la polvere di dosso, avanza verso l’ingresso della palazzina e, rivolgendosi al personale accorso in suo aiuto, esclama: “Sono venuto a ritirare lo stipendio. È pronto?”. La coppia inseparabile Romandini-Renzi è un mito del 4° Stormo. I due sono scatenati, se ne inventano di tutti i colori e la loro fantasia nel fare scherzi o organizzare baldorie non ha limiti. Sono inseparabili, al punto che si fidanzano e sposano due ragazze dello stesso paese, San Lorenzo Isontino. Anche la morte li coglierà a breve distanza l’uno dall’altro. Renzi in Africa e Romandini poco dopo nei pressi di Chioggia. Il CR Asso è una bella macchina, ho molte ore sulle spalle e mi destreggio bene con l’acrobazia. Una manovra è il mio forte, il volo “a coltello”, consiste nel volare, a pochi metri da terra, con un’inclinazione di 90°, su una traiettoria rettilinea. Non essendo l’ala in questa fase portante, il volo può essere protratto solo per pochi secondi e con la pedaliera a fondo corsa per sostenere il muso. La manovra riesce se è iniziata con la velocità più alta possibile in modo da sfruttare quel poco di portanza generata dalla fusoliera ed appena la velocità comincia a diminuire bisogna subito raddrizzare le ali. Se si ritarda anche di poco, c’è il rischio di “scivolare” e toccare il suolo con le immaginabili conseguenze. Sebbene altri abbiano più volte tentato di imitarmi, solamente il collaudatore della FIAT e pilota del 1° Stormo, Guido Carestiato, vi riuscirà qualche anno più tardi ma con macchine dalle prestazioni più brillanti. Il primo pilota del 4° Stormo ad effettuare invece il tonneau lento il linea di volo e a bassa quota, è il ferrarese serg. Romolo Cantelli che dopo la guerra si trasferirà in Venezuela e perderà la vita in un incidente automobilistico. Tra me e lui nasce uno spirito di emulazione. Anch’io provo i tonneau orizzontali, affinando la manovra e poi li riprovo in salita ed infine in “candela”, in verticale. Anche per i tonneau in verticale, come per il volo a coltello, è fondamentale iniziare con la velocità più alta possibile: si mette l’aereo perfettamente verticale, cosa non facile da valutare e si ruota di alettoni finchè l’aereo sta per ricadere su se stesso. Prima di “sfogare” in una virata, riesco ad effettuare un paio di rotazioni. Un giorno, non lontano dal campo, sto riprovando la manovra e, invece di uscire con una virata sfogata, il velivolo sprofonda sulla coda mantenendosi verticale per qualche frazione di secondo e poi abbassa il muso con una “scampanata”. Da terra il ten. Mario Salvadori mi osserva e dopo l’atterraggio mi chiama, è entusiasta della manovra e mi chiede di ripeterla, purtroppo non ci riesco più. La preparazione teorica dei piloti è alquanto superficiale e l’addestramento dipende molto dalle capacità dell’istruttore nel trasmettere la propria esperienza all’allievo e non sempre ciò accade. Non esiste un addestramento standard e tutto si impara sulla propria pelle e così quelli che sopravvivono sono i migliori. Un giorno, dal piazzale antistante gli hangar, assisto ad un incidente drammatico: all’estremità Sud Ovest dell’aeroporto, sopra l’Isonzo, cinque CR 20 stanno effettuando acrobazie ed improvvisamente, mentre sono alla sommità di un looping, il gregario esterno di destra entra in collisione con quello interno. Si notano alcuni pezzi che si staccano ed una piccola fumata bianca seguita da una fiammata ed i due precipitano avvolti dalle fiamme. Uno dei due, continuando a ruotare su se stesso, si schianta al suolo con il pilota ferito o bloccato nell’abitacolo. Dall’altro si vede il pilota che si lancia ed il paracadute si apre a circa 500 metri. Attorno a me ci sono altri piloti e specialisti che stanno osservando le acrobazie della formazione ed un coro di voci si alza quando si comprende che per l’aereo con il pilota a bordo non c’è più nulla da fare. Mentre tutti hanno gli occhi sul paracadute che lentamente sta scendendo e osservano con sollievo che almeno uno dei due si è salvato, a circa 300 metri da terra sento qualcuno esclamare ad alta voce “Le funicelle, …le funicelle bruciano”,  non l’avevamo notato prima, probabilmente il carburante fuoruscito dai serbatoi dopo l’impatto deve essere finito anche sul paracadute e le funicelle ora bruciano. È questione di pochi secondi, tutti si augurano che le fiamme non si estendano alla calotta ed invece a meno di 100 metri da terra il fuoco divampa e lo sfortunato pilota si sfila dal paracadute e si schianta proprio quando era ad un palmo dalla salvezza.

Il serg. Ugo Corsi 
Alcuni incidenti avvengono per spirito di emulazione da parte di chi sottovaluta le proprie doti e tenta di imitare i piloti più esperti che eseguono con naturalezza anche le manovre più difficili. Fra questi c’è il serg. Ugo Corsi, detto “Fufo” per il suo volto da ragazzino. Ha un istinto innato per il volo, di lui si dice che sia stato il miglior pilota acrobatico del 4° Stormo e forse il migliore in assoluto. Ha fatto parte, nel ’33 e ’34, della squadriglia di “Alta Acrobazia” del ten. Tessore dotata dei Breda 19, un velivolo con il “doppio” carburatore ed il sistema di lubrificazione del motore che permetteva il volo rovescio senza limiti di tempo. Corsi era abilissimo nel controllare il velivolo alle basse velocità, con il Br 19, appena staccato da terra riduceva il motore e volando quasi alla velocità di stallo, con il muso alto, “razzolava” per il campo ad un metro dal suolo. Dopo alcuni giri, si allontanava, faceva quota e, picchiando in volo rovescio fino a pochi metri da terra, cabrava, effettuava un mezzo looping ed al culmine completava la manovra con un tonneau. Infine planava e si portava all’atterraggio con una serie di scivolate d’ala accentuate, fino a un metro da terra. Nel luglio del 1936, Corsi e Carestiato, in un volo di trasferimento con un Br 28 da Bresso a Bolzano, per scommessa decidono di volare “rovesci”, a testa in giù. Dopo mezz’ora il motore di Corsi “pianta”, atterra fuori campo con una manovra perfetta e dopo l’intervento degli specialisti che eliminano l’avaria, lo stesso Corsi riparte. In Spagna consegue cinque abbattimenti, due “individuali” e tre “collettivi” ma poco dopo viene a sua volta abbattuto e trascorre diversi mesi di dura prigionia. Per il suo valore gli verranno conferite due medaglie d’argento. Anche in Africa Settentrionale, dopo pochi voli si trova da solo a dover affrontare cinque Hurricane, un aereo superiore al nostro CR 42, riesce a destreggiarsi ed abbatterne tre ma poi  viene abbattuto e precipita in mare. Il suo aereo ed il suo corpo, nonostante le ricerche, non verranno mai ritrovati. 
Nel libro “Quelli del Cavallino Rampante”, così il cap. Luigi Monti descrive Corsi: “ … sembrava nato con l’aeroplano, solista acrobatico da lasciare col fiato sospeso, … In pattuglia mi stava così vicino da sporcare l’ogiva della sua elica con la vernice rossa del tricolore della mia coda!”.

Il capitano Mario Rossi 
A volte capita che il comando di una Squadriglia venga affidato ad un Ufficiale, un Capitano, non scelto a Gorizia ma negli uffici dello Stato Maggiore, a Roma, dove l’acrobazia aerea non è materia molto conosciuta. Può capitare così che la scelta cada su un pilota proveniente dai bombardieri. Il Comandante della nostra Squadriglia è il cap. Mario Rossi che per la sua provenienza dai bombardieri non eccelle nell’acrobazia. Come Caposquadriglia spetta a lui eseguire l’acrobazia e a noi seguirlo, ala dentro ala, e ovviamente è importante per chi guida la pattuglia, di impostare le manovre in modo corretto. Poteva così succedere che quando si “tirava” un looping, nel momento in cui l’aereo era con il muso verticale, il Capitano rimanesse “appeso”, rischiando una “scampanata”. Castelletti od io, con dei leggeri movimenti di alettone o d’equilibratore o con un cenno della mano, gli indicavamo come manovrare. Il cap. Rossi con la coda dell’occhio notava i nostri segnali e seguiva i nostri suggerimenti ma tuttavia non menzionò mai con nessuno, nemmeno con noi, dei provvidenziali aiuti. Con questo scambio di ruoli la Squadriglia faceva la sua bella figura e nessuno a terra se ne accorgeva. Quando si è giovani si è incoscienti e così a volte Castelletti ed io ci divertivamo a “stringere” il Capitano nella formazione. Castelletti con la punta dell’ala gli dava dei colpetti sugli alettoni e il cap. Rossi, irrigidito sui comandi, imprecava. Giunti a terra si infuriava e ci inquadrava ma alla fine tutto passava in silenzio.

L’incidente di Pietro Guerritore 
Nel mese di marzo del 1936 inziamo ad allenarci per l’esibizione della nostra Pattuglia Acrobatica alla “4^ Giornata dell’Ala” che si terrà a Roma. Il 14 marzo, dopo il volo di allenamento con la Pattuglia e dopo il de-briefing del cap. Rossi, sono davanti al nostro hangar e sto parlando con il m.llo Cavallo quando questi indica alle mie spalle “guarda che sta facendo quello li!” mi giro e faccio in tempo a vedere poco oltre la strada un Ro 1 del 21° Stormo che a circa 40-50 metri di quota, inclinato di quasi 90 gradi, “scivolando d’ala” sparisce dietro la palazzina Comando. Non vediamo altro, poco dopo nel lato Nord dell’aeroporto, verso la Ricognizione c’è del trambusto. Passata una mezz’ora veniamo a sapere che il Ro 1 è precipitato nei pressi del cimitero, l’aviere motorista Tranquillo Giovanelli, seduto al posto dell’osservatore, è deceduto mentre il pilota è stato estratto dai rottami con molteplici fratture e ricoverato presso l’ospedale militare di via Ristori. Il giorno dopo noi piloti veniamo convocati nell’hangar della 73^ Squadriglia, ci informano che il pilota del Ro 1, il ten. Pietro Guerritore, di 22 anni, è deceduto durante la notte in conseguenza delle gravi fratture procurate dall’incidente. Proveniva dalla Scuola Bombardieri di Malpensa ed è stato assegnato alla 116^ (112^) Squadriglia nel gennaio di quest’anno. Il Guerritore è di antica stirpe militare ed il padre è un Ufficiale Superiore pluridecorato per meriti di guerra nel conflitto del 1915-1918. Le esequie si tengono il 16 marzo con tutti gli onori, presente il gen. Pricolo, il t.col. Domenico Locatelli, Comandante del 21° Stormo, il magg. Giuseppe Sandri, Comandante del 63° Gruppo, i cap. Ciancarelli e Beneforti, comandanti di Squadriglia e numerose altre autorità. Anche tutti noi del 4°  Stormo partecipiamo al funerale che parte da via Ristori, prosegue per via Buonarotti e, seguendo il corso, arriva alla stazione ferroviaria dove la bara con le spoglie dell’osservatore prosegue per il suo paese natio. La bara del Guerritore invece viene sistemata in un loculo nel cimitero di Gorizia, in attesa una sepoltura definitiva. Nel marzo del 1937, la salma di Guerritore viene traslata nella cripta voluta dalla famiglia, sulla quale è fissato il monumento ideato dal cap. arch. Barbalonga del Genio Aeronautico, raffigurante un’ala stilizzata ed un’elica spezzata. Alla cerimonia, oltre al padre Orazio e allla sorella Claudia, sono presenti il t.col. Simone Pietro Mattei, com.te dell’aeroporto di Gorizia, ed il t.col. Raul Moore, aiutante maggiore del Duca d’Aosta. Ancora oggi, chi entra nel cimitero di Gorizia, può osservare la tomba sulla quale una lapide riporta un epitaffio di Ungaretti, dedicato al giovane pilota.

La 4^ Giornata dell’Ala – Roma 
Il 28 marzo 1936 è prevista la nostra partecipazione alla “4^ Giornata dell’Ala” sull’aeroporto del Littorio (Ciampino). Decolliamo il 25 marzo da Merna per Roma con scalo a Rimini. I piloti delle due squadriglie di CR 32 sono per la 73^, Moscatelli, Viola, Montanari, Pezzè, per la 91^, Rossi, De Prato, Chianese, Romandini, Castelletti, Giacchetti. Nei pressi di Fabriano incontriamo condizioni meteorologiche sfavorevoli e la formazione si viene a trovare davanti a due strati di nuvole, uno basso ed uno più alto. I velivoli non sono dotati di strumenti idonei alla navigazione strumentale ne tanto meno di impianti antighiaccio. Il cap. Moscatelli scende di quota, riesce a passare sotto le nubi e continua il volo per Roma. Il cap. Rossi che guida la mia Squadriglia, comincia invece a salire ed entra nello strato di nubi superiori. Improvvisamente non vediamo più nulla, sembra di volare dentro una nebbia fittissima. Ci stringiamo ancora di più al capo formazione. Dopo alcune decine di secondi tutti i velivoli finiscono in perdita di velocità e poco dopo entriamo inconsapevolmente in una spirale in discesa. Mi rendo conto che sto scendendo velocemente dall’altimetro che gira vorticosamente e dal variometro a fondo scala a scendere. Mentre continuo a perdere quota il pensiero va al rischio di collisione con gli altri velivoli che sono intorno ma che non posso vedere. C’è il rischio di finire da un momento all’altro sulla cima di una montagna. Sempre dentro le nubi, intravedo per un attimo un altro velivolo a circa una quindicina di metri che pure lui gira su se stesso, verrò poi a sapere che è Romandini ed istintivamente “tiro” violentemente per non investirlo con il risultato di entrare in vite. Rimettersi da una vite dentro le nubi, con l’ausilio della sola “pallina e paletta”, non è una cosa facile e così riesco ad uscire dalla vite ma vi rientro subito dopo dalla parte opposta. Nel frattempo ho perso più di 2000 metri, oramai è solo questione di secondi, il terreno è sempre più vicino. Abbandono i comandi e comincio a slacciare le bretelle per lanciarmi e quasi contemporaneamente l’aereo esce da solo dalla vite, la nuvolaglia si dirada e sotto di me appare una vallata. Un brivido mi corre lungo la schiena nel vedere che sono uscito vicino ad una montagna la cui cima, più alta di me, scompare fra le nubi. Pure Romandini finisce in una vallata ma si trova intrappolato al suo interno, le nubi non gli permettono alcuna via di uscita ed è costretto ad un atterraggio di fortuna. Il velivolo rimane gravemente danneggiato ma Romandini ne esce incolume. La fortuna ci ha assistito ed abbiamo corso un grosso rischio in quanto volavamo su una zona montagnosa, basti pensare che Romandini ed io, pur volando insieme fino a pochi secondi prima, siamo finiti in due vallate diverse. Alla fine, superato lo spavento e in un modo più o meno avventuroso, usciti dalle nubi, tutti i velivoli della mia squadriglia riescono, uno alla volta, a ricongiungersi e trovare la via per Roma. Solo Romandini tornerà in treno a Gorizia. Il 28 marzo, la nostra esibizione a Roma con i CR 32 consegnatici da pochi mesi, ottiene un grande successo. Grazie ad un programma di figure acrobatiche con due formazioni di cinque velivoli. Oltre a Mussolini sono presenti il Duca d’Aosta, il Primo Ministro ungherese, il corpo diplomatico accreditato, autorità civili e militari ed un folto pubblico.

L’incidente di Ciccillo 
Il territorio circostante l’aeroporto è costituito da campagna o dai rilievi del Carso verso Sud  e l’abitato di Gorizia, una cittadina di circa 30 mila abitanti, interessa un’area molto ridotta e per gli aerei del 4° e 21° Stormo non ci sono zone interdette al volo. I pochi contadini ed i cittadini goriziani sono abituati alla presenza degli aerei e spesso assistono con interesse ai voli a bassa quota o alle esibizioni. Non tutti i voli a bassa quota sono previsti ed autorizzati ma più spesso sono iniziative personali rischiose e l’incauto pilota può essere individuato dai carabinieri che trasmettono il nominativo del velivolo al Comando d’aeroporto. Capitava non di rado di poter assistere dalla Piazza della Vittoria, alle acrobazie di un CR Asso o anche di una pattuglia che assordava la tranquilla cittadina quando il regime dei motori era al massimo. Un incidente conclusosi felicemente accade nell’aprile 1936 ad un giovane Sottufficiale pilota di origini napoletane, il serg. Luigi Iaccarino, soprannominato Ciccillo. Da poco allo Stormo, Ciccillo, a bordo di un CR Asso, nell’effettuare un tonneau impostato male, finisce in “posizione inusuale” e, non sapendone uscire, sceglie di lanciarsi con il paracadute. Tocca terra nei pressi dell’Isonzo e l’aereo va a schiantarsi sopra un casolare della periferia. Il Duca d’Aosta, venuto a conoscenza dell’insolito incidente, un aereo perfettamente funzionante andato distrutto, convoca Ciccillo e gli chiede spiegazioni. Quest’ultimo che sembra non rendersi conto della gravità dell’accaduto risponde con il tipico accento partenopeo “Altezza, ho preso paura e mi sono lanciato. La Fiat fà un aereo al giorno, mamma mia di Ciccillo ne ha fatto uno solo!”. Il 18 febbraio un altro incidente interessa un CR 20 Asso che finisce sul tetto della casa di Tommasi e Cernigoj in via Duca d’Aosta n.28. Il pilota atterra con il paracadute, presso l’incrocio tra via  Duca d’Aosta e via Trieste, sul tetto della panetteria Viatori.

La manifestazione a Budapest 
Dopo il successo della “4^ Giornata dell’Ala”, il Governo ungherese invita la Pattuglia Acrobatica del 4° Stormo ad esibirsi a Budapest. A partire dal 25 maggio, cominciamo ad allenarci quasi tutti i giorni per la manifestazione che si svolgerà il 14 giugno 1936. La pattuglia acrobatica è composta da due squadriglie di CR 32. La prima con il cap. Mario Viola (73^Sq), s.ten. Vittorio Pezzè (73^Sq), serg.m. Alberto Montanari (73^Sq), serg.m. Norino Renzi (73^Sq), serg.m. Ugo Corsi (90^Sq) e la seconda con il cap. Mario Rossi (91^Sq), ten. Ernesto Monico (84^Sq), serg.m. Raffaele Chianese (91^Sq), serg.m. Vittorio Romandini (91^Sq), serg.m. Alberto Carini (91^Sq). Gli allenamenti sono impegnativi, si cura molto la precisione delle manovre che durano mediamente 40 minuti e si svolgono in genere sull’aeroporto di Ronchi, dove non ci sono altri aerei attorno e si può “lavorare” tranquilli. L’11 giugno si parte da Gorizia e dopo 1 ora e 10 minuti siamo a Szombathely, sostiamo fino al giorno successivo e poi proseguiamo per Budapest, dove arriviamo dopo 40 minuti di volo. Il 13 giugno effettuiamo le prove sul campo di Matyasfold ed il giorno seguente ha luogo la manifestazione. Il successo è grande e l’accoglienza riservataci è eccezionale. Siamo ospitati in uno degli alberghi più lussuosi della città, i giorni successivi, un Ufficiale ungherese ci accompagna al monumento ai caduti per la Patria e l’Addetto Militare italiano a Budapest ci porta a visitare la nuova filiale della FIAT ed altri luoghi caratteristici della città. Alla sera siamo invitati a cena, ospiti del Governo ungherese, e ci vengono consegnati dei doni personali, un portasigarette d’argento che ancora conservo, con incisi il mio nome e la data della manifestazione. Il 18 giugno rientriamo a Gorizia facendo nuovamente scalo a Szombathely.

La consegna dei CR 32 all’Ungheria 
Il Governo ungherese, convinto della validità del CR 32, ordina un certo numero di esemplari ed effettuo un volo di consegna con la pattuglia incaricata del trasferimento. Decolliamo il 24 luglio 1936 da Gorizia con destinazione Szombathely, sorvoliamo la catena alpina, imbocchiamo la vallata austriaca ed improvvisamente la visibilità inizia a ridursi. Il cap. Rossi, che guida la formazione, invece di invertire la rotta, scende. La visibilità continua a diminuire e pure il tetto delle nubi si abbassa e ci costringe a volare raso terra. Improvvisamente sfioro una casa che mi passa a circa sette metri sulla mia sinistra ed alla stessa altezza. A questo punto decido di mollare gli altri, dò tutta manetta ed inizio una rapida salita dentro le nubi con il terrore di andare a sbattere da un momento all’altro contro le pareti di una montagna. Dopo un terribile minuto durante il quale credo di non aver respirato, foro le nubi e sono finalmente “fuori”. Sento il cuore pulsare veloce per lo scampato pericolo e non posso trattenere un’imprecazione “Sto capitano Rossi ce ne combina sempre una nuova! Per fortuna anche questa volta è finita!”. Passano non più di trenta secondi ed ecco, uno alla volta, schizzare dalla sommità delle nubi tutti gli altri velivoli. Ci riportiamo in formazione e proseguiamo per la nostra destinazione dove atterriamo dopo un’ora dal decollo. Un giorno il cap. Rossi viene richiamato a Campoformido e lascia Gorizia ed il 4° Stormo. A Campoformido ai primi voli in formazione, senza il provvidenziale aiuto dei gregari di Gorizia, viene “a galla” la verità. È una sorpresa per tutti, tanto più sapendo che il cap. Rossi comandava una Squadriglia Acrobatica. Da un collega di Campoformido vengo a sapere che alla domanda: “Chi ti ha insegnato a fare l’acrobazia?” il Capitano ha risposto candidamente “Chianese e Castelletti”. Per nostra fortuna sia io che Castelletti eravamo ben conosciuti sia a Gorizia che a Campoformido. Il cap. Rossi perirà durante il secondo conflitto mondiale in un incidente aereo occorso sullo Stromboli mentre rientrava in licenza dall’Africa con un volo di collegamento.

Una Missione Speciale 
Ai primi di agosto del 1936, tutto il personale di volo viene adunato davanti alla palazzina Comando. Il col. Retinò ha accanto il t.col. Moore ed inizia a parlarci delle crescenti tensioni internazionali e del ruolo dell’Italia e conclude chiedendo dei volontari per una “missione speciale” in un Paese straniero non specificato, della durata di “un mese” o poco più. Conclude con: “… chi si offre volontario per questa missione faccia un passo avanti”. Faccio un passo avanti e con me diversi colleghi fanno altrettanto. Fra il gruppo di volontari, solo alcuni vengono scelti, dovranno far parte delle prime due “spedizioni”. Sono tra i prescelti e con me c’è il s.ten. Giorgio Franceschi ed il serg. Manlio Vivarelli. Dobbiamo sbrigare alcune pratiche burocratiche e pochi giorni dopo, il 7 di agosto, si parte in treno da Gorizia. A Udine salgono altri piloti del 1° e 6° Stormo ed alcuni specialisti, la destinazione è La Spezia dove, senza dare troppo nell’occhio, veniamo imbarcati su una nave che ci sta attendendo. La missione deve rimanere segreta ed è composta dai piloti: s.ten. Dante Olivero (6° Stormo), s.ten. Adriano Mantelli (1° Stormo), s.ten. Giorgio Franceschi (4° Stormo), serg. Raffaele Chianese (4° Stormo), m.llo Bruno di Montegnacco (1° Stormo), serg. Gian Lino Baschirotto (1° Stormo), serg. Achille Buffali (6° Stormo), serg. Raul Galli (1° Stormo), serg. Manlio Vivarelli (4° Stormo) e dagli specialisti: Cresti, Brunetto, Gerbino Grego, Barzacchi. La “spedizione” è praticamente una Squadriglia al completo di uomini e materiali ed è posta sotto il comando del s.ten. Olivero. Solo a bordo ci viene ufficialmente comunicata la destinazione e lo scopo della missione. Il paese è la Spagna, dovremo sostenere gli insorti contro la Repubblica, guidati dal generale Francisco Franco. È previsto il nostro arruolamento nella Legione Straniera spagnola “El Tercio”, il Governo italiano non vuole che si sappia dell’aiuto agli insorti. Ci vengono date disposizioni che, in caso di cattura da parte del nemico, non dobbiamo rivelare l’appartenenza alla Regia Aeronautica e ci vengono consegnati passaporti con false generalità, il mio nuovo nome è “Giglio”. La nave sulla quale siamo imbarcati è una bananiera spagnola, l’Ebro, che viene reimmatricolata Aniene e sulla quale vengono imbarcati anche nove caccia CR 32, ricambi, armi, munizionamento, 5 carri leggeri Ansaldo CV35 e relativi equipaggi. Il 10 agosto, poco dopo aver lasciato La Spezia, riceviamo via radio l’ordine di interrompere il viaggio e dirigere su Cagliari dove veniamo fatti ancorare in rada, fuori del porto. Ai servizi segreti italiani erano giunte voci che l’equipaggio, di nazionalità spagnola, stava complottando per ammutinarsi e far attraccare la nave in un porto in mano ai Repubblicani, consegnandola con tutto il suo carico. Siamo tenuti all’oscuro di tutto, tuttavia abbiamo il sentore che qualcosa di strano stia accadendo. L’equipaggio è preso in consegna da agenti del SIM (Servizio Informazioni Militari), gli interrogatori e le indagini durano circa una settimana. Ci viene proibito di scendere dalla nave e trascorriamo il tempo tuffandoci dalla nave ed annoiandoci. Alla fine, dopo la sostituzione dell’equipaggio spagnolo, la nave riprende la rotta verso Gibilterra. Costeggiamo il Portogallo ed approdiamo a Vigo, in Galizia (Nord Ovest della Spagna), la notte tra il 26 e 27 agosto, dopo 20 interminabili giorni trascorsi senza mettere piede a terra. Il viaggio non è stato privo rischi e lo sappiamo solamente all’arrivo: nei pressi di Gibilterra, nella notte tra il 23 e il 24 agosto, siamo stati intercettati da una nave da guerra Repubblicana ma fortunatamente la nostra Marina aveva provveduto a farci scortare da un incrociatore che ha fatto desistere l’unità spagnola da eventuali tentativi di attacco. Quasi contemporaneamente a noi, il 5 agosto, sempre da La Spezia, ha lasciato il molo un’altra nave, l’Alicantino, poi reimmatricolata Nereide, con un’altra spedizione, una Squadriglia di dodici piloti ed altrettanti CR 32 al comando del cap. Vincenzo Dequal, del 1° Stormo, con destinazione Melilla, in Marocco, ove giungerà nella notte tra il 13 e 14 di agosto. In sieme a Dequal c’è il s.ten. Ernesto Monico (4° Stormo), s.ten. Victor Hugo Ceccherelli (1° Stormo), s.ten. Giuseppe Cenni (1° Stormo), serg. Giovanni B. Magistrini (1° Stormo), serg. Sirio Salvadori (4° Stormo), serg. Giuseppe Avvico (4° Stormo), serg. Guido Presel (6° Stormo), serg. Adamo Giuglietti (1° Stormo), serg. Vincenzo Patriarca (4° Stormo), serg. Bruno Castellani (6° Stormo), serg. Angelo Boetti (1° Stormo).

Lo sbarco a Vigo 
Nonostante la spedizione di Dequal parta poche ore prima di noi, raggiunge il Marocco dodici giorni prima del nostro sbarco a Vigo. Non ha dovuto risalire la costa atlantica del Portogallo e non ha subito il ritardo dovuto al cambio di equipaggio. La sera stessa del 14 agosto gli aerei di Dequal, caricati su autocarri, vengono trasportati all’interno dell’aeroporto di Nador ed il primo CR 32 assemblato vola il 17 agosto con ai comandi il s.ten. Victor Hugo Ceccherelli. Intanto il 27 agosto, a Vigo, terminate le operazioni di sbarco dell’Aniene, veniamo caricati insieme ai velivoli e tutto l’altro materiale su un treno antidiluviano che, viaggiando a poco più di dieci chilometri orari, ridiscende a Sud, lungo il confine con il Portogallo, con destinazione Caceres. Potevamo tranquillamente saltare giu dal treno, soddisfare le nostre necessità fisiologiche e risalire sull’ultimo vagone! Dalla base di Caceres, in Extremadura, la sera del 28 agosto veniamo trasferiti, a bordo di un trimotore Ju 52, a Sevilla – Tablada e ci ricongiungiamo con i colleghi dell’altra spedizione giunti da Nador, dove è stata costituita la 1^ Squadriglia, comandata dal ten. Dequal.

La morte di Monico 
Il 28 agosto, al s.ten. Ernesto Monico giunge l’ordine di trasferirsi, con il serg. Bruno Castellani, da Salamanca a Caceres, a disposizione del comando nazionalista. Nel tardo pomeriggio del 31 agosto, il comando dispone una missione ricognitiva delle basi aeree repubblicane madrilene. Monico e Castellani sorvolano a lungo la capitale ed i campi di Barajas, Alcalà de Henares, Getafe, Cuatro Vientos annotando quanto rilevato sulla consistenza ed attività delle basi sorvolate. Nel corso del rientro, vengono sorpresi ed abbattuti da quattro caccia avversari. Castellani, è costretto ad effettuare un atterraggio di fortuna e riesce a raggiungere le proprie linee. Monico ha il suo CR 32 incendiato e si deve lanciare. Catturato da miliziani, alla sua richiesta di esser messo in contatto con l’ambasciata, viene giustiziato. Dopo la conquista di Toledo, su segnalazione della popolazione locale, i suoi uccisori verranno fucilati da un Tabor, una unità militare marocchina. A Monico viene conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. I suoi compagni di Squadriglia per ricordarlo dipingono sulle fusoliere il motto “Monico Presente!”.

L’asso spagnolo Joaquin Garcia Morato 
Il cap. Joaquin Garcia Morato, famoso pilota spagnolo, è assegnato il 5 settembre alla 1^ Squadriglia. La sua conoscenza dell’orografia della Spagna sarà estremamente utile ai piloti italiani nei voli di ricognizione. Quando Morato giunge a Tablada e si presenta al Comandante della Squadriglia, diverrà noto un simpatico equivoco dovuto al nome di Dequal che in spagnolo vuol dire “di quale”. Dopo i convenevoli, Morato chiede al cap. Ruggero Bonomi: 
“Quien es el Comandante de la Primera Escuadrilla?” (Chi è il Comandante della 1^ squadriglia?) 
“Dequal” gli risponde Bonomi e Morato ripete: 
“de la Primera Escuadrilla” 
“Dequal !” ripete Bonomi 
“de la Primera Escuadrilla!” insiste Morato 
“Dequal” ripete per l’ennesima volta Bonomi 
Morato si volta perplesso verso il collega spagnolo, il quale chiarisce l’equivoco: 
“Dequal es el nombre del Comandante” 
Il tutto si conclude con una risata. Lo stesso giorno Morato chiede di provare un CR 32 e dopo un breve briefing sulle caratteristiche del velivolo e sul funzionamento degli impianti, avvia il motore e comincia a rullare. Si forma un gruppetto di curiosi e lo osserviamo decollare. Si allontana per un paio di minuti e poi ritorna sul campo, effettua un paio di virate, dei tonneau e dei looping con una disinvoltura che non sembra affatto un pilota al primo volo su un CR 32. Si allontana nuovamente ed infine punta sull’aeroporto per portarsi all’atterraggio. Si presenta a circa 200 mt di quota, molto vicino al campo, qualcuno tra noi istintivamente commenta “È troppo alto, non ce la può fare!”. In effetti, a quella distanza è troppo alto e se continua rischia di “toccare lungo” e finire fuori campo. Il CR 32 non è dotato di flaps e l’avvicinamento deve necessariamente avere una pendenza non troppo ripida. Qualche secondo dopo notiamo che Morato inclina il velivolo da un lato e porta il timone direzionale a fondo corsa dal lato opposto. La manovra, detta “scivolata” o “comandi incrociati”, è un volo “scoordinato” che aumenta di molto la resistenza all’aria ma richiede padronanza della macchina, soprattutto se eseguita a bassa velocità e a bassa quota. Subito dopo ripete la manovra dall’altro lato, perdendo rapidamente quota fino a terra e posando le ruote all’inizio del campo. È un’eloquente presentazione di un grande asso qual’era Morato. 
Sevilla – Tablada ed il primo incidente in territorio spagnolo 
A Sevilla gli Ufficiali vengono alloggiati nell’Hotel Cristina mentre noi, Sottufficiali, nell’Hotel Moderno. Sono due lussuosi alberghi dei quali purtroppo non possiamo godere appieno i comfort in quanto tutto il personale, piloti compresi, deve recarsi alle cinque del mattino in aeroporto per assemblare i velivoli per fare poi ritorno a notte inoltrata. Il mattino del 9 settembre, intorno alle 11.00, il serg. Achille Buffali ed io decolliamo con Morato capo pattuglia. La destinazione è Caceres, a sud-ovest di Madrid, dove eravamo giunti alcuni giorni prima con il treno da Vigo. Insieme a noi c’è anche la pattuglia di Dequal. Una terza pattuglia con i rimanenti piloti parte più tardi ai comandi di Mantelli. In totale nove velivoli per dare inizio alle missioni di protezione e cooperazione sul fronte di Oropesa – Talavera de la Reina. Poco dopo ci raggiunge il resto del personale di terra. Siamo da poco a Caceres che ci giunge la terribile notizia: alle ore 18.30 il ten. Olivero, durante un volo di prova di un velivolo, eseguendo un tonneau a pochi metri da terra, toccava con un’ala e si disintegrava nei pressi dell’aviorimessa. Dopo la scomparsa di Olivero, la 1^ e la 2^ Squadriglia della Cucaracha sono poste al comando del capitano Dequal. A Caceres iniziano i primi voli di guerra e vengo assegnato alla pattuglia del cap. Morato, quale gregario. Non si fa più distinzione tra 1^ e la 2^ Squadriglia e gli equipaggi sono misti. Avrò anche occasione di volare con famosi piloti spagnoli, il cap. Julio Salvador Diaz e il cap. Jesus Angel Salas Larrazabal. Questi piloti giungeranno ai vertici dell’Aviazione spagnola: Morato diverrà Capo delle Operazioni della Caccia mentre Salas, finita la guerra, assumerà l’incarico di Capo di  Stato Maggiore.

Il primo combattimento 
L’11 settembre, all’alba una pattuglia composta da Dequal, Avvico e Patriarca decolla per una “crociera di protezione” su Talavera attaccano tre Breguet. Dequal ne abbatte uno ed Avvico un altro. Patriarca abbatte invece un Nieuport. Poco dopo partiamo Morato, Buffali ed io. Giunti su Talavera scorgiamo tre bombardieri nemici Breguet, scortati da due caccia a sinistra e da altri due a destra. Buffali si impegna con i due di sinistra e ne abbatte uno. Morato ed io impegnamo i due caccia di destra. Morato si mette in coda ad uno e lo abbatte. Io inseguo l’altro e mi porto in coda e dopo alcune virate strette, faccio partire due raffiche ed alla seconda mi rendo conto di averlo colpito poichè vedo, tra il fumo delle traccianti, alcuni pezzi di lamiera staccarsi e del fumo bianco, forse vapori di benzina. Il velivolo precipita e non vedo il pilota uscire. Dopo la guerra saprò che era un inglese, si chiamava Cartwright. Un’altra pattuglia si alza in volo: Franceschi e Magistrini per la scorta ad uno Junkers. A una ventina di chilometri nell’interno del territorio nemico avvistano due Dewoitine e tre Nieuport che puntano verso lo Junkers. Franceschi impegna due Dewoitine e ne abbatte uno. Magistrini attacca i tre Nieuport, abbatte uno e pone in fuga gli altri due. Sette apparecchi abbattuti e uno probabile. Non è male! Il mattino del 16 settembre assieme a Mantelli e Franceschi decolliamo da Caceres diretti sul fronte. Improvvisamente compaiono tre caccia Dewoitine che volano con prua Sud Ovest e li ingaggiamo a Sud di Talavera nella zona in cui alcuni mesi prima era caduto Monico. Colpisco subito un Dewoitine e lo inseguo per alcuni secondi mentre precipita per accertarmi di averlo abbattuto. Quando lo abbandono al suo destino sono ad una quota molto più bassa e mentre mi appresto a risalire mi trovo inaspettatamente in coda ad un velivolo dipinto di rosso (che saprò successivamente essere un Miles M2H). Alla distanza di 100 metri sparo una breve raffica di circa una trentina di colpi nella sua direzione e per poco non colpisco Franceschi che improvvisamente mi taglia la rotta, forse anche lui inseguiva lo stesso velivolo. Rimango colpito dal fatto che il velivolo, in leggera discesa, non manovra per sfuggire e pertanto mi affianco a circa una decina di metri. È un monoplano ad ala bassa con due posti di pilotaggio in tandem. I piloti hanno la testa rivolta verso il cruscotto e sono immobili. L’aereo va aumentando il suo angolo di discesa. Realizzo solo allora che si tratta di un velivolo non armato, probabilmente civile e rammaricandomi di essere stato troppo tempestivo nell’aprire il fuoco, manovro per ricongiungermi alla mia pattuglia. Ritornato al campo stendo rapporto sul combattimento e tralascio l’episodio dell’aereo disarmato in quanto mi sembra sconveniente segnalarlo anche perchè non ho verificato che fine abbia fatto. Ne frattempo giungono dal fronte le segnalazioni degli abbattimenti rilevati dai nostri osservatori a terra che riportano anche un velivolo da ricognizione con due piloti a bordo abbattuto. Solamente dopo questa segnalazione mi rivolgo al Comandante Dequal e riferisco dell’episodio del velivolo rosso che prima aveva omesso. Lui non sente ragione, si rifiuta di assegnarmi l’abbattimento e lo accredita alla Squadriglia. Questo episodio mi lascerà a lungo amareggiato, non tanto per la mancata assegnazione dell’abbattimento quanto perchè dimostrava la poca fiducia di un comandante nei confronti di un suo subalterno, non contribuendo ad instaurare un buon rapporto proprio in momenti difficili come quelli da noi affrontati. Il pilota del Dewoitine che ho abbattuto si chiama Doherty e risulta sopravvissuto al combattimento. Durante questa missione Franceschi perderà l’orientamento e non rientrerà alla base.

Ad Avila con Julio Salvador Diaz 
Un giorno decollo in pattuglia di tre CR 32, Julio Salvador Diaz ed un altro pilota, non ricordo se Buffali o Avvico, con destinazione un aeroporto in quota, Avila. Durante la breve sosta ad Avila, incontro degli amici italiani che sono in compagnia di alcune ragazze spagnole. Ero già conosciuto nell’ambiente aeronautico per aver fatto parte della Pattuglia Acrobatica del 4° Stormo e mi chiedono di dare qualche dimostrazione della mia abilità. D’accordo con l’altro gregario, prima di ripartire da Avila, chiedo allo specialista di simulare qualche difficoltà alla messa in moto dell’aereo di Salvador in modo di avere a disposizione quattro o cinque minuti per effettuare quello che avevo in mente. Sull’aeroporto sono schierati gli aerei della caccia tedesca ed accanto i piloti attendono per osservare la partenza dei nostri CR 32, considerati aerei di eccezionali prestazioni. Decollo da solo e, staccate le ruote da terra, mantengo l’aereo parallelo al suolo per prendere velocità, cabro bruscamente, effettuo una virata “sfogata” ed inverto la prua di 180° picchiando e puntando contemporaneamente verso gli aerei tedeschi ed i loro i piloti che mi stanno osservando. Mantenendo sempre l’aereo ad un paio di metri da terra, con tutta manetta dentro, accelero alla massima velocità e, ad un centinaio di metri da loro, cabro nuovamente. Intendo effettuare un “Immelman” (un mezzo looping con mezzo tonneau alla sommità) ma quando sono in cima al mezzo looping, a testa in giù, mi rendo conto che la velocità è troppo bassa e che il mezzo tonneau verrebbe a “botte” (sprofondato), invece che in linea orizzontale. Decido allora di completare il looping, chiudendo il cerchio puntando il terreno ma, quando sono con il muso verticale e comincio a tirare, sento i comandi laschi e l’aereo che non risponde, vibra spanciando. Su un aeroporto come Avila, a 1150 metri di altitudine, questo comportamento del velivolo è normale a causa dell’aria rarefatta, ma non potevo saperlo. Mi sono cacciato in una situazione dalla quale in genere non si esce vivi. Fortunatamente ho la prontezza di spirito di non reagire in modo istintivo e allento i comandi di quel tanto da allargare il “raggio” del looping ed evitare che l’aereo stalli e poi, tirando più dolcemente possibile, ma non troppo, riesco a “chiudere” il looping e sfioro il terreno passando a poco più di tre metri, invece della trentina usuali. Continuo mettendo l’aereo a “coltello”, inclinato lateralmente di 90°, sfilando diritto e veloce davanti ai piloti tedeschi. Con la tremarella alle gambe e qualche goccia di sudore sulla fronte, circuito sull’aeroporto attendendo il decollo dell’aereo di Salvador e dell’altro gregario per poi rientrare tutti insieme alla base. A Caceres, Salvador che aveva assistito da terra a tutta la scena, spento il motore, si avvicina al mio aereo e mentre sono ancora intento a slacciare le bretelle, batte un paio di colpi con la mano sulla fusoliera: “Hola amigo, yo vi todo! A Avila usted ha tenido suerte. Ahora tienes que pagar de beber a todos!” (“Ehi amico, ho visto tutto! Ad Avila ti è andata bene. Devi pagare da bere a tutti!”). In effetti solo un “occhio esperto” come il suo poteva notare la difficoltà che avevo incontrato ed il rischio corso durante l’esecuzione di quella manovra. Tutto sommato è andata bene, me la sono cavata offrendo da bere a tutti.

In volo con Garcia Morato 
Uno dei problemi che abbiamo incontrato appena giunti in Spagna è la “navigazione”, cioè il potersi orientare e seguire una rotta prestabilita. A causa della fretta con cui è sono state organizzate inizialmente le OMS (Operazioni Militari Spagnole), non disponevamo di carte geografiche aeronautiche e le bussole erano installate solo su alcuni dei nostri CR 32. Orientarsi su un Paese così vasto ed a volte con pochi riferimenti al suolo, non è cosa facile. Volare in pattuglia con Morato vuol dire non avere il problema della navigazione, conosce alla perfezione il terreno che sorvoliamo e con il suo aiuto anche noi dopo un pò ci ambientiamo. Con lui effettuo diverse missioni di mitragliamento ed appoggio alla fanteria. Alcune di queste hanno come teatro le strade di Madrid, tagliata in due dal fronte. Per chi non ha molta familiarità con la città c’e il rischio di colpire le proprie truppe o i cittadini inermi. Morato in occasione del “briefing” prima di queste missioni è solito ricordare a Buffali ed a me che non dobbiamo sentirci obbligati a sparare sulla città dove corriamo questo rischio. Lui ha la famiglia, madre, sorella, parenti ed amici che vivono a Madrid e queste missioni sulla sua città non le fa certamente a cuor leggero. Morato è un pilota dalle doti eccezionali. Durante le missioni effettuate insieme a lui, un pilota repubblicano era solito attenderci in prossimità della nostra base, quando oramai con poco carburante a bordo, ci accingevamo al rientro e quindi più vulnerabili. Ci piombava addosso come un falco, sparava una raffica e si allontava velocemente. Per un paio di volte Morato, terminata la missione, con un cenno ci fa rientrare mentre lui, riducendo la velocità al minimo e quasi galleggiando in aria per aumentare l’autonomia, rimane lì per far da esca. Attende così l’aereo solitario che sbuca dall’alto, con il sole alle spalle, attratto da una “preda” così vulnerabile. Morato, poco prima che l’aereo avversario inizi a sparare, con perfetta sincronia ed una brusca “spedalata” vira rapidamente di 180 gradi, cabra verso l’avversario e, manovrando con grande abilità, a velocità prossime allo stallo, muso contro muso, lo collima e fa partire una breve raffica. Al terzo agguato la raffica di Morato centra l’aereo nemico e da quel giorno la nostra squadriglia non avrà più sorprese. Solo la perfetta padronanza del velivolo alle basse velocità e la destrezza di Morato avevano permesso un’abbattimento con una manovra non prevista da alcun “manuale”. L’aereo abbattuto, un Loire 46, cade tra le linee repubblicane e quelle nazionaliste nei pressi di Valmojado (Toledo). Morato ordina un “blitz” per catturare i resti del velivolo che viene trasportato a Sevilla per studiarne le caratteristiche costruttive ed aerodinamiche. Quando il velivolo giunge a Sevilla a bordo di un autocarro, insieme ad alcuni colleghi e specialisti andiamo a vedere da vicino il relitto.

Il doppio tonneau in candela 
Fra Dequal e Morato nasce una una profonda e fraterna amicizia ed una sera, ad una cena di squadriglia siamo seduti di fronte. Morato ad un certo punto chiede a Dequal un chiarimento su una manovra acrobatica che ero solito eseguire al ritorno dalle missioni. Quando, al rientro, volavamo rilassati, ma non troppo, sul territorio amico, poco prima dell’atterraggio, mi “sfilavo” dalla formazione, “affondavo” con tutto motore “dentro” per prendere la massima velocità e poi cabravo in candela effettuando due tonneau veloci di fila, raddrizzavo e sempre a tutta manetta andavo a ricongiungermi con gli altri due. Morato, da buon cacciatore volava sempre con la testa voltata indietro e non gli erano sfuggite le mie improvvisate manovre ed ora sarebbe curioso di sapere come riuscivo a compiere quei due tonneau. Lui aveva provato più volte la stessa manovra, anch’io me ne ero accorto, ma dopo un tonneau e mezzo andava in perdita di velocità, stallando. Dequal gli risponde: “Chianese è qui, chiediamolo a lui” e mi gira la domanda. Preso alla sprovvista, non sapendo effettivamente dare una risposta tecnica esauriente, rispondo imbarazzato ed in modo poco chiaro, dando l’impressione di non voler confidare un mio segreto: “Lo vede pure come faccio!” rispondo. La mia risposta è un pò scortese ed in seguito me ne pentirò. La realtà è che neanche io conosco il motivo per il quale la manovra mi riesce. Solo qualche anno più tardi realizzerò che nei tonneau in salita usavo solo gli alettoni mentre i colleghi “lavoravano” molto col timone di direzione. Il CR 32, nonostante in quegli anni fosse considerato un caccia di primordine, non disponeva di una potenza tale da non risentire dell’aumento di resistenza aerodinamica dovuto all’uso del timone di direzione e di conseguenza si aveva una perdita di velocità. Allora noi piloti conoscevamo ben poco di aerodinamica e l’istinto era essenziale per acquisire padronanza del mezzo e ottenere le massime prestazioni. Finita la guerra, Morato morirà proprio effettuando un tonneau a bassa quota, mentre si girava un film sull’Aviazione Legionaria. Poco prima dell’incidente è riuscito a completare le sue memorie, “Guerra en el aire”. Leggendole, molti anni dopo, sono rimasto colpito dal fatto che non menzioni mai i piloti italiani, nonostante che l’intervento dell’Aviazione Legionaria sia stato decisivo per l’esito della guerra. Si è dimenticato di aver volato sui CR 32, “forniti e riforniti” dagli italiani, a fianco di piloti italiani, diversi dei quali hanno perso la vita per la Spagna. C’era la volontà, forse imposta, di far credere che la guerra sia stata vinta solamente per merito dei nazionalisti spagnoli del gen. Francisco Franco. Nel libro sono elencati anche tutti i voli di Morato, in diversi di essi sono stato il suo gregario ed ho cercato di ricordarli confrontandoli con il mio libretto di volo. Non è stato facile poichè i miei dati sono a volte incompleti, non sono riportati l’ora del decollo e atterraggio di alcune missioni ma solamente il tempo di volo. Sul mio libretto addirittura, per tutto il mese di ottobre sono indicate le missioni ma non il giorno in cui sono state effettuate. Non ricordo e non ne capisco il motivo.

A Talavera de la Reina 
Seguendo l’avanzare del fronte, le basi di partenza dei nostri CR 32 vengono spostate il 21 settembre a Talavera de la Reina – Gamonal, un’ampia superfice pianeggiante e polverosa dove sono allestite in tempi brevi delle strisce per i decolli ed atterraggi ed il minimo essenziale di infrastrutture logistiche. Alla nostra Squadriglia viene assegnato il nome “Cucaracha” ed il nostro emblema è uno scarafaggio che suona un sassofono. Viene dipinto sulle fusoliere dei nostri velivoli. Intanto le azioni si susseguono giorno dopo giorno, crociere protezione fronte, partenze su allarme, scorte ai bombardieri, vigilanza campo. Oramai ci siamo familiarizzati con il territorio e riconosciamo molti dei paesi spagnoli che sorvoliamo, Novalperal, Talavera, Cadice, Aguires, Toledo, Chapineria, Aranjuez, Valmojado, Valcarnero, Illescas, S.Martire, Escorial, Navalcarnero, Torrijos, Getafe, Cuatro Vientos. Alcune scorte agli aerei tedeschi da trasporto truppe, gli Junkers, le effettuo in pattuglia con Mantelli. È un pilota che si è formato da giovane con il volo a vela e questa sua passione non lo abbandonerà per tutta la vita. Il volo con l’aliante gli ha conferito una sensibilità che sommata al suo talento, farà di lui uno dei miglior piloti da caccia. Nel Circolo per il Volo a Vela da lui costituito prima di entrare nella Regia Aeronautica, c’è un altro giovane, Giuseppe Cenni. Il caso vorrà che si troveranno insieme al 1° Stormo ed in Spagna. Un’amicizia fraterna unirà i due fino alla scomparsa di quest’ultimo avvenuta durante il secondo conflitto mondiale. L’eccessiva lentezza degli aerei tedeschi è un problema fastidioso e non indifferente per i nostri più veloci CR 32. In un paio di missioni incontriamo ed ingaggiamo alcuni Potez, bombardieri bimotori veloci che “incassano” molto bene. Quando vengono attaccati si mettono in leggera picchiata e retraggono le torrette con le mitragliatrici. In un combattimento quattro nostri CR 32 scaricano tutte le munizioni su un Potez alla distanza di 200 metri. Le mitragliatrici da 7.7 mm hanno la massima efficacia a circa 70 mt ma comunque il Potez incassa tutti i colpi e riesce ad atterrare con un motorista ferito ai comandi ed il resto dell’equipaggio colpito a morte.

L’attacco del 1° novembre all’aeroporto di Talavera 
Il 1° novembre al primo mattino piombano sul nostro campo 3 Tupolev SB-2 “Katiuska” , soprannominati “Martin Bomber”. Mi trovo in volo con la pattuglia che effettua la “Vigilanza Campo”, ci mettiamo al loro inseguimento ma, avendoli avvistati troppo tardi, non riusciamo ad ingaggiarli. Le bombe dei SB-2 ci provocano danni e vittime. Sei CR 32 risultano danneggiati non gravemente e potranno essere riparati. Tre soldati spagnoli di guardia sul campo vengono uccisi e nove feriti. Rimangono feriti leggermente anche Vivarelli e il motorista Sirchia. Alcuni specialisti, nonostante le bombe siano cadute molto vicine, si salvano con un gran spavento. Il campo comincia ad essere soggetto a frequenti attacchi nemici e si sta parlando di un prossimo trasferimento su un aeroporto meno vulnerabile, a Torrjos, più vicino al fronte e dove si sta già’ approntando una pista improvvisata in mezzo ad una piantagione di ulivi che può essere utilizzata per il decentramento dei velivoli.

L’incidente di Vivarelli 
Il giorno successivo, il 2 novembre, un bombardiere “Martin Bomber”, che sorvola il nostro campo di Talavera, viene colpito da Mantelli e Sozzi. L’equipaggio si lancia ma i paracadute si rompono per l’eccessiva velocità. Più tardi un grave incidente funesta la nostra base. Sto riposando dentro il ricovero quando improvvisamente sento una forte detonazione, afferro la mia macchina fotografica, una KodaK 3×4 e corro fuori. A circa 200 metri vedo una colonna di fumo e gente che corre ma non capisco cos’è successo. Scatto una foto verso le le fiamme che ora si alzano alte. Si presume che Vivarelli, mentre si apprestava a salire su un CR 32, abbia urtato la leva di sgancio degli spezzoni, procurando la caduta di uno di essi con la conseguente esplosione. Non si sa perchè gli spezzoni si trovassero a bordo. L’apparecchio si è incendiato e Vivarelli, gravemente ferito, viene trasportato all’ospedale ove poco dopo muore. Rimangono seriamente feriti il serg. Silvio Salvadori, il motorista Mondini e l’armiere Palmerina. Salvadori si è ustionato nell’estrarre dalle fiamme il Vivarelli.

Torrijos 
Il 3 novembre ci trasferiamo a Torrijos poichè Talavera è sottoposta a frequenti attacchi nemici. A Torrijos la pista ed i CR 32 sono così ben mimetizzati tra gli ulivi che i repubblicani non riescono ad individuarci nonostante questo aeroporto di fortuna rappresenti per loro una spina nel fianco. Su Torrijos decolliamo ed atterriamo da una stretta e corta striscia d’erba ricavata tra i campi arati dai contadini. Non ci sono hangar od altre costruzioni ed i velivoli vengono parcheggiati e riforniti sotto le basse piante di ulivi mentre il comando è mimetizzato sotto un enorme albero. Grazie a questi accorgimenti il campo non verrà mai localizzato dai repubblicani, nonostante più volte ci volino sopra. Successivamente, essendosi verificati alcuni incidenti in atterraggio dovuti alle ridotte dimensioni della pista, viene costruita una seconda, più lunga. Insieme agli specialisti soffriamo il disagio dovuto alla mancanza di infrastrutture che ci costringe a vivere all’aperto.

L’abbattimento di Maccagno 
Il 4 novembre, la squadriglia da caccia sovietica alla sua prima missione, consegue tre vittorie abbattendo i caccia pilotati dal cap. Vincenzo Dequal e dal serg. Giovanni Magistrini ed un trimotore tedesco Ju 52/3. Magistrini cade nelle nostre linee gravemente ferito e muore poco dopo. Dequal si lancia col paracadute e rientra leggermente ferito. Al posto di Dequal il magg. Tarcisio Fagnani, Comandante della caccia del Tercio, decide di inviare il giorno successivo, il 5 novembre, in zona operativa la squadriglia del cap. Alberto Maccagno, composta da nove CR 32 condotti da piloti esperti e da alcuni della 3^ spedizione, alla loro prima missione.  Maccagno proviene dai bombardieri ed è alla sua prima missione, Fagnani gli assegna come sezionari della sua pattuglia due Sottufficiali esperti, Avvico ed il sottoscritto. Dobbiamo effettuare una crociera di protezione alle truppe sul fronte di Getafe, alla periferia di Madrid. Maccagno, guida la formazione, Avvico ed io gli voliamo accanto. Improvvisamente notiamo che dal basso stanno salendo minacciosi una quindicina dei nuovi e temuti caccia Polikarpov I-15 soprannominati “Chato” dai repubblicani e “Curtiss” dai nazionalisti. Avvico ed io tentiamo di richiamare l’attenzione del Comandante facendo oscillare ripetutamente le ali ma questi continua a non capire e guardare avanti invece che in basso. I velivoli nemici cominciano ad essere pericolosamente vicini ed a questo punto abbandoniamo il Comandante alla sua sorte per evitare di essere facile bersaglio dei Polikarpov e cabriamo bruscamente puntando il sole per sottrarci e renderci meno visibili agli attaccanti. Nel frattempo uno di loro mi si è già avvicinato pericolosamente e pertanto effettuo una stretta virata in salita e riesco a portarmi di fianco e più indietro, lo collimo puntando le armi più avanti, sul suo “punto futuro”, e lo colpisco alla prima raffica. Il velivolo ruota sull’asse longitudinale, abbassa il muso e comincia a perdere quota. Lo inseguo, com’è prassi in questi casi, per circa 2000 metri per accertarmi che non sia una manovra elusiva ed alla fine lo abbandono al suo destino. Mi trovo così troppo basso e troppo vulnerabile per riprendere il combattimento e decido di rientrare alla base. Maccagno nel frattempo viene sorpreso da alcune raffiche sparate dal basso che gli centrano l’aereo e lo feriscono ad una gamba. Il suo CR 32 precipita in fiamme e, nonostante la seria ferita riesce a lanciarsi col paracadute. Mentre sta scendendo sulla città, viene investito anche dalle raffiche di due caccia nemici. Tocca  terra vivo ma ferito da una pallottola che gli ha strappato quasi completamente il piede destro. Viene circondato da una turba minacciosa ma l’intervento provvidenziale di alcuni miliziani della XI^ Brigata internazionale lo sottraggono ad un probabile linciaggio. Ricoverato in ospedale a Madrid, i sanitari intervengono amputandogli l’arto. Maccagno è l’unica perdita legionaria di questo giorno. Al rientro vi è un certo imbarazzo nello stilare i rapporti sul combattimento che è costato la perdita del Comandante di Squadriglia Maccagno, anche perché in due giorni ne sono stati abbattuti due! Il 15 novembre, insieme ad un gruppo di venti CR 32 eseguo una scorta a due formazioni di Junkers in azioni di bombardamento sulle fortificazioni di Madrid. Durante la scorta alcune pattuglie di Polikarpov I-15, ci attaccano. Riesco ad agganciarne uno e dopo alcuni minuti di inseguimento lo colpisco e lo abbatto. Rientro alla base stanco, il volo di scorta ed il combattimento mi hanno fatto stare per aria per due ore, in condizioni non certamente confortevoli. Il mattino del 19 novembre, partiamo per una scorta agli Junkers che si accingono a bombardare Madrid. Volando ad una quota più alta dei bombardieri, giungiamo sulla capitale e assistiamo al bombardamento. Dopo pochi minuti la città è totalmente coperta da un denso fumo nero e poco dopo veniamo attaccati dai caccia nemici, il combattimento che ne segue è violento. Nello scontro riusciamo ad abbattere un Polikarpov I-15 e due Polikarpov I-16 “Rata” mentre altri quattro velivoli sono visti precipitare ma l’abbattimento sarà confermato solo per uno di essi. Tutti i bombardieri ed i CR 32 ritornano indenni alla loro base.

Il velivolo “personale” del tenente Larsimont 
Il 20 novembre sull’aeroporto di Torrijos – Barcience c’è una partenza su allarme, corro insieme agli altri verso i decentramenti, sotto gli ulivi e gli eucalipti, dove sono parcheggiati i CR 32. Il mio caccia è attorniato dagli specialisti, deve essere ancora completato il rifornimento del carburante e delle munizioni, servono ancora diversi minuti prima che sia in grado di partire. L’aereo accanto è invece pronto e l’armiere, caricati i nastri delle mitragliere, sta chiudendo i portelli ma non c’è nessun pilota vicino. Non molto lontano il Comandante di Squadriglia, il cap. Guido Nobili, sta impartendo le ultime disposizioni per la partenza. Corro verso di lui e gli chiedo l’autorizzazione a prendere il velivolo già’ pronto. I motoristi capiscono al volo e prima che salga a bordo hanno già’ avviato il motore che per fortuna è già caldo. Mi allaccio il paracadute e mi imbrago velocemente ed in breve sono in volo con il resto della pattuglia. Sono trascorsi pochi minuti quando comincio a notare un rivolo d’olio sul parabrezza che si va allargando fino a togliermi completamente la visuale sul vetro anteriore. Si è rotto un manicotto dell’olio e rischio da un momento all’altro lo spegnimento del motore. Con mio disappunto mi vedo costretto a rientrare e, oscillando le ali, lo segnalo al capo pattuglia. Abbandono la formazione e mentre sono sulla rotta di ritorno tengo sott’occhio la pressione e la temperatura dell’olio, sperando che il motore non mi abbandoni proprio a pochi minuti dal campo. Davanti la visuale esterna è nulla e sono costretto a volare virando continuamente a destra ed a sinistra. Fortunatamente ho dimestichezza con l’orografia del luogo e trovo la strada per rientrare a Torrijos. Anche in finale debbo effettuare continue virate, sporgermi dall’obitacolo non serve, l’olio mi sporca il casco e gli occhiali, peggiorando la situazione. La pista di Barcience è una striscia in mezzo ai campi e maledettamente stretta e corta. Tocco terra bruscamente, guardando la pista di lato. Quando la velocità è ridotta, finisco con la ruota dal lato opposto a dove guardavo, fuori dalla pista, nel terreno molle. La ruota sprofonda, l’aereo imbarda ma riesco a controllarlo, non ci sono danni al velivolo ma il fango copre vistosamente il semicarrello e la parte inferiore dell’ala. È andata bene, se la velocità fosse stata più alta, rischiavo una capottata. Il ten. Antonio Larsimont, cui era stato assegnato il velivolo, assiste al mio rientro e appena scendo dall’aereo mi viene incontro. Penso che voglia complimentarsi per la riuscita manovra ed invece mi dà una solenne inquadrata “Chi l’ha autorizzato a prendere il mio velivolo? Me l’ha pure scassato!” inveisce indicando con il braccio il fango sul carrello “Il mio velivolo non era pronto, l’unico aereo disponibile era il suo e comunque sono stato autorizzato dal Comandante Nobili, glielo chieda!” rispondo. Larsimont non vuol sentire ragioni e rincara la dose davanti agli specialisti che assistono ammutoliti alla scenata. Ritenendo che abbia superato ogni limite, con tono duro gli rammento che quando era un pivellino appena giunto a Gorizia, era stato mio allievo “… si ricordi che le ho insegnato io a volare!” concludo e mi allontano. La mia frase deve averlo indubbiamente ferito e non me la perdona ed inoltra rapporto al Comandante di Gruppo, il magg. Tarcisio Fagnani. Il Comandante di Gruppo mi convoca e, pur riconoscendo le mie buone ragioni, mi infligge quindici giorni di rigore per aver tenuto un atteggiamento irrispettoso nei confronti di un superiore. Gli arresti sono puramente formali e non mi esentano dalle missioni ma accetto il provvedimento che ritengo ingiusto e marco visita dandomi ammalato. Fagnani mi trasferisce al campo di Talavera de la Reina dove, senza nulla obiettare ed improvvisamente guarito, riprendo le missioni di guerra. Non vedrò più Larsimont ed è stato meglio così poichè non gli ho mai perdonato questo suo comportamento. Morirà il 26 giugno 1942 a Sidi-el-Barrani, in Africa Settentrionale, nel corso di un bombardamento del campo da parte dell’Aviazione inglese.

Di nuovo a Talavera 
Il 1° dicembre 1936, verso le 15.30, al campo di Talavera de la Reina, vengono segnalati movimenti di reparti della fanteria nemica in avanzata a una quindicina di chilometri a sud dell’aeroporto, nei pressi di San Bartolomè de las Abiertas e La Pueblanueva. Al fine di prevenire eventuali incursioni al campo, insieme al serg. Gian Lino Baschirotto parto su allarme per una ricognizione offensiva sulla zona segnalata. Con Baschirotto mi sto sistemando velocemente la combinazione di volo ed il paracadute e gli avieri, che stavano rifornendo il velivolo, debbono bruscamente interrompere le operazioni e ciò provoca un’abbondante fuoruscita di carburante che dall’ala superiore finisce nel posto di pilotaggio e nella fusoliera. Durante il rullaggio ed il decollo sono costretto a tenere la testa spostata verso l’esterno a causa dei vapori di benzina che vengono esalati dalla fusoliera. Dopo il decollo ci mettiamo in coppia e ci dirigiamo verso la zona segnalata. I vapori saturi di benzina non si sono ancora dissolti e l’aria all’interno dell’abitacolo è irrespirabile, sono sempre costretto a sporgermi per prendere una boccata d’aria. Dopo alcuni minuti di volo avvistiamo un gruppo di una mezza dozzina di militari repubblicani nei pressi di una piccola casa di campagna isolata. Con una virata in discesa ci abbassiamo e ci distanziamo portandoci in fila indiana per predisporci all’attacco. Io sono il primo e ad una quota di circa 50 metri, apro il fuoco con una sola delle due mitragliatrici contro il gruppo di soldati che corre verso la casa per ripararsi. Mentre l’aereo è scosso dai colpi esplosi, noto del fumo chiaro provenire dall’interno della fusoliera in corrispondenza del vano ove sono installate le mitragliatrici e penso che ciò sia dovuto all’eccessivo ingrassagio dei nastri sui quali sono fissati i proiettili, accorgimento adottato dai nostri armieri per ridurre il rischio di inceppamenti. I militari cercano scampo rifugiandosi all’interno della casa colonica. Ci predisponiamo per un secondo passaggio, armo anche la seconda mitragliatrice e collimo le armi su una finestra. Una frazione di secondo dopo aver aperto il fuoco si innesca all’interno della fusoliera un incendio, il fumo che vedevo erano vapori di benzina! Le fiamme si incurvano sopra la mia testa riparata dal casco e dagli occhialoni e vengono risucchiate verso l’alto dal flusso d’aria accelerato dal parabrezza, investendomi ed avvolgendomi completamente. Sono attimi tremendi nei quali mi sento perduto. Penso per un attimo di farla finita schiantandomi al suolo con una spinta in avanti della cloche, sono su territorio nemico e non voglio cadere prigioniero! Essere catturati vuol dire andare incontro probabilmente alle torture ed alla fucilazione ma ho come un presentimento e decido di tentare. Sopporto il calore, cabro violentemente per raggiungere una quota di almeno 150 metri, rovescio il velivolo, mi slaccio le cinture e lo abbandono. Avevo già agganciato alla carlinga la fune di vincolo che provvede a comandare l’apertura del paracadute appena fuori dal velivolo. La discesa è brevissima, il paracadute si apre completamente a 50 mt da terra. Il contatto con il suolo è brusco, mi libero dal paracadute e mi allontano dirigendomi verso un piccolo corso d’acqua delimitato da un crepaccio profondo due, tre metri. Mentre sto correndo i militari, da una distanza di circa 300 metri, mi fanno bersaglio con numerosi colpi di fucile, i proiettili sibilano sopra la mia testa senza colpirmi. Cerco un nascondiglio che possa darmi riparo e mi butto a tuffo dentro una piccola cengia formata dall’ansa di un torrente e batto il capo contro l’unico spuntone di roccia lungo un metro sporgente dal terreno ma non sento alcun dolore. Ho il cuore in gola, corro nel letto del torrente e mi rannicchio in una fessura scavata dalle piene sotto le pareti verticali di terra morbida che mi fa da tetto e mi ripara dalla vista degli inseguitori. Spero fino all’ultimo in un intervento del CR 32 di Baschirotto che, mitragliandoli, sarebbe in grado di tenere a bada gli spagnoli che mi inseguono, permettendomi di raggiungere le nostre linee distanti non più di una decina di chilometri. Sul terreno che abbiamo appena sorvolato non abbiamo avvistato forze nemiche e in meno di un’ora sarei al sicuro. Con mio disappunto vedo invece che Baschirotto, un pilota giovane ed inesperto, mi abbandona a me stesso e rientra al campo per dare l’allarme. Dopo alcuni minuti i militari che poco prima ho mitragliato sono arrivati al letto del torrente e cominciano a perlustrarlo. Mi sono vicini, non mi vedono ma hanno capito che debbo essere li intorno e gridano “Vienes afuera hombre, no te disparamos!”. La ricerca è breve, uno di loro intravede le mie scarpe che sporgono dalla buca, troppo piccola per contenermi, e mi catturano. Vengo trattenuto da due uomini, mi tolgono la pistola e sono spogliato di ogni effetto personale, subito dopo un miliziano mi si avvicina imprecando ed alza il calcio del fucile per assestarmi un colpo alla testa che sicuramente mi avrebbe ucciso. Un Ufficiale prontamente devia il colpo afferrando il braccio del soldato e gli intima di non toccarmi. Comprendo, con il mio scarso spagnolo, che debbo essere interrogato dai servizi segreti e sono più utile da vivo. I repubblicani non sono molto teneri con i prigionieri e se vengo risparmiato, almeno per il momento, è perché il mio mitragliamento non ha fatto vittime. Puntandomi le armi ed a spintoni mi costringono a dirigere verso la casa colonica che è servita loro da rifugio, mentre due dei miliziani si danno da fare per coprire i resti del mio aereo con ramaglie e nasconderlo alla vista di eventuali ricognitori.

Il tentativo di soccorso del cap. Carlos Haya Gonzales 
Dopo circa trenta minuti, da Gamonal viene inviato in mio soccorso un velivolo da trasporto americano, un Douglas DC 2, pilotato dal cap. Carlos Haya Gonzales, con a bordo una decina di soldati armati incaricati di tentare di recuperarmi. L’aereo effettua tre voli di ricognizione di una ventina di minuti sorvolando la zona intorno a San Bartolomè de las Abiertas e La Pueblanueva, dove si presume che mi sia lanciato. Nel suo primo volo il DC 2 individua la casa colonica dove i soldati repubblicani mi trattengono in attesa di un mezzo militare per portarmi via e ci sorvola ad una decina di metri. Due miliziani prontamente mi puntano il fucile e mi fanno accostare ad un muro, non è il caso di tentare di attirare l’attenzione dell’aereo! Dopo altri due voli di ricognizione senza successo, il cap. Carlos Haya Gonzales rinuncia alla ricerca. Il giorno successivo, il 2 dicembre, verrà’ inviato anche un aereo biposto Ro 37 che sfortunatamente subirà una “piantata di motore” e sarà costretto ad un atterraggio di emergenza in territorio nemico. L’aereo che volava ad una quota di circa 60-70 metri ha ancora le bombe a bordo che non fa in tempo a sganciare. Al posto dell’osservatore c’è un pilota, il ten. Ugo Di Marzio che, colto dal panico, si lancia col paracadute ma essendo troppo basso si schianta al suolo. Il pilota Mattis, si ferisce seriamente durante l’atterraggio e viene fatto prigioniero. Al Di Marzio verrà concessa la medaglia d’oro al Valor Militare. I tentativi per il mio recupero proseguiranno fino al 3 dicembre e poi saranno abbandonati.

La prigionia 
Arrivano intanto altri miliziani alla casa colonica, vengo caricato su un cavallo e, raggiunta una strada sterrata, un’auto militare mi attende per trasportarmi a Valencia. Durante il tragitto vengo fatto scendere a San Martín de Pusa ed interrogato in modo formale. Alcuni paesani al mio passaggio mi insultano gridando “Assassino, criminale!” ma altri poco dopo mi offrono pane e caffe’ che rifiuto, non mi fido ad accettare. Uno dei miliziano mi dice che la popolazione ha subito da poco un bombardamento degli Junkers e ci sono stati otto morti. Passando a Sud di Madrid, nei pressi di Toledo, vengo portato al Comando della 47^ “Brigada Mixta” inquadrata nella “9^ División”. E’ un edificio isolato e grande, all’interno c’e’ una scalinata in pietra alla sommità della quale vengo lasciato in un atrio, incustodito per circa un’ora. Ho il sospetto che si tratti di un tranello per indurmi alla fuga ed avere una giustificazione per uccidermi. Considerando che per raggiungere le linee amiche dovrei attraversare il fiume Tajo, desisto da ogni tentativo. Sono sottoposto all’interrogatorio del Comandante della Brigata, un capitano spagnolo di complemento che mi tratta prima con modi severi e poi diventa più cordiale al punto da confidarmi di essere nella vita civile un maestro di matematica a Talavera de la Reina ed amante dell’Italia. Alla fine mi accompagna dietro alla mensa Ufficiali e mi offre da mangiare e mi lascia  augurandomi buona fortuna. Questi spagnoli non finiscono mai di sorprendemi! Riprendo il viaggio verso Valencia ma durante il percorso una moto staffetta porta l’ordine di tornare indietro “… un Ufficiale russo vuole vedere ed interrogare il prigioniero”. Vengo nuovamente sottoposto ad un interrogatorio da un colonello russo con un comportamento e dai modi violenti. È presente all’interrogatorio pure un ufficiale pilota spagnolo che sembra interessarsi principalmente alla tattica di volo degli italiani ed ai nostri aerei che non alle informazioni di “intelligence”. Mi confida, senza farsi sentire dal russo, di non portar alcun rancore nei confronti dei colleghi piloti italiani.

A Valencia 
Nel frattempo il nostro Comando, che non si rassegna alla perdita di un pilota considerato un buon elemento, il giorno stesso invia dei velivoli che lanciano migliaia di volantini in territorio nemico con il messaggio in lingua spagnola “Se il pilota che è caduto entro le vostre linee col paracadute non verrà restituito sano e salvo prima delle dieci della sera di oggi, subirete le conseguenze di una punizione esemplare. Nel caso il pilota sia trasferito in altro luogo, possono venire due emissari a portarci le informazioni, in tal caso, sarà garantita la loro libertà. Talavera de la Reina, 3 dicembre 1936”. Arrivo a Valencia e vengo rinchiuso in una caserma adibita a campo di prigionia dove ci sono, oltre agli spagnoli, anche degli italiani. Si sparge subito la voce che un pilota italiano è stato catturato e la notizia desta interesse negli italiani delle Brigate Internazionali che passano per la caserma, centro di arruolamento dei volontari di varie nazioni accorsi in aiuto dei Repubblicani e che vengono a “farmi visita”. Diversi italiani mi insultano o tentano di colpirlmi ma le guardie spagnole si dimostrano sempre molto corrette ed intervengono per difendermi dalle angherie dei miei stessi connazionali. Alcuni militari spagnoli che frequentano la caserma, passando vicino alla mia cella, senza farsi scorgere, mi gettano invece cibo e sigarette. Un giorno il Comandante del battaglione Garibaldi della XII Brigata Internazionale, l’italiano Randolfo Pacciardi, si presenta alla caserma in divisa spagnola e si fa aprire la cella dalle guardie. Dopo un breve interrogatorio e saputo che sono napoletano, mi dice che dovrei vergognarmi, mi accusa di infangare il buon nome dei partenopei e mi schiaffeggia violentemente. Un giorno sono trasferito dalla mia cella in un locale più grande, adattato a prigione che, vengo a sapere, era in precedenza il Circolo Ufficiali della caserma. Ho come compagni di prigionia un maggiore e due sottotenenti dell’Esercito Italiano. I tre mi trattano con riguardo inusitato per essere un Sottufficiale e soltanto più avanti comprendo il motivo: tra il 10 ed il 14 marzo 1937, nel corso della campagna di Guadalajara, i tre Ufficiali fanno parte del Corpo Truppe Volontarie che si trovavano nella località chiamata “Bosco di Brihuega”, a circa 25 Km a nord di Guadalajara. Gli italiani avevano con loro diversi prigionieri repubblicani e quando si accorsero di essere circondati (subiranno una dura sconfitta) tentarono di rompere l’accerchiamento e per muoversi più agevolmente si liberarono dei prigionieri, trucidandoli. Non riuscirono nel loro intento e furono catturati dai repubblicani che, scoperto l’eccidio, cercarono di individuare i colpevoli e i tre militari erano tra i sospettati. Il mio improvviso arrivo nella loro cella li aveva convinti che fosse una mossa per introdurre tra di loro un agente informatore al servizio dei repubblicani.

La cattura di Cenni, Pesce e Bandini 
Dopo circa due mesi cade prigioniero e viene rinchiuso nella mia stessa caserma il serg. Mario Bandini, mio amico e collega del 4° Stormo, ma resterò all’oscuro della sua presenza per quasi tutta la prigionia. Il 29 dicembre 1936 da Sevilla parte una missione in aiuto degli assediati del Santuario de la Virgen de la Cabeza. La formazione comprende tre S81, tre Ro37 e nove CR 32 di scorta. Il Comandante della squadriglia dei nove CR 32 è Armando Francois. Gli altri piloti sono il ten. Giovanni Berretta, s.ten. Giuseppe Cenni, s.ten. Elio Pesce, serg. Mario Bandini, serg. Mario Bernocchi, serg. Giacomo Trombotto, serg. Luigi  Grimoldi, serg. Michelangelo Serafini. Dopo il decollo l’aereo di Francois ha un’avaria ed è costretto a rientrare a Tablada ed il comando della squadriglia dei CR 32 passa a Berretta. Le condizioni meteorologiche in rotta sono pessime ed i velivoli finiscono dentro i cumuli. In breve la formazione si rompe ed alcuni velivoli finiscono in vite. Trombotto impatta il terreno e muore nei pressi del Santuario in luogo inaccessibile.Il suo corpo verrà ritrovato diversi anni più tardi.  Grimoldi tenta un atterraggio di fortuna nel letto del fiume Jandula presso Andujar, entro le linee nazionaliste, ma capotta e muore nell’impatto. Bernocchi atterra sulla strada Madrid-Jaen e viene catturato. Pesce e Bandini effettuano un atterraggio di fortuna e vengono catturati a Elechal, nei pressi di Castuera. Cenni si lancia col paracadute e finisce nei pressi della palude di Guadamellato (nord di Cordoba) ma riesce a sfuggire agli inseguitori. Verrà catturato dopo tre giorni, tradito da alcuni contadini del posto che lo consegnano ai militari repubblicani. Bandini viene rinchiuso in una cella attigua alla mia ed un giorno una guardia gli descrive la mia fisionomia, sapeva che ero caduto prigioniero e intuisce che debba essere io il suo vicino di cella, tuttavia non fa nulla per mettersi in contatto per il timore di far trapelare la sua vera identità ai repubblicani.

Il Carcel Modelo 
In aprile del 1937, tutti i prigionieri vengono trasferiti al “Carcel Modelo” di Valencia, un vecchio convento adibito a carcere, dove le condizioni dei prigionieri sono migliori. Qui incontro finalmente Bandini ed i tre Ufficiali dell’Esercito che realizzano di aver preso un abbaglio, non posso essere un agente segreto ed il loro atteggiamento cambia completamente, fanno valere il loro grado e mi trattano con distacco. Intanto gira la voce che si sta lavorando per uno scambio di prigionieri, il maggiore dell’Esercito si dice sicuro che la scelta cadrà su di lui perchè più “importante”. Alcuni giorni più tardi viene in visita al Carcel Modelo una delegazione internazionale della Croce Rossa per constatare le condizioni di vita dei prigionieri. Veniamo radunati al centro del carcere, al cospetto della delegazione, accompagnata da uno stuolo di Ufficiali spagnoli. Ad un certo punto vedo un Ufficiale che lascia il gruppo e mi viene incontro, solo allora lo riconosco, è il capitano spagnolo, il professore di matematica che per primo mi aveva interrogato subito dopo la cattura. Incurante di cosa possano pensare i colleghi della delegazione, mi abbraccia e mi dice che è lieto di rivedermi vivo e che, finita la guerra, si augura di poter venire in Italia ed incontrarmi. Sono talmente sorpreso che non so cosa rispondere e ringrazio sorridendo. Il capitano è il nuovo Comandante del carcere e da quel giorno, durante le sue ispezioni, mi fa uscire dalla cella e mi vuole accanto a lui. Rientrato in Italia e terminata la guerra, ho tentato inutilmente di rintracciarlo, ho saputo solo recentemente, grazie ad alcuni amici spagnoli, che il suo nome è Manuel Machuca de Las Heras, Comandante delle Unità d’Informazione a Sud del Tajo. Prima della guerra era insegnante in Talavera de La Reina, ha anche comandato i “dinamiteros” in alcune azioni di attacco ai treni a Nord del Tajo.

La condanna a morte 
Poco dopo la nostra partenza con la nave da La Spezia, ci era stato detto che saremmo stati arruolati nella Legione Straniera con un nome di copertura da usarsi in caso di cattura da parte dei repubblicani. Mi sono sempre attenuto a tale disposizione per tutta la prigionia e solamente dopo il mio ritorno in Italia verrò a sapere che i miei compagni catturati avevano invece quasi tutti dato le loro reali generalità. Continuavo a dichiarare di chiamarmi “Giglio” e di essere appena giunto in Spagna, così facendo aggravavo la mia posizione senza saperlo. Quando eravamo a Caceres, durante le libere uscite, diversi piloti frequentavano le ragazze del posto, alcune delle quali molto carine, erano spie dei repubblicani e fornivano informazioni sulle nostre identità al servizio di spionaggio che pertanto conosceva i nostri nomi. In uno dei frequenti interrogatori cui ero sottoposto al “Carcel Modelo”, all’atto di sottoscrivere il verbale, distrattamente firmo con il mio vero nome. Il fatto di aver dichiarato il falso e di non aver “collaborato” è sufficiente per condannarmi a morte, senza processo e senza che ne fossi messo al corrente. Una sera chiedo una sigaretta ad una guardia carceraria che sta passando vicino alla finestra della mia cella e questa mi confida imbarazzata che il giorno dopo alle sei di mattina era “comandata di guardia”, nel linguaggio carcerario vuol dire che era stata fissata la mia esecuzione. Passo la notte insonne e poco prima delle sei sento la guardia avvicinarsi alla cella, gira la chiave nella toppa ma la porta non si apre. Sento che vengono aperte altre celle e diversi prigionieri spagnoli spinti fuori tra grida strazianti e fatti salire su un autocarro militare. Passano alcuni minuti terribili, convinto che le guardie tornino con la chiave giusta, ma nulla accade e l’autocarro parte con il carico umano. Dopo circa due ore il mezzo torna vuoto ed immagino che la guardia che aveva annunciato la mia esecuzione mi abbia giocato uno scherzo di cattivo gusto.

La liberazione 
Il 20 luglio 1937 vengo chiamato con gli altri tre piloti, Cenni, Pesce e Bandini con i quali ho condiviso i lunghi mesi trascorsi nel carcere. Le chiamate sono sempre motivo di apprensione ma questa volta un tenente spagnolo ci dice di raccogliere le nostre poche cose e ci conduce al porto di Valencia dove veniamo affidati ad un emissario della Croce Rossa Internazionale. Questo vuol dire la libertà!. Attendiamo per qualche ora in porto una telefonata che deve confermare il rilascio di altrettanti prigionieri repubblicani sul confine nord-ovest tra Spagna e Francia. Veniamo imbarcati su una nave ospedale britannica, il “Maine”, che si trova in porto ed ha destinazione Marsiglia. Dopo 11 mesi dallo sbarco a Vigo, dei quali otto trascorsi in prigionia, dopo 52 missioni di guerra e 65 ore di volo, con cinque abbattimenti “individuali”, dei quali uno non riconosciutomi da Dequal e quattro “collettivi”, lascio finalmente la Spagna. La nave che ha ritardato la partenza per attendere l’esito della trattativa, dopo una breve navigazione, approda a Marsiglia, dove ci riceve il magg. Tarcisio Fagnani che conosce tutti e quattro e può confermarne la nostra identità alle autorità italiane. Il maggiore è il Comandante di Squadriglia che a Torrijos mi ha punito per aver ribattuto alle accuse del ten. Larsimont che mi accusava di aver danneggiato il “suo” velivolo. A Marsiglia l’accoglienza è calorosa e festeggiamo la liberazione in un ristorante francese. Il viaggio continua per Roma dove il nostro gruppo di reduci viene ospitato nel sontuoso albergo “Azeglio”, vicino al Ministero dell’Aeronautica. Dopo un breve permesso per visitare la mia famiglia a Napoli e consegnare una lettera alla moglie del maggiore dell’Esercito che era sicuro di essere prescelto per lo scambio di prigionieri, resto a disposizione del Ministero dell’Aeronautica a Roma per gli interrogatori di rito. Prima di rientrare a Gorizia vengo ricevuto da Mussolini insieme a Cenni, Pesce e Bandini. Mussolini si congratula con tutti noi, ci consegna una foto con autografo e si rivolge al Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il generale Valle, dicendo di proporre noi quattro per la Medaglia d’Argento al Valore Militare. Diverso tempo dopo, Corsi, al rientro dalla sua prigionia in Spagna, mi consegna uno dei volantini che erano stati lanciati dopo la mia cattura e che aveva custodito con cura per tanti mesi. Mi racconta inoltre che un alto funzionario della Croce Rossa Internazionale gli aveva confidato di esser riuscito a salvare poche ore prima della fucilazione un certo Chianese, pilota della Cucaracha. Dopo lunghe trattative con la Croce Rossa, quattro piloti italiani, Cenni, Pesce, Bandini e Chianese erano stati scambiati con tre piloti repubblicani, Giuseppe Krizaj, Juan Olmos Genoves e Josè Bastida Porros.

Giuseppe Krizaj 
Nato a Capriva del Carso nel 1911 e trasferitosi ad Aidussina, oggi Ajdovscina in Slovenia, Giuseppe Krizaj è cittadino italiano di lingua slovena a 18 anni fa domanda di ammissione al corso per Sottufficiali Piloti della Regia Aeronautica. Superate le selezioni, il 4 dicembre 1929 viene ammesso alla “Scuola Specializzati A.A.”, il centro di addestramento per Allievi Piloti di Capua, dove ci incontriamo e conosciamo. Superiamo entrambi gli esami e subito dopo le nostre strade si separano, l’11 marzo 1930 Krizaj viene inviato alla Scuola Civile di Pilotaggio “Breda” di Sesto San Giovanni, consegue il brevetto di pilota ed il 30 luglio viene assegnato alla 2^ Squadriglia della Scuola Allenamento Caccia di Ghedi. Qui ci incontriamo nuovamente ed entrambi veniamo assegnati al 1° Stormo Caccia a Campoformido ma lui, poco dopo viene trasferito al 2° Stormo Caccia a Mirafiori e poi al 3° Stormo. Al termine dei 18 mesi di ferma obbligatoria, Krizaj fa domanda per essere riaffermato ma nell’agosto 1931 gli viene respinta. Le sue note caratteristiche riportano “ottimo pilota da caccia con punti volo 18/20 e esami teorici 13/20 …”, ma il Comandante del 3° stormo lo ritiene “non idoneo”. Molto probabilmente i Servizi Segreti avevano segnalato le sue frequentazioni ad Aidussina con cittadini sloveni irredentisti. La Regia Aeronautica, come prassi in questi casi, lo assegna alla “Riserva” e provvede a mantenere valido il suo brevetto facendosi carico delle spese per l’effettuazione delle ore minime di volo annuali, presso le sedi periferiche della RUNA (“Reale Unione Nazionale Aeronautica”, nuova denominazione dell’Aero Club d’Italia), Krizaj sceglie quella di Campoformido per praticare l’allenamento annuale con un AS 1, un aereo leggero di proprietà del sodalizio. Il 25 giugno 1932, Krizaj si impossessa di un AS 1 e fugge a Lubiana, in Jugoslavia, dove viene arrestato perchè sospettato di spionaggio. Dopo varie vicissitudini, allo scoppio della guerra civile spagnola, il 26 agosto 1936 parte per la Francia ed a Parigi con l’aiuto del giornale “Avanti” che gli ha rilasciato una lettera di raccomandazione per l’Ambasciata Spagnola, si arruola come volontario nelle file dei Repubblicani. Viene assegnato alla Squadriglia Espana ed effettua l’abilitazione sul Nieuport 52, un caccia adibito alla scorta dei bombardieri. Partecipa ad azioni su Siguenza, Toledo e Talavera de la Reina. L’11 settembre 1936, a Talavera, Krizaj ai comandi di un Nieuport 52 in coppia con un Dewoutine, viene intercettato da due CR 32 dell’Aviazione Legionaria pilotati dal tenente Franceschi e dal sergente Magistrini, quest’ultimo compagno di Krizaj durante il corso di Capua. Colpito da Magistrini al radiatore, è costretto ad un atterraggio di fortuna fra Talavera e Madrid ma ne esce indenne e subito dopo ritorna alla Squadriglia. Il 15 ottobre 1936, in una missione di scorta con un Dewoitine D 371, si scontra su San Martin de Valdeiglesias con tre CR 32. Colpito nel serbatoio, l’aereo precipita in fiamme, Krizaj si lancia col paracadute e finisce sulle nostre linee. Catturato e portato all’ospedale di Talavera viene curato per le ferite riportate e poi trasferito nel carcere di Salamanca. A Talavera riceve la visita di Bonomi e Muti. Quest’ultimo che aveva la fama di essere alquanto brusco, sembra si sia tolto qualche soddisfazione con il Krizaj che “allevato” dall’Aeronautica Militare Italiana è poi passato al nemico. Insieme a Franceschi e Magistrini decidiamo di andare a trovare il vecchio compagno in ospedale a Talavera ma il militare spagnolo di guardia alla sua stanza ci informa che sta dormendo ed è meglio non disturbarlo. Lo vediamo dalla porta socchiusa ed effettivamente sembra addormentato e malconcio. Abbiamo l’impressione che sia stato malmenato e che, forse imbarazzato dalla visita degli ex colleghi, finga di dormire.

Gino Passeri 
Rientrato in Italia ho saputo della morte delll’amico Gino Passeri, mio compagno di Squadriglia. Si diceva che alcuni superiori e colleghi avevano insinuato che non dimostrasse abbastanza “grinta” durante i combattimenti invece si doveva esser trovato in situazioni nelle quali era molto più saggio non confrontarsi con un nemico in forze preponderanti. Ciò deve averlo condizionato ed il 7 luglio 1937 in un combattimento sul cielo di Madrid tra l’Asso di Bastoni ed una formazione nemica di 30 velivoli, affronta da solo tre aerei nemici, ne abbatte uno e, rimasto gravemente ferito riesce a riportare l’aereo alla base ma dopo l’atterraggio si accascia sui comandi. Viene trovato dai soccorritori privo di vita. Per questa azione gli viene conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare e riposa nel cimitero Grinon, Campicello “Glorieta” insieme agli altri caduti italiani.

Il ritorno a Gorizia 
Vengo assegnato nuovamente al mio 4° Stormo e, rientrato a Gorizia, mi viene concesso un periodo di riposo. Il 6 novembre 1937 il Duca d’Aosta convoca presso la Palazzina Ufficiali tutti i reduci della Spagna del 1° e 4° Stormo e dopo una breve cerimonia in memoria dei caduti veniamo invitati al Circolo Ufficiali ad un pranzo al quale partecipano diversi Ufficiali Superiori della Divisione Aquila. Riprendo a volare il 13 novembre effettuando una missione a doppio comando di ambientamento con il serg. Renzi sul CR 30 e poi con il CR 32. Il 6 dicembre ha luogo sull’Aeroporto di Gorizia la cerimonia di commiato del Duca d’Aosta che il 12 dello stesso mese, dovrà lasciare il Comando della Divisione Aquila in quanto nominato Vicerè d’Etiopia. Il 4° Stormo è stato sensibilmente provato dall’Operazione Militare in Spagna, occorrono nuovi piloti da caccia che devono essere formati ed addestrati, ne veniamo incaricati noi “anziani”. La mia esperienza torna utile per perfezionare i giovani con poca esperienza di “cacciatori” e le missioni di doppio comando, acrobazia e volo in formazione, finta caccia, riprendono a pieno ritmo. I successi dell’Aviazione Italiana in Spagna accendono gli interessi di alcuni Paesi che inviano a Gorizia alcuni Ufficiali per valutare le prestazioni del CR 32 ed un possibile acquisto.

L’incidente di Ronchi 
In previsione della Manifestazione Aerea sull’aeroporto di Furbara dell’8 maggio 1938, in occasione della visita del Cancelliere tedesco, i vertici dell’Aeronautica decidono di includere un’esibizione acrobatica di una super formazione di 28 CR 32, composta dalle pattuglie acrobatiche di quattro Stormi, il 1°, 4°, 3° e 6°. Gli allenamenti cominciano un mese prima e vengo assegnato alla pattuglia del 4° Stormo. Le pattuglie del 3° e 6° Stormo sono trasferite per l’occasione nell’aeroporto di Gorizia dove però non è possibile allenarsi perchè il traffico di velivoli è già’ notevole. Viene deciso così che le quattro Squadriglie si alleneranno sul cielo dell’aeroporto di Ronchi dei Legionari, dove il 4°, 3° e 6° Stormo si porteranno in volo da Gorizia e il 1° Stormo da Campoformido. Il 13 aprile tutte le Squadriglie atterrano a Ronchi dei Legionari ed il cap. Aldo Remondino tiene il briefing sulle manovre da eseguire. Per ogni Stormo c’è uno specialista che interviene per le normali operazioni di assistenza tecnica. Per il 4° Stormo c’è il serg. Enzo Vosca, che giunge direttamente da Gorizia con Ca 100 pilotato dal serg. Vittorio Romandini. Quel giorno Romandini doveva essere il gregario esterno di destra di Remondino ma non si sente molto bene ed è sostituito da un collega mentre a lui viene assegnato il compito meno impegnativo di pilotare il Ca 100 con a bordo specialisti e ricambi. Sono previste due missioni al giorno e tra l’una e l’altra i velivoli debbono essere controllati e riforniti di liquido refrigerante del radiatore, gli specialisti scherzosamente dicono che il CR 32 consuma più “acqua” che benzina. Di carburante non ce n’è bisogno grazie alla capacità dei serbatoi. La super formazione è comandata da Remondino che ha la fama di essere un eccezionale Capopattuglia, dopo la guerra diverrà Capo di Stato Maggiore. Io sono il gregario “esterno” sinistro della pattuglia di Remondino. Guidare una simile formazione sarebbe un’impresa impegnativa oggi, figuriamoci per quei tempi con dei velivoli senza radio, con poca potenza, con l’effetto “coppia dell’elica” che li rendeva instabili e richiedeva un continuo lavoro di pedaliera ad ogni variazione di potenza e velocità. Sull’aeroporto di Ronchi è una bella giornata ed iniziamo ad allenarci, le quattro pattuglie sono disposte a “rombo”, la pattuglia del 4° Stormo di Remondino guida la formazione, alla sua sinistra ed alla sua destra, leggermente indietro, le pattuglie del 1° e 3° Stormo. Dietro, a chiudere la formazione a rombo, la pattuglia del 6° Stormo. Tutto va bene fino all’esecuzione del looping. Remondino, in testa alla formazione, sorvola il Carso da Est verso Ovest ed inizia una picchiata per prendere velocità, puntando l’aeroporto di Ronchi, lo sorvola a circa 80 metri ed in fondo al campo comincia a cabrare per ripetere una manovra già provata in precedenza. Quando la formazione ha superato la posizione verticale e manca poco alla sommità della manovra, a circa 300 metri, la pattuglia del 1° Stormo, al comando di Brambilla, si avvicina a quella di Remondino,  Mascellani, gregario esterno destro della pattuglia di Brambilla, viene “spinto” di conseguenza verso destra ed è oramai a pochi metri da me che sono il più esterno sulla sinistra di Remondino. Brambilla se ne rende conto e per correggere ha uno scarto a sinistra e Bruno di Montegnacco, suo gregario di sinistra, che volava molto “stretto”, ala dentro ala, non riesce ad evitare la collisione. Nè io nè gli altri piloti ci accorgiamo immediatamente di quello che sta avvenendo perchè siamo impegnati a mantenere la formazione ed ognuno tiene la testa girata lateralmente con l’occhio incollato al suo leader. Nel frattempo siamo già in volo rovescio, a testa in giù, e Remondino, che ha notato con la coda dell’occhio la collisione, istintivamente si sposta a destra ed entra in collisione con Renzi che a sua volta investe il velivolo alla sua destra. Tonello, Montanari ed io ci troviamo in mezzo al caos ed è un miracolo che non ci investiamo l’un l’altro. Sono ancora rovescio e con il muso verso il basso. Con tutto motore “dentro” mi giro e, con il timore di entrare in collisione da un momento all’altro, cabro violentemente per tirarmi fuori al più presto dalla baraonda di velivoli impazziti. La formazione si rompe ed i velivoli schizzano in tutte le direzioni. Brambilla si lancia con il paracadute mentre di Montegnacco ritarda il lancio per tentare di riprendere il controllo del velivolo ma quando lo fa è troppo tardi, tocca il suolo con il paracadute non completamente aperto e muore nell’impatto. Mentre ero ancora a testa in giù ricordo di aver intravisto dei rottami che volavano ed i due velivoli già a terra, avvolti dalle fiamme, il tutto si è svolto in pochi secondi. Gli specialisti che attendono il rientro dei velivoli dentro una baracca di legno con l’orecchio allenato, sentono subito dalle “smotorate” che qualcosa di grave sta accadendo e si precipitano fuori: i due velivoli sono già a terra in fiamme. Brambilla sta per toccare terra col paracadute mentre di Montegnacco si è già schiantato a terra. Remondino atterra poco dopo con il velivolo seriamente danneggiato. Fra i primi a prestare soccorso a terra il pilota collaudatore dei Cantieri aeronautici di Monfalcone, Mario Stoppani, che porta ancora i segni delle ustioni a seguito dell’incidente in Atlantico nel quale ha perso la vita, con il resto dell’equipaggio, il cap. Mario Viola che si trovava a bordo come passeggero. I velivoli della formazione oramai scomposta rientrano “sciolti” all’aeroporto di Gorizia e Campoformido dove immediatamente intuiscono il dramma. Con la perdita di Bruno di Montegnacco il 1° Stormo perde uno dei più valorosi piloti. In suo ricordo, la famiglia farà stampare un breve diario delle sue azioni in Spagna del quale conservo ancora una copia.

L’incidente di Franco Comelli 
Il ten. Franco Comelli, della 91^ Squadriglia, l’8 luglio 1938, arriva in treno all’aeroporto di Foligno, è stato inviato per ritirare il CR 32 del 4° Stormo che due mesi prima era stato costretto ad atterrare a causa di una avaria intervenuta durante il rientro da Roma. Il velivolo, che aveva dei problemi seri al motore, è finalmente pronto e può essere riportato a Gorizia. Comelli è amico del Comandante dell’aeroporto e viene invitato da quest’ultimo a pranzo. Il pomeriggio decolla per rientrare a Gorizia e poco dopo la fine del campo, forse disturbato dal sole, non scorge un traliccio dell’alta tensione e lo investe in pieno. Comelli era decorato di medaglia di bronzo e d’argento meritate durante la Campagna di Spagna, dove aveva conseguito due abbattimenti. La salma viene trasportata a Gorizia, le esequie vengono officiate nella chiesa di San Giusto e sepolto nel cimitero vicino all’aeroporto. Un CR 32 scolpito sulla lapide lo ricorda ai suoi concittadini. 
L’incontro con Mathis e Baschirotto al raduno dei reduci delle O.M.S. 
Nel mese di dicembre 1938 i reduci della Spagna, ai quali sono state conferite onorificenze, sono invitati ad una solenne cerimonia a Vicenza. Con il denaro della missione spagnola, mi sono appena acquistato una Topolino della FIAT, un’autovettura che non è alla portata di molti e con essa, mi reco a Vicenza, in compagnia di Costigliolo ed un altro collega di cui non ricordo il nome. Il Generale Pricolo, Ministro della Regia Aeronautica mi appunta personalmente la Medaglia di Bronzo e poco dopo mi viene consegnata anche la medaglia conferitaci dal Governo spagnolo, la “Medalla de sufrimientos por la Patria”.  Incontro Mathis, il pilota del Ro 37 che il 2 dicembre 1936, mentre cercava di localizzarmi aveva avuto un’avaria motore che lo costrinse ad un atterraggio di fortuna. Porta ancora ben visibili i segni delle gravi ferite subite in quella azione. Mathis mi saluta e sorridendo esclama: “Guarda come mi sono ridotto per tentare di salvarti!”. C’è anche Baschirotto e ricordiamo il mio ultimo volo con lui mio gregario, quando mi sono lanciato e sono stato fatto prigioniero. Non gli nascondo il mio disappunto in merito alla sua decisione di rientrare subito al campo per informare il Comando dell’incidente occorsomi. Se fosse rimasto a circuitare sopra di me mitragliando i pochi soldati repubblicani che erano ancora lontani, forse sarei riuscito a raggiungere le linee amiche ed avrei evitato otto mesi di dura prigionia ed il rischio della fucilazione. L’incidente era avvenuto pochi minuti dal decollo, aveva il serbatoio quasi pieno e almeno due ore di autonomia che gli avrebbero consentito di “scortarmi” fino al campo, su un terreno libero da truppe nemiche. Rivedo anche il capitano Maccagno, cammina con il bastone a causa dell’arto che ha perso quando è stato abbattuto. Si lamenta di essere stato abbandonato dai suoi gregari, Avvico ed il sottoscritto, durante il combattimento sul cielo di Madrid. Non ho potuto non ricordargli che noi continuavamo ad oscillare le ali per richiamare la sua attenzione e che la prima regola per un pilota da caccia è quella di volare sempre guardandosi in giro e soprattutto alle spalle. Il 1° aprile 1939 partecipo con gli altri reduci delle O.M.S. ad una solenne cerimonia a Roma, presieduta dal Capo del Governo. Al termine della cerimonia, Mussolini ci riceve e dopo un breve discorso ci consegna personalmente un ritratto autografo in una cornice d’acciaio.

In volo con il ten. Visintini 
Il 31 marzo 1939, decollo da Gorizia con un bimotore da trasporto Caproni CA133 con destinazione Grottaglie, insieme al ten. Mario Visintini che ha funzioni di capo equipaggio, al serg. motorista Moro ed al 1° aviere montatore Arino. Le missioni prevedono il trasporto di truppe in Albania e giunti a Grottaglie ci vengono assegnati alcuni voli di ambientamento. Il 3 aprile, decolliamo da Grottaglie e dirigiamo su Gallipoli. Nel porto è ormeggiato il sommergibile Scirè utilizzato come “avvicinatore” per le azioni dei mezzi d’assalto detti “maiali”,  sul quale è imbarcato il fratello di Visintini, pilota di uno di questi mezzi che perderà la vita a Gibilterra il 7 dicembre 1942. Quando si distingue la sagoma del sommergibile, Visintini inizia a scendere per effettuare una puntata. Assisto in silenzio ma quando mi rendo conto che il tenente è troppo basso, prendo i comandi e “tiro”. Il tenente è seccato per il mio intervento ma l’incidente si chiude li. L’8 aprile effettuiamo il volo da Grottaglie a Tirana, sbarchiamo i militari e rientriamo a Grottaglie senza incontrare difficoltà. Il 10 aprile decolliamo nuovamente con destinazione Tirana. Giunti in prossimità della costa albanese le nubi sono molto basse e coprono le montagne. In una situazione del genere l’unica scelta è di invertire rotta e rientrare. Visintini invece ci dice che intende proseguire ed entra nelle nubi. Il motorista che è seduto dietro comincia ad agitarsi e strattonarmi sulla spalla per farmi capire di convincere Visintini a desistere. Provo ad obiettare ma alla fine, visto inutile ogni tentativo, mi rivolgo a Visintini dicendo “Ho io i comandi, si torna indietro!”. La reazione di Visintini questa volta è abbastanza violenta e minaccia di deferire alla Corte Marziale me ed il resto dell’equipaggio per ammutinamento ma comunque mi lascia fare. Abbiamo a bordo sufficiente carburante e decidiamo di dirigere su Gorizia, costeggiando l’Albania e la Jugoslavia, e soprattutto mantenendoci sempre sotto le nubi. Giunti in prossimità di Parenzo, paese natale di Visintini, il tenente riprende i comandi e si abbassa per effettuare delle “puntate” sulla sua casa e ripete le stesse imprudenze commesse a Gallipoli. Intervengo nuovamente e lui si irrita per la mia interferenza. Atterrati a Gorizia, mi metto subito a rapporto dal Comandante di Squadriglia, il cap. D’Agostinis, che chiama Visintini, gli fa una lavata di capo e conclude con ” … guai a te se provi un’altra volta ad entrare nelle nubi!”. Scoppiata la Guerra, Visintini viene inviato in Africa Orientale dove si fa onore abbattendo 16 velivoli nemici che gli fanno guadagnare la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Nel 1941, nel tentativo di rintracciare il suo grande amico, il serg. Gino Baron, finisce contro una montagna. Il fratello, tenente di vascello Licio Visintini, incursore dei mezzi d’assalto subacquei della X^ flottiglia MAS, caduto a Gibilterra, verrà insignito pure lui di Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Il Mc 200 ed il CR 42 
Il 19 agosto1939 vengo inviato a Lonate Pozzolo, a Sud dell’attuale aeroporto di Malpensa, insieme a D’Agostinis, Romandini e Corsi, per la consegna dei primi Mc 200, assegnati al nostro Stormo in sostituzione dei CR 32, divenuti obsoleti. Ci hanno preceduto i nostri specialisti che hanno bisogno di tempi più lunghi per conoscere questo velivolo destinato ad ammodernare la linea di volo e fra questi specialisti incontro l’amico Vosca. Dopo un breve corso sugli impianti e sulle caratteristiche, assistiamo alla presentazione in volo da parte del famoso collaudatore Carestiato. Il Mc 200 è il primo aereo con carrello retrattile e flaps, è in versione monoposto e pertanto dopo le debite istruzioni, si decolla da soli. Osservando le manovre effettuate con disinvoltura dall’abile collaudatore, il velivolo sembra avere delle prestazioni eccezionali ma quando andiamo in volo, ci rendiamo subito conto che non è proprio così e ci sono alcune difficoltà di pilotaggio. Bisogna prestare attenzione all’atterraggio, se si cerca di toccare terra “sui tre punti”, l’aereo tende a sprofondare violentemente e se si è troppo bruschi sui comandi alle basse velocità si rischia di stallare, entrando nella così detta “autorotazione”. Romandini è il primo a farne le spese con questi problemi: abituato al CR 32 che vicino a terra deve mantenere il “muso alto” perchè non ha i flaps, quando arriva a qualche metro di altezza, “richiama” ed alza il “muso” e l’aereo abbassa l’ala toccando il suolo, danneggiandosi. Anche Corsi incontra qualche difficoltà, è troppo brusco sui comandi e non riesce a completare i primi looping, il suo velivolo entra in “autorotazione” quando è sottoposto ad accelerazioni più alte. Il problema del Mc 200 è causato dal profilo delle estremità alari che “stallano” alle basse velocità o sotto forti accelerazioni, con conseguente perdita di controllo laterale degli alettoni. D’Agostinis chiama al telefono il Comandante del 4°  Stormo a Gorizia e spiega gli inconvenienti riscontrati. Alcuni giorni dopo viene deciso dallo Stato Maggiore che il nostro Stormo adotterà il CR 42 al posto dei Mc 200. L’8 settembre decolliamo da Lonate Pozzolo per Treviso dove consegnamo i Mc 200, con ancora le nostre insegne, al 54° Stormo. La Macchi interverrà successivamente modificando il profilo alare sia dei velivoli già’ prodotti che su quelli che usciranno dalle officine. A noi rimane come ricordo di questa avventura uno stupendo modellino in acciaio del Mc 200 consegnatoci come omaggio dalla Macchi. Dopo l’infelice esordio del Mc 200, il 16 settembre, effettuo il passaggio sul CR 42. Dopo il mio rientro dalla Spagna, ho conosciuto a Fogliano quella che sarà mia moglie, Beatrice Pian, figlia del proprietario della sala da ballo e del cinema nella piazza del paese, che noi piloti siamo soliti frequentare. Nel dicembre 1939 ci sposiamo nella chiesa del Sacro Cuore, alla cerimonia partecipano colleghi di Squadriglia e di Stormo, il serg. Zuliani è il mio testimone di nozze. Contemporaneamente la famiglia di mia moglie si trasferisce a Gorizia, nel borgo Stracis dove mio suocero prende in gestione il “Dopolavoro”, una sorta di bar sociale per gli operai della vicino cotonificio.

La guerra e la partenza per l’Africa Settentrionale 
La guerra inizierà il 10 giugno 1940, ma già’ il 5 giugno arriva l’ordine di partenza per l’Africa Settentrionale, partirà per primo il X Gruppo, destinazione il campo T2 di Tobruk. Comanda il X Gruppo il ten.col. Piragino mentre il cap. Monti guiderà la 84^ Squadriglia, Maggini la 90^ e D’Agostinis la 91^. Davanti all’hangar della 90^ e 91^ Sq. riceviamo il saluto del col. Grandinetti e dai colleghi del IX Gruppo. Il volo di trasferimento presenta non poche difficoltà, la distanza è ragguardevole, la situazione meteorologica è sfavorevole, un lungo tratto della rotta è sul mare. Vengono scelti i piloti più anziani ed esperti e così il pomeriggio del 7 giugno, insieme al s.ten. Luigi Giannella decollo con un Ca133 da Gorizia e dopo 3 ore e 25 minuti arriviamo a Foggia. Il giorno successivo riprendiamo il viaggio: Foggia, Grottaglie, Catania, le condizioni meteo non ci sono molto favorevoli. Il 9 giugno dobbiamo affrontare la traversata, il tempo è pessimo, facciamo scalo a Comiso e nel primo pomeriggio ripartiamo, in 3 ore di volo giungiamo a Tripoli Castel Benito. L’11 giugno ripartiamo, Castel Benito, Nadi Tamet, Bengasi ed infine, il 12 giugno, Bengasi, Tobruk – T2. La sistemazione è precaria, siamo sistemati nelle tende, non ci sono ricoveri per i velivoli e bisogna improvvisare tutto. Le missioni dei nostri CR 42 consistono principalmente nella ricerca ed attacco alle autoblinde inglesi. I primi giorni la caccia avversaria è poco agguerrita e gli incontri con gli aerei non sono frequenti. L’8 agosto in uno scontro tra 16 CR 42 e 27 Gladiator perdiamo 7 dei nostri e tra questi l’amico Renzi del quale non si troverà più il corpo. Il 19 giugno, in un’altro combattimento scompare colui che era il mito del 4° Stormo: Ugo Corsi. Il suo velivolo finisce in mare ed anche di lui si perderà ogni traccia. Il 28 giugno sono sul campo Tobruk-T2 ed assisto all’attacco aereo dei quindici bombardieri inglesi Blenheim ed al successivo abbattimento del SM 79 di Balbo. Quest’ultimo si presenta, insieme ad un altro SM 79 con a bordo il gen. Porro, subito dopo l’attacco inglese, provenendo dalla stessa direzione degli attaccanti e senza aver effettuato il prescritto giro di riconoscimento. Le difese a terra si aspettavano un secondo passaggio dei bombardieri inglesi e, quando un inserviente alla contraerea apre incautamente il fuoco, si scatena l’inferno e l’aereo di Balbo diventa una palla di fuoco ed in pochi secondi precipita. L’aereo di Porro che era più indietro ed alto, si abbassa e riesce ad evitare di essere colpito. Da quando siamo giunti a Tobruk, l’alimentazione, la situazione igienica ed il caldo torrido contribuiscono a debilitare il fisico. Il 29 luglio, mentre sono in volo, perdo i sensi e mi stacco dalla formazione perdendo quota. Il resto della formazione mi segue pensando che abbia individuato un bersaglio. Vicino a terra riprendo i sensi e rientro alla base. Mi viene riscontrato un forte deperimento organico e messo a terra. Il 18 agosto rientro a Gorizia per essere curato.

A Gorizia alla Scuola Caccia Avanzata del 4° Stormo 
Dopo un breve ricovero all’ospedale militare di Gorizia, mi presento a D’Agostinis e chiedo di ritornare con il mio reparto in Africa. Mi risponde “… servono istruttori per i nuovi piloti, tu hai già’ dato il tuo contributo in Spagna, sei più utile qui a Gorizia”. Vengo così trattenuto ed incaricato dell’addestramento dei nuovi piloti sul CR 32 alla Scuola Addestramento Caccia Terrestre, al 2° Reparto. Qui ritrovo il vecchio amico Mario Bandini che, ferito in un combattimento, è da poco rientrato dall’Africa Settentrionale. Il 16 giugno 1940, su El Adem, Bandini aveva incontrato sei Blenheim mentre stanno rientrando da un bombardamento sul campo T.3 di Tobruk. Li insegue e si porta in coda ad uno di essi, lo mitraglia finchè non lo vede abbattersi al suolo ma viene a sua volta ferito seriamente al braccio sinistro da un caccia nemico. Nonostante il sangue perso e la ferita che gli impedisce l’uso del braccio, Bandini rientra a Tobruk. Per questa azione gli viene conferita la medaglia d’argento al V.M. La Scuola Caccia è comandata dal t.col. Ernesto Botto, coadiuvato dal Comandante in seconda, il magg. Enrico Stasi. Il direttore dei corsi è il cap. Luigi Monti mentre il cap. Vittorio Pezzè comanda il Reparto Volo. Conosco il friulano Pezzè fin dal 1933 quando arriva al 4°  Stormo, assegnato alla 96^ Squadriglia. Ben presto si distingue per le sue eccezionali doti di pilotaggio ed insieme partecipiamo con la Pattuglia Acrobatica alla manifestazione aerea del 1936 a Budapest. Ha la fama di gran manico e di ottimo istruttore, coltiva una segreta passione per il violino, contagiato dal fratello Piero (1913-1980), noto compositore udinese. Lamberto Del Moro, uno degli ultimi suoi allievi della Scuola Caccia di Gorizia nel 1942, lo ricorda come un uomo tranquillo e riservato che aveva un talento istintivo per il volo, di lui si dice che ” … in volo aveva la serenità e la calma dei grandi piloti …”. Come me, pure Pezzè è legato a Gorizia per aver sposato la goriziana Tudor ma la sua carriera presto lo allontanerà dalla sua terra. Alla Scuola Addestramento Caccia c’e un anche il maresciallo, Albino Cagliari, un anziano e pluridecorato pilota che si è fatto onore in Cirenaica. Arrivato nel 1934 al 21° Stormo da Ricognizione, nel 1936 transita al 4° e viene assegnato alla 97^ Squadriglia. Per la sua grinta dimostrata in Cirenaica, si è meritato il sopranome di “Il diavolo del deserto”. Vista la sua esperienza, viene chiamato da Pezzè al Nucleo di Addestramento dello Stormo.

Il Reparto Aerosiluranti 
Il 25 luglio 1940, viene costituito a Gorizia il “Reparto Sperimentale Aerosiluranti”, poi modificato in “Reparto Speciale Aerosilurante”. I piloti e gli specialisti sono scelti tra i migliori degli Stormi di Bombardamento, il comando viene assegnato inizialmente al cap. Amedeo Moioli, sostituito in agosto dal magg. Vincenzo Dequal. Giungono al Reparto il magg. Enrico Fusco, i ten. Franco Melley, Carlo Emanuele Buscaglia, Carlo Copello, i s.ten. Guido Robone, Aldo Forzinetti, il ten. Vascello Giovanni Marzio e il s.ten. Vascello Giovanni Bertoli. Al Reparto vengono assegnati sei SM 79 predisposti al lancio di siluri. L’addestramento viene effettuato nel mare fuori il porto di Fiume, con rientro a Gorizia. Cinque dei sei SM 79, vengono trasferiti in Nord Africa dove effettueranno il 5 Agosto 1940 la prima azione di aerosiluramento nel porto di Alessandria d’Egitto. Un allievo della Scuola Caccia, il serg. Clemente Bonfanti di 24 anni, muore in un incidente di volo l’11 dicembre 1940. Durante le esercitazioni di acrobazia entra in vite e non riesce ad uscirne, si lancia col paracadute ma viene investito dai piani di coda del velivolo e cade nei pressi del cimitero. Ancora oggi, a circa 100 metri dalla strada statale, a sud del cimitero, si può vedere nei campi, una lapide in pietra corrosa dal tempo e sulla quale è possibile leggere il suo nome.

Preparando i piloti per il fronte 
Un giorno mi vengono affidati due allievi di Bandini e la missione prevede, oltre a varie manovre, anche l’esercitazione in “fila indiana”. Mi accerto che conoscano la manovra ed andiamo in volo con tre CR 32. Guido la pattuglia tenendoli d’occhio, imposto un looping e, mentre sono alla sommità della manovra, l’allievo che è in coda commette un errore: invece di mantenere il velivolo che gli sta avanti sopra il suo muso e pertanto in vista, stringe troppo e non è più in grado di vederlo. Qualche frazione di secondo dopo viene a trovarsi sopra di lui e lo investe. La collisione è violenta ed i velivoli si disintegrano. Il pilota investito rimane incastrato tra i rottami e precipita con l’aereo. L’investitore si salva lanciandosi con il paracadute. Alla Scuola l’attività di volo è intensa, si macinano ore su ore di volo e conseguentemente si acquista grande confidenza con il velivolo. La versione da addestramento biposto del CR 32, il CR30, si presta bene per il volo a “coltello”, la manovra alla quale sono affezionato e che meglio mi riesce. Un giorno, con un allievo in addestramento nel posto anteriore, prendo i comandi, acquisto velocità con la solita affondata e passo a tutta velocità davanti agli hangar del 4° Stormo in configurazione a “coltello”. Dopo 200-250 metri, quando la velocità comincia a decrescere, l’aereo tende a sprofondare verso terra e spingo sulla pedaliera per raddrizzarlo. Un attimo di terrore mi gela il sangue: la pedaliera è bloccata! Era già successo in altre occasioni ma a quota di sicurezza, il tacco della scarpa dell’allievo si era incastrato tra la pedaliera ed una lamiera sporgente del pavimento. Raddrizzare con l’alettone è molto pericoloso, potrei finire a terra dalla parte del timone bloccato. Per fortuna non perdo la calma in questi frangenti, con uno sforzo enorme, spingo ancora di più la pedaliera dalla parte che è incastrata e riesco a sbloccare il tacco dell’allievo. Anche questa volta è andata bene! Pure l’abilissimo Pezzè ogni tanto fa qualche passaggio a bassa quota volando a “coltello” ma non riesce a percorrere la mia distanza ma conclude con una manovra di grande effetto, passando in mezzo a due hangar in virata, con la punta dell’ala più bassa dei tetti. Un incidente funesta l’attività di volo il 5 marzo 1941, uno Stuka proveniente da Graz, con destinazione Rimini, che deve essere consegnato alla 208^ Squadriglia del 101° Gruppo, atterra a Gorizia per fare rifornimento di carburante. Il pilota dello Stuka, il serg. Manlio Dell’Angelo, quando riparte effettua un passaggio a bassa quota sull’aeroporto e davanti agli hangar che erano del 21° Stormo ed ora ospitano il IX Gruppo e la “Scuola Caccia” effettua un tonneau. La macchina non adatta a queste manovre a bassa quota e la poca esperienza del pilota si concludono in una tragedia. Lo Stuka mentre è rovescio “sprofonda” e finisce sulla linea dei Mc 200 ed uccide lo specialista Guido Buffa intento a lavorare su un velivolo. Un’altra morte inutile!

L’8 settembre 
Il pomeriggio dell’8 settembre la radio trasmette la notizia dell’armistizio, molti interpretano nel modo sbagliato l’enigmatico annuncio ed esultano ma presto rimarranno delusi. A Gorizia, come del resto ovunque, gli ordini arrivano confusi o meglio, non arrivano affatto. Il giorno dopo transitano i primi militari italiani sbandati provenienti dai territori jugoslavi occupati e che tornano a “casa” credendo che la guerra sia finita ed il peggio passato. Con le poche forze ancora disponibili, alcuni Comandi tentano di organizzare una difesa contro le formazioni partigiane che si stanno avvicinando per occupare posizioni strategiche alla periferia di Gorizia. Sono diversi gli Ufficiali che non danno un grande esempio ai subalterni e si dileguano. A presidiare l’aeroporto rimagono solo i Carabinieri del locale presidio e due giovani sottotenenti. Il Comandante del IX Gruppo e della Scuola Caccia è il t.col. Ernesto Botto, soprannominato “Gamba di ferro” per la gamba “persa” in Spagna, che Bandini ed io conosciamo bene. Abbiamo molta fiducia in lui e gli chiediamo consiglio sul da farsi. Il Colonnello è ottimista e ci tranquillizza: “Conosco bene il generale Kesserling, vi farò avere un permesso e ve ne tornerete a casa”. Qualche giorno dopo la situazione è ancora confusa, lo incontriamo in corso Italia mentre scende dalla macchina e si avvia verso il Caffè Garibaldi. Lo fermiamo per avere notizie ma lui infastidito ci liquida con parole brusche: “Ragazzi non ho tempo. Ho un appuntamento con una signora”. Rimaniamo molto male, una tale risposta da un personaggio come lui proprio non ce l’aspettavamo. Poco dopo Botto, con una trasmissione alla radio, lancerà un appello alla Nazione, in particolare ai piloti, per organizzare una difesa dai bombardamenti anglo-americani che stanno creando molte vittime tra i civili e danni sempre maggiori alle industrie ed alle città. I tedeschi nel frattempo affiggono sui muri di Gorizia dei manifesti che sollecitano i militari italiani a presentarsi presso i loro Comandi, minacciando di gravi ritorsioni chi non dovesse ottemperare all’ordine. Bandini ed io, seppure con qualche titubanza, decidiamo di presentarci e dopo gli accertamenti del caso, i tedeschi decidono di inviarci all’aeroporto di Aviano e qui ci viene fatta la richiesta di combattere al loro fianco. Rispondiamo che intendiamo attendere che si formi il Governo Repubblicano per poi aderire alla nuova Aeronautica.

Il Gruppo “Trasporto Velivoli” 
Ci viene proposto di operare nel frattempo con il “Gruppo Trasporto Velivoli”, costituitosi il 15 settembre al comando del cap. De Camillis e veniamo inviati nuovamente a Gorizia dove è stato allestito il centro di raccolta e trasferimento in Carinzia, dei velivoli civili e militari da riutilizzare o demolire. I velivoli sono i più svariati, si va dai Nardi FN 305 agli Avia FL3, Ca 100, CR 32, CR 42, Mc 200 e Mc 202. Veniamo alloggiati nella palazzina Ufficiali, oggi sede di un distaccamento della Guardia di Finanza. Con me ci sono Montanari, Bandini, Romandini, Zorn, Gusso. In novembre ci affiancano alcuni piloti del corso Vulcano, giunti da poco dall’Accademia che sono in attesa della costituzione del 1° Gruppo Caccia. Tra loro due friulani, il s.ten. Ettore Erasmo di Valvasone ed il s.ten. Giovanni Pittini, quest’ultimo poi passerà al 1° Gruppo Caccia di Campoformido. Qualche mese più tardi perde la vita in un banale incidente il mio caro amico Vittorio Romandini, un pilota che aveva superato prove ben più difficili. È stato tra i primi piloti giunti a Gorizia, ha fatto parte della Pattuglia Acrobatica partecipando alle manifestazioni di Budapest nel 1936 e 1937 e di Belgrado nel 1938. Romandini e Montanari partono in coppia da Rimini il 13 novembre 1943 per trasferire due velivoli a Gorizia, ma nei pressi di Chioggia incontrano bassi strati di nebbia che riducono la visibilità a poche centinaia di metri. Montanari inverte la rotta e torna indietro mentre Romandini che è a bordo di un FN 305 prosegue da solo. Probabilmente disorientato dalla ridotta visibilità o forse a causa di un’avaria o di ghiaccio al carburatore, è costretto ad un atterraggio di fortuna nelle campagne di Pellestrina. Il terreno è libero da ostacoli e pianeggiante ma non può vedere il fosso che attraversa il campo e nell’impatto rimane gravemente ferito. In condizioni disperate, con fratture al volto ed emorragie interne, viene estratto dai rottami e soccorso da due tedeschi che passano da quelle parti che lo trascinano morente per cinquecento o seicento metri attraverso i campi, fino alla più vicina strada dove con un automezzo viene trasportato all’ospedale di Chioggia ma poco dopo muore. Viene sepolto a Chioggia e solamente nel 1997, alla morte della moglie Ludovica Musina, i suoi resti verranno traslati nel cimitero di San Lorenzo, per riposare insieme nella tomba di famiglia. Poco dopo la scomparsa di Romandini, la vedova con la figlioletta Liliana di due anni, lascia l’appartamento di Gorizia di corso Italia n.79, oggi n.205, dove viveva con il marito e torna nella casa dei genitori a San Lorenzo. Dalla casa di via Brigata Casale, nella quale ero andato ad abitare appena sposato, mi trasferisco con mia moglie e mio figlio di un anno, nell’appartamento lasciato dalla vedova Romandini. È al terzo piano di un elegante palazzo costruito nel periodo in cui Gorizia faceva parte dell’Impero Austroungarico. L’edificio è di proprietà dei Viatori, una famiglia benestante di origini slovena che gestisce l’omonima panetteria di via Duca d’Aosta. Sotto di noi abita la famiglia Crali ed il loro figlio, Tullio Crali, è uno stimato pittore futurista. Lo conoscevo da prima, l’avevo visto un paio di volte al Dopolavoro dei miei suoceri ed anche in aeroporto, in compagnia di Botto, del quale era amico. Crali da giovane sognava di diventare un pilota e, abitando vicino all’aeroporto di Gorizia, la sua passione si era riaccesa. Frequenta l’ambiente dei piloti e la sua amicizia con il t.col. Botto gli consente di effettuare alcuni voli, come passeggero, sul CR 30 della Scuola Addestramento Caccia. Questi voli lo ispireranno nei suoi quadri, con dettagli che solamente chi ha volato avrebbe potuto dipingere. Purtroppo nel dopoguerra le sue frequentazioni con il t.col. Botto lo etichetteranno ed il suo talento verrà riconosciuto solamente dopo la sua morte. Il t.col. Botto sarà per un breve periodo Segretario dell’A.N.R., in pratica Capo di Stato Maggiore e, in disaccordo con i gerarchi fascisti e con il Comando della Luftwaffe in Italia, abbandona il campo. Dopo la guerra si ritira a vita privata e trova lavoro alla alla Guzzi, muore a Torino nel novembre1984.

Lo spezzonamento alleato 
Il mattino del 18 marzo 1944 lascio l’aeroporto in bicicletta ed intorno alle 11.00 sono in corso Vittorio Emanuele III, oggi corso Italia, all’altezza del caffè Garibaldi, quando sento il rombo di una formazione aerea in avvicinamento da Sud. Intravedo alcune dozzine di bombardieri B25 che volano ad una quota di circa duemila metri. Le case me li nascondono parzialmente alla vista ma noto che stanno virando verso Est. Poco dopo in città si sparge la voce che hanno bombardato l’aeroporto e che ci sono molte vittime. Il primo pomeriggio torno nuovamente in aeroporto, i danni alle infrastrutture sono evidenti ma limitati, i bombardieri hanno sganciato “spezzoni” colpendo alcuni caccia che erano appena atterrati per rifornirsi dopo aver affrontato altre formazioni di bombardieri alleati. Sono danneggiati seriamente tutti gli SM 79 del Gruppo Aerosiluranti “Buscaglia” mentre altri aerei si sono salvati poichè prudentemente decentrati o in volo. Non ho la sensazione che ci siano state tante vittime all’interno dell’aeroporto, risultano deceduti il s.ten. pilota Folicaldi ed alcuni specialisti mentre sono rimasti feriti quattro piloti e diversi specialisti. Molto pesante è invece il bilancio di perdite umane tra i civili, circa un centinaio di morti e tre volte tanto di feriti. Hanno perso la vita molti addetti della TODT e una trentina di contadini di Merna e dei paesi limitrofi, sorpresi mentre erano impegnati nei lavori dei campi. Sono stati sganciati un gran numero di spezzoni da 10 kg che non sono molto potenti ma micidiali quando ci si trova all’aperto ad una decina di metri dall’impatto. Dai documenti ufficiali inglesi risulta che quel giorno una formazione di 280 bombardieri, partita da basi sulle coste adriatiche si è portata sull’Austria e poi, con un’azione diversiva, si è divisa in tre gruppi diretti su Lavariano, Maniago e Merna, rispettivamente di 67, 121 e 72 velivoli. Tuttavia la mia impressione, coincidente con quella di altri miei colleghi, è che il numero di velivoli che hanno effettuato il bombardamento su Gorizia, sia stato inferiore. Alcuni giorni più tardi circola la voce che il bombardamento sia una rappresaglia all’azione di dieci SM 79 del Gruppo Buscaglia, decollati da Merna per attaccare il naviglio alleato impegnato nello sbarco di Nettuno e Anzio. In agosto giunge in aeroporto una telefonata che comunica che il 9 agosto 1944 è deceduto l’amico Zorn. Una ventina di giorni prima il m.llo Zorn, il m.llo Montanari, il s.ten. Zucconi ed il s.ten. di Valvasone con dei Saiman 202 sono partiti da Gorizia per Innsbruck. A causa delle condizioni meteo proibitive si trovano bloccati per tre settimane a Bolzano. Il 9 agosto ripartono e poco dopo vengono intercettati da una pattuglia di P51 Mustang. I Saiman che volano molto bassi tentano di disimpegnarsi infilandosi nelle vallate. Zorn viene colpito e tenta un atterraggio di fortuna ma viene finito con una raffica mentre sta per toccare il suolo.

Troppo vecchi per i combattimenti aerei 
Il 12 agosto 1944 avviene lo scioglimento del Gruppo Trasporto Velivoli e, sempre con Bandini, mi reco a Padova per ricevere istruzioni. Da Padova veniamo trasferiti a Desio ed assegnati al III Gruppo Caccia della ANR (Aviazione Nazionale Repubblicana), comandato dal col. Fernando Malvezzi, detto “Pel di carota” per il colore rossiccio dei capelli. Veniamo accolti da Malvezzi che ci dice, senza tanti complimenti, che a 33 anni … siamo “troppo vecchi”. I combattimenti impari contro le Fortezze Volanti americane che dispongono di una potenza di fuoco formidabile, possono essere affrontati solo da chi ha l’incoscenza dei giovani! Rimaniamo pertanto in forza al III Gruppo Caccia ma non partecipiamo ad alcuna azione bellica, anche perchè questo Gruppo non diverrà mai operativo. Dopo alcuni giorni trascorsi a Desio, chiediamo un permesso per rientrare a Gorizia. Terminato il permesso la situazione nel Nord Italia è talmente caotica che il rientro diventa un’Odissea e pertanto ci presentiamo a Desio con 5 giorni di ritardo. Al Comando veniamo redarguiti da un colonnello che non accetta spiegazioni e minaccia di deferirci alla Corte Marziale per diserzione. Veniamo così inviati al Ministero dell’Aeronautica a Milano e qui troviamo una vecchia conoscenza della Spagna, il col. Giuseppe Baylon che ci tranquillizza e ci trasferisce a Lonate Pozzolo, alla Compagnia Guardie. Con me, oltre a Bandini c’è anche Costigliolo, abbiamo il compito di perlustrare il territorio intorno all’aeroporto per prevenire attacchi dai partigiani. La Compagnia è comandata dal cap. Ugo Pierotti e dal ten. Eros Sacchi, siamo in tutto sette Ufficiali e tredici Sottufficiali. Il servizio è noioso e soprattutto non è il lavoro che avevamo scelto e pertanto non abbiamo scontri con i partigiani che ci guardiamo bene dall’andare a cercare. Nel marzo dell’anno seguente possiamo osservare da vicino i nuovi aerei tedeschi a reazione, Arado 234. Passano alcuni mesi ed otteniamo un nuovo permesso per rientrare a Gorizia. I trasferimenti si effettuano chiedendo passaggi a qualsiasi mezzo circolante ed è così che giunti vicino a Gorizia, tra Mossa e Lucinico, il camion sul quale viaggiavamo esce di strada e Bandini si frattura alcune ossa. Viene ricoverato presso il seminario di Gorizia, adibito ad ospedale militare ed oggi sede dell’Università. Scaduta la licenza, durante il viaggio di ritorno, nelle vicinanze di Verona, vengo a sapere che gli americani sono già a Milano e così decido di rientrare nuovamente a Gorizia.

Gli ultimi giorni di guerra 
A Gorizia circola la voce che i partigiani di Tito si apprestano ad entrare in città e molti cittadini, soprattutto quelli che avevano incarichi nell’amministrazione statale e nelle Forze Armate, si rifugiano nei paesi oltre l’Isonzo. I primi giorni del dopoguerra sono momenti tragici per Gorizia, i partigiani e i soldati di Tito occupano la città ed iniziano le rappresaglie nei confronti di quelli che ritengono coinvolti con il Governo fascista ma anche nei confronti di persone che nulla avevano avevano a che fare con il regime. Nei quaranta giorni di occupazione delle truppe di Tito, vengono deportati circa 600 cittadini e di loro si perderà ogni traccia. Come altri goriziani, abbandono in fretta la città e mi rifugio nella casa dei suoceri a Sagrado, dove posso contare sull’aiuto dei cugini di mia moglie che sono in buoni rapporti con i partigiani. I primi giorni di maggio del 1945 a Sagrado, nei pressi dell’attuale campo sportivo, si accampa il 10° Reggimento “Royal Ussars” della “First Armoured Division”. Molti degli Ufficiali del Reggimento, circa una trentina, provengono dall’aristocrazia inglese, sono sbarcati nel sud d’Italia nel 1944, l’hanno risalita scontrandosi anche in battaglie cruente contro i tedeschi e nel maggio 1945 sono giunti a Sagrado. Il Comando inglese requisisce due stanze della casa dei miei suoceri per alloggiarvi alcuni giovani Ufficiali. Poco prima le stesse stanze erano occupate da Ufficiali tedeschi che avevano anche loro l’esigenza di trovare un alloggio tra quattro pareti. Il preannunciato arrivo degli Alleati, la cui avanzata oramai era inarrestabile, aveva spinto il Reparto tedesco ad abbandonare il paese per dirigere verso l’Austria e poi la Germania. Mia cognata, Luce Pian, una bella e simpatica ragazza di 22 anni, non passa inosservata ed è subito al centro dell’attenzione degli Ufficiali inglesi che instaurano un rapporto di amicizia con tutta la famiglia. La guerra è finita da pochi giorni e ci sono ancora dei momenti difficili da superare ma gli animi sono più sereni. Faccio conoscenza con gli inglesi che frequentano la casa, sono molto giovani e gioviali, ricordo ancora i loro nomi, Daniel Awdry, Peter Walker, Michael Penetta, Nicola Clarelli e Campbell Stirrum. Non parlo l’inglese e loro sanno poche parole di italiano ma riusciamo a comunicare con l’aiuto di un loro collega di origini italiane, il s.ten. Michael Penetta. In paese le notizie giungono con difficoltà e ritardo, da loro vengo a conoscenza degli eventi degli ultimi giorni di guerra e dello sterminio degli ebrei perpretato dai tedeschi nei campi di concentramento, di cui tutti noi eravamo all’oscuro. Il Reggimento si dovrà trasferire i primi giorni di settembre a Villa Opicina e nel mese di agosto mia cognata organizza una piccola cerimonia d’addio sul terrazzo di casa, alla quale partecipano tutti gli Ufficiali. Vengo presentato al colonnello Comandante del Reggimento, mi qualifico e con l’aiuto del s.ten. Penetta, gli spiego la mia posizione. Sono un militare che ha appartenuto ad una Forza Armata nemica e potrei anche essere arrestato, invece mi dice di non preoccuparmi, la guerra è finita e tutto si sistemerà. I momenti seguenti alla fine della guerra non sono esenti da rischi e la presenza degli inglesi nella casa dei suoceri a Sagrado mi mette al riparo da situazioni spiacevoli. Due degli Ufficiali inglesi sopravvissuti, i tenenti Daniel Awdry e Peter Walker, tornati in Italia nel 1998 per rivisitare i luoghi ove avevano combattuto, verranno anche a Sagrado e, ritrovata la casa che li aveva ospitati nel 1945, ci consegneranno alcune foto scattate allora e conservate con cura per oltre mezzo secolo.

Il dopo-guerra 
Solamente dopo oltre un mese, gli alleati che si erano fermati sulla riva destra dell’Isonzo, entrano a Gorizia e prendono il controllo della città. Posso rientrare per controllare lo stato del mio appartamento, abbandonato frettolosamente alcuni mesi prima. La tensione con la vicina Jugoslavia tuttavia non cessa, Tito ha delle mire su Gorizia e vorrebbe annettere il Friuli Venezia Giulia fino al Tagliamento e si teme l’arrivo del suo esercito. Il col. Luigi Corsini, istriano  di Pisino d’Istria, nome originale è Kurschen, è un pilota pluridecorato con tre medaglie d’argento, si è distinto su diversi fronti ed ha operato con diversi Reparti, dal 21° Stormo Ricognizione Aerea di Gorizia al 1° Stormo Caccia di Campoformido. Corsini non ha aderito alla Repubblica di Salò, è membro del CNL e gli viene assegnato il comando della “Divisione Gorizia” per organizzare una resistenza armata che si opponga ad una eventuale occupazione della città da parte dei “titini”: prende discretamente contatto con i militari in città e fornisce istruzioni ed armi. Intanto per poter campare, insieme a Bandini ci rechiamo più volte a Milano dove acquistiamo sigarette di contrabbando per rivenderle a Gorizia ma poco dopo subiamo una perquisizione da parte della Polizia Militare degli Alleati che cercano le sigarette ma, sopra un armadio, trovano il mitra che mi era stato fornito da Corsini. Passo dei momenti difficili ma poi viene tutto chiarito e vengo rilasciato. Mi dedico per un periodo anche al “traffico” con le AM Lire, mi reco a Milano dove ci sono alcuni ebrei che le acquistano. Un giorno consegno ad uno di loro una grossa somma, lui si allontana e mi dice di attendere. Passa parecchio tempo e comincio a preoccuparmi di aver perso tutto ed invece ritorna scusandosi per il ritardo e con la somma pattuita. Nonostante dovessi sempre trattare sul cambio, sono sempre stati corretti.

Si ritorna a volare 
Dal Ministero dell’Aeronautica mi viene comunicato che sono messo in “licenza speciale in attesa di reimpiego” e “sfollato” nel 1949. Gli anni del dopoguerra sono duri per tutti e quello che passa l’Aeronautica non basta. Per “tirare avanti” ci si deve ingegnare e così mi dedico al commercio del vino all’ingrosso insieme al m.llo Vittorio Rossi, uno specialista del 4° Stormo. Verso la fine degli anni 40 l’Aeronautica deve riformare gli organici, servono piloti esperti e quelli rimasti si contano sulle dita delle mano. È così che nel 1951 vengo “richiamato”, insieme a Bandini, per fare l’istruttore alle nuove leve di piloti del dopoguerra. Lascio la famiglia a Gorizia e parto per le Scuole di Volo delle Puglie dove si formano i piloti per la appena costituita “Aeronautica Militare”. Sono le Scuole di 1° Periodo di Gioia del Colle, di 2° Periodo di Brindisi e di 3° Periodo di Lecce. La mia prima destinazione è Brindisi, un aeroporto che dispone di una lunga pista in cemento, parallela alla costa, con ancora visibili le testimonianze del recente impiego da parte degli Alleati, era servito come base aerea per le incursioni sui Balcani e sul Nord Italia. Dispone ancora di infrastrutture ed attrezzature che risalgono a quel periodo e lasciate in utilizzo all’Aeronautica Militare, insieme agli stessi velivoli usati dalla Scuola. Siamo alloggiati nel lato Sud, vicino al porto ed il 24 luglio 1951, dopo una breve “ripresa voli” con il T 6, torno al mio lavoro di istruttore, lasciato nel 1943. Dopo un periodo di Scuola con il T 6, nel novembre 1951 effettuo il passaggio sul G 59, una macchina dalle eccellenti prestazioni ma impegnativa soprattutto in fase di atterraggio, in gergo aeronautico “da naso”.

Alla Scuola di Volo di “3°  Periodo” a Lecce 
Il 5 febbraio 1952 vengo trasferito a Galatina, in provincia di Lecce, l’aeroporto è intitolato a “Fortunato Cesari” un pilota del 4° Stormo che era con me al X Gruppo a Gorizia, ha perso la vita in Africa Orientale nel 1936 per aver tentato di soccorrere un collega costretto ad un atterraggio di fortuna in territorio nemico. Il Comandante delle Scuole di Volo è il col. Bruno Ricco, sostituito poco dopo da G. Battista Molinari. A Galatina ci sono due Gruppi, il 213°, con la 5^ e 6^ Squadriglia ed il 212°, con la 4^ Squadriglia. Il 213° Gruppo è comandato da una mia vecchia conoscenza, il col. Vittorio Pezzè, ma non è il solo a ricordarmi i tempi di Gorizia e Campoformido, incontro anche Avvico, Mascellani, Baron, Sanson e Squarcina. Mascellani è diventato un mito per la sua perizia acrobatica con il G 59 mentre Squarcina, altro abilissimo pilota, comanderà prima la pattuglia acrobatica dei “Diavoli Rossi” e nel 1961 costituirà le “Frecce Tricolori”. Anche Galatina è un aeroporto utilizzato dagli Alleati fino a sei anni prima e dispone di un gran numero di velivoli impiegati durante la guerra, sia dagli americani che dagli inglesi. Gli allievi sono piloti che provengono dai corsi d’Accademia e da quelli di Complemento e che già’ hanno effettuato un certo numero di ore di volo su altri velivoli alle Scuole di 2° Periodo.  Il 31 ottobre 1952 Mascellani ed io veniamo inviati con due G 59 in Sardegna per “istruire” gli istruttori che vi operano. Facciamo scalo ad Amendola e ripartiamo il 2 novembre per Guidonia. Il 3 dicembre voliamo da Guidonia per Olbia ed Elmas. Giunti ad Elmas scopriamo che gli istruttori sono vecchie conoscenze che non hanno assolutamente bisogno dei nostri consigli, informiamo i nostri superiori che è superfluo “istruirli” e veniamo così affiancati ai colleghi nell’istruzione degli allievi. Il 10 novembre ci vengono assegnate due squadre, di tre allievi ciascuna, sono piloti provenienti da altre Scuole e che hanno già’ volato su macchine meno impegnative. Un giorno mi viene assegnata una missione di “coppia” con uno di loro. Nel briefing spiego all’allievo le manovre che andremo ad eseguire ” … inizieremo con delle virate sfogate e poi passaremo a dei looping. Non essere brusco sui comandi, intervieni subito col motore appena percepisci che ti stai sfilando …”. Andiamo in volo con due G 59, ci portiamo sui 1500 metri ed iniziamo con alcune di virate strette e sfogate. Mi sembra che mi segue abbastanza bene, poi per radio gli dico: ” … ora facciamo un looping!”. Inizio una picchiata, cabro e quando sono verticale vedo che l’allievo continua con il muso verso l’alto e non “tira”, … rimane in piedi e perde velocità, mi allontano e vedo che scampana ed entra in vite. Raddrizzo l’aereo ed imposto una virata in discesa per tenerlo in vista, continua a girare su se stesso in vite, provo chiamarlo con la radio, non risponde, gli dò le istruzioni per uscire dalla vite … “barra avanti, piede destro, … spingi in avanti e dai piede destro …”. Non risponde, forse è impegnato a rimettere l’aereo dalla vite e non ha tempo per rispondere. Eppure deve sentirmi, … a meno che, preso dal panico, non si sia irrigidito sui comandi e stia innavertitamente tenendo premuto il pulsante di trasmissione. Ripeto le istruzioni senza esito e comincio a sospettare che abbia proprio la radio in trasmissione. Purtroppo su tutti gli aerei, quando si è in trasmissione, la ricezione è interdetta. Ho la conferma pochi secondi prima che l’aereo impatti il terreno, in cuffia mi arriva un urlo straziante e una gran fiammata conclude in tragedia la sua missione.

Il Mustang F 51 
Il 28 novembre si torna a Lecce dove riprendo a volare con il T 6 ed il G 59. L’attività di volo è intensa, volo principalmente con il T 6 ma anche con il G 59, mediamente dai due ai tre voli al giorno con qualche picco fino a cinque missioni. Il 6 maggio 1954 effettuo il mio primo volo sul F 51 Mustang. Il Mustang è una macchina eccezionale, dotato dello stesso motore Rolls Royce da 1700 CV dello Spitfire IX. Dopo questa esperienza di volo, mi rendo conto che era impensabile per noi vincere la guerra contro un nemico che disponeva di velivoli simili. Eppure nonostante queste prestazioni, è un aereo meno impegnativo dei nostri Mc 202 e Mc 205. Noi costruivamo velivoli che richiedevano grande abilità mentre, gli americani in particolare, avevano compreso la necessità di puntare su macchine alla portata di un pilota dalle capacità medie. In atterraggio il Mustang è più “tollerante” del G 59 e se il pilota di quest’ultimo richiama anche leggermente più alto del necessario, può abbassare violentemente l’ala colpendo violentemente la pista con le prevedibili conseguenze. Il Mustang, dotato di un motore con una potenza enorme, è invece difficile da controllare all’inizio del decollo, a causa della forte tendenza all’imbardata causata dalla coppia dell’elica. Sono frequenti i casi di allievi che in decollo escono di pista danneggiando seriamente il velivolo e per evitare ciò è previsto non dare la massima potenza finchè non si è raggiunta una certa velocità. Ci sono stati dei periodi a Lecce che quasi tutta la flotta dei Mustang era fuori uso per “uscite di pista”. Anche nelle “riattaccate”, quando vicino a terra si interrompe l’atterraggio per riprendere quota, è richiesto un considerevole sforzo fisico sulla pedaliera e l’immediato intervento con il compensatore del timone, per contrastare l’effetto della coppia dell’elica. L’ala inoltre ha un profilo particolarmente “fine” che permette di raggiungere rapidamente velocità elevate in picchiata, i comandi di volo diventano molto “duri”, tanto da sembrare bloccati ed anche in questo caso è necessario intervenire con il trim. È accaduto in più occasioni che i piloti, durante la finta caccia o altre manovre, si siano trovati in queste condizioni, raggiungendo velocità estremamente elevate, superiori a quelle di massima resistenza strutturale. Un giorno assisto ad una di queste situazioni verificatasi sulla verticale dell’aeroporto. Sto parlando con un allievo e sento il rumore di un motore alla massima potenza, alzo lo sguardo verso il cielo e vedo un Mustang con il muso basso e velocissimo che continua a scendere in picchiata poi, a 500 metri di quota, si disintegra ed un gran numero di rottami scendono verso il suolo. A rotazione, noi istruttori siamo di servizio in “biga”, una postazione radio semifissa posta accanto alla pista e dalla quale abbiamo il compito di seguire le evoluzioni dei piloti “solisti” e dar loro assistenza in caso di difficoltà, soprattutto in fase di atterraggio. Gli allievi, ai primi voli con il Mustang, hanno disposizione di restare sul “cielo campo” e deve essere in volo un solo allievo alla volta. Sul G 59 e sul T 6 non ci sono invece limitazioni e, per evitare rischi di collisioni, agli allievi sono assegnate zone di “lavoro” diverse e distanti dal campo. È una bella giornata e sono di servizio alla “biga” e seduto con Mascellani accanto alla postazione quando un allievo vicino a noi strilla: “Maresciallo guardi quel Mustang!”. Alzo lo sguardo e vedo il velivolo a circa 3000 metri che sta precipitando in vite, roteando velocemente con il muso basso. Corro verso la postazione radio, prendo il microfono e strillo “cloche avanti e piede destro! … cloche avanti e piede destro!”. Mascellani mi tira per il giubbotto “Cosa fai. Così lo fai ammazzare!”. Il Mustang intanto è sparito in uno strato di nubi ed alcuni secondi dopo ricompare senza più roteare, in posizione verticale, e comincia a prendere velocità. Con voce calma gli dico: “Ora tira dolcemente, … livella. Fai un giretto per farti passare la tremarella e poi vieni all’atterraggio!”. Poi mi rivolgo a Mascellani: “E bravo … ora capisco perchè a Gorizia col CR 32 salivi a 5000 metri, ti mettevi in vite e facevi 15 – 20 giri. Non sapevi come si esce dalla vite, lasciavi i comandi ed aspettavi che uscisse da solo!”. Mascellani era riconosciuto da tutti come un grande pilota ed eccelleva nell’acrobazia a bassissima quota, faceva rimanere a bocca aperta anche noi più esperti ma ciò nonostante non era considerato altrettanto bravo come istruttore, non riusciva a trasmettere le sue capacità! Lasciata l’Aeronautica, perderà la vita alcuni anni più tardi su un aereo a reazione dell’Aviazione Generale, precipitando sulle Alpi.

Di nuovo a Gorizia 
La Scuola lavora a pieno ritmo per “sfornare” allievi sul T 6, G 59 e Mustang che, dopo un altro periodo addestrativo ai Reparti, costituiranno il nerbo dell’Aeronautica Militare. Bandini ed io diamo il nostro contributo fino nel giugno 1956, quando entrambi terminiamo l’attività di volo come istruttori e veniamo assegnati al ruolo Servizi presso l’aeroporto di Gorizia. Tornato a casa, dove ho lasciato mia moglie e mio figlio nell’appartamento di corso Italia, mi viene proposto l’incarico di istruttore all’Aero Club di Gorizia e nel 1957 a quello di Ronchi dei Legionari, dove l’avvocato Furio Lauri, grazie ad un gruppo di amici piloti, ha fondato nel 1947 una piccola azienda aeronautica per la costruzione di velivoli leggeri e lavoro aereo, la “Meteor S.p.A”. Lauri, nato nel 1918 a Zara e cresciuto a Trieste, laureato in giurisprudenza, arruolatosi nella Regia Aeronautica, termina il conflitto con una Medaglia d’Oro, due d’Argento al Valor Militare, una Croce di Guerra. L’aeroporto di Ronchi dei Legionari, utilizzato dai CRDA per la messa a punto degli aerei terrestri, nella primavera del 1945 viene occupato e utilizzato parzialmente dagli anglo-americani e definitivamente abbandonato nel 1946. L’area aeroportuale è demanio aeronautico ma rischia di divenire terreno agricolo in quanto aumentano gli appezzamenti coltivati abusivamente. In Regione, nei campi di volo utilizzati dagli Alleati, giacciono decine di velivoli inglesi Auster e di americani Farchild, possono essere venduti ai privati come rottami solo dopo essere resi inservibili. L’intraprendente Lauri trova il modo di far tagliare opportunamente i velivoli e trasportare i rottami a Ronchi dove vengono rimessi in efficienza. Intanto, ottenuta dal Ministero della Difesa una concessione ventennale per una parte dell’aeroporto di Ronchi, vengono costruiti alcuni fabbricati dove la Meteor può svolgere questa attività. Nel 1950, alcuni piloti reduci dalla guerra, insieme a Lauri, fondano l’Aero Club Falco ed organizzano le “giornate dell’ala” che richiamano gran folla proveniente da tutta la regione. Nel 1953 la Meteor rileva la Francis Lombardi di Vercelli e, partendo dal biposto da turismo FL3 di questa Società, realizza tutta una serie di velivoli FL 53, 54 e 55, mentre nel settore degli alianti gli viene affidata la produzione dell’aliante “Canguro” per il Centro Militare di Volo a Vela di Rieti.

A Ronchi dei Legionari 
I primi istruttori dell’Aero Club Falco sono due ex piloti militari, Pilot e Larese. Pilot perde la vita poco dopo in un incidente sull’aeroporto di Ronchi. Decollato con un Auster insieme al motorista Zaramella per le prove di collaudo, in fase di atterraggio effettua una scivolata d’ala ma tocca con l’estremità alare e l’aereo si danneggia gravemente. Zaramella esce illeso dall’incidente mentre Pilot, colpito in pieno viso dalla cloche, perde la vita. Larese poco dopo lascia la Meteor perchè richiamato dalla ricostituita Aeronautica e inviato ad Elmas dove continuerà a fare l’istruttore di G 59 e F 51 Mustang. Il nuovo istruttore dell’Aero Club Falco è Mario Monzali che nel 1957 lascia l’incarico per motivi personali e che vado a sostituire. Monzali prima di partire mi racconta che durante le prove di collaudo di un FL 55, è entrato in vite piatta e, vista l’impossibilità di uscirne, si è slacciato ed ha aperto il tettuccio per lanciarsi. Mentre stava alzandosi dal seggiolino, il velivolo è uscito dalla vite e a quel punto ha ripreso i comandi e riportato l’aereo a terra. Alcuni giorni dopo debbo proseguire con le prove di collaudo abbandonate dopo l’inconveniente accaduto a Monzali. I tecnici per precauzione hanno installato in coda al velivolo un paracadute stabilizzatore, azionabile in caso di emergenza dall’interno dell’abitacolo. Vado in volo, salgo prudentemente ad una quota abbastanza alta, riduco la velocità e poi, dando tutto piede da un lato e con il motore al minimo, metto il velivolo in vite. Come nel caso di Monzali, il velivolo non si mette con il muso verticale e continua a ruotare con un assetto poco sotto l’orizzonte, è in vite “piatta”! Cerco di uscirne dalla vite, provo dare e togliere più volte il motore e portare la pedaliera al centro e poi nuovamente a fondo corsa, non cambia nulla, non c’è verso di rimettere l’aereo in condizioni di volo controllato! Sono trascorsi molti secondi ed il terreno si sta avvicinando velocemente e decido di azionare il paracadute freno, l’aereo si stabilizza in pochi secondi. Con il paracadute esteso l’azione frenate è fortissima e pertanto poco dopo tiro la leva di sgancio. Il paracadute però non si stacca! Provo più volte ma non c’è nulla da fare, il velivolo scende con un forte rateo e lanciarmi con il paracadute che indosso non mi sembra una buona idea, finirei dentro il paracadute freno e precipiterei a terra insieme al velivolo. Con il motore a tutta potenza l’aereo non riesce a mantenere la quota ma scende con un rateo simile a quando si simula una piantata di motore. Essendo rimasto precauzionalmente sopra al campo, mi porto all’atterraggio e tutto finisce bene. Il 13 giugno 1958 il col. Enrico Meille, abile e conosciuto pilota proveniente dal 4° Stormo di Gorizia, giunge a Ronchi per ritirare un velivolo Partenavia P 55 “Tornado” appena revisionato e modificato nelle Officine Aeronautiche della Meteor. Si appresta a decollare per un volo prova e misurare la velocità massima utilizzando dei punti di riferimento a terra. Lauri si offre di accompagnarlo in volo per aiutarlo in quanto conosce bene la zona intorno all’aeroporto. Sono in compagnia di Basilio Primosic ed Enzo Pian ed assisto al decollo del velivolo che avviene in direzione Nord. La corsa è molto lunga e la salita è piatta, dopo alcuni minuti, il rumore del motore cessa improvvisamente ed il velivolo non si vede più. Impensierito, metto in moto un velivolo dell’Aero Club, decollo e poco dopo, a circa 2 Km a Nord dell’aeroporto, individuo i rottami del P 55 con vicino i corpi dei due piloti. Entrambi vengono portati all’ospedale di Gorizia. I medici danno poche speranze per Lauri mentre le condizioni del Meille sembrano leggermente migliori. Poco dopo invece il Meille muore mentre Lauri supera i traumi dell’incidente. Per molti mesi Lauri sarà costretto a camminare con le stampelle e per tutta la vita porterà i segni di questo incidente. Lauri era da poco reduce da un altro incidente con un aliante, avvenuto sempre a Ronchi. Sarà proprio questa esperienza a fagli maturare l’idea di sviluppare i velivoli senza pilota di cui la Meteor diverrà la prima azienda nazionale del settore. Nel marzo del 1960, in un incidente di volo perdono la vita due piloti dell’Aero Club di Gorizia,  Rico e Calzetta. Al rientro da un volo con un L 5 Stinson, dopo aver lanciato una ghirlanda sul castello di Miramare, per ricordare la morte del Duca, entrano in un banco di nebbia ed impattano il costone carsico a breve distanza dalla ferrovia. Nel 1963, debbo assentarmi per un mese per partecipare in Sardegna ad un corso d’aggiornamento per istruttori. Lauri mi chiede di indicargli tra i soci dell’Aero Club un pilota affidabile per effettuare i voli di collaudo di alcune apparecchiature radioelettriche sperimentali, destinate ai teleguidati ed installate su un FL53B. All’Aero Club di Ronchi ci sono piloti con molte ore di volo ma la mia scelta cade sul più giovane di tutti, Gianfranco Sbocchelli, un ragazzo di Trieste che nel 1958 ho iniziato al volo quando era appena diciasettenne. Il mio fiuto d’istruttore non ha sbagliato, qualche tempo dopo infatti Sbocchelli entra in Aeronautica Militare e poi nella compagnia di bandiera, l’Alitalia. Nel 1974 supera il corso comando e nel 1999 lascia la Compagnia da Comandante di Lungo Raggio, sul Boeing 747.

Ancora a Gorizia 
Alla fine del 1963, l’Aero Club di Ronchi cessa l’attività ed il presidente dell’Aero Club di Gorizia mi chiama per addestrare i suoi soci. Nell’aeroporto di Gorizia, nell’hangar che fu della 38^ Squadriglia della Ricognizione Aerea, operano due Aero Club, quello di Gorizia e quello di Trieste. L’attività è intensa, l’Aeronautica Militare incentiva il volo negli Aero Club, vengono assegnati gli aerei dismessi dalle Scuole di Volo, i Macchi 416 ed i G 59, macchine alquanto impegnative per piloti civili. L’Aero Club d’Italia concede contributi per l’acquisto di nuovi aerei e l’Aeronautica fornisce consistenti quantitativi di carburante per l’attività addestrativa delle Scuole di Volo. L’hangar Gleiwithz dell’Aero Club è pieno di aerei ed un solo istruttore per due Aero Club, non basta più. L’istruttore è Montanari, una vecchia conoscenza del 4° Stormo, è nato e vissuto a Sagrado, il paese di mia moglie e dei suoi genitori. Ha partecipato a tutte le più importanti manifestazioni aeree ed ha fatto parte delle pattuglie acrobatiche del 4° Stormo, negli anni ’36, ’38 e ’39. Abbiamo volato spesso insieme in pattuglia acrobatica, lui da gregario interno di sinistra ed io da gregario esterno, sempre di sinistra. Aveva l’abitudine di volare “ala dentro ala” con il capo-formazione mentre tutti noi stavamo, come previsto, ad un metro, un metro e mezzo dall’ala dell’altro. Anch’io gliel’avevo fatto notare più volte, purtroppo aveva un carattere  spigoloso e non accettava consigli. Dopo la guerra si è congedato dall’Aeronautica ed ha ottenuto l’incarico di istruttore all’Aero Club di Gorizia e di Trieste. Motorista dei due Aero Club è Giovanni Lazzari che con l’esperienza acquisita in tanti anni di servizio in Aeronautica, garantisce una qualificata manutenzione agli aerei. Lazzari, nato nel 1906 a Longarone, si arruola nel 1931 e viene inviato in Tripolitania dove rimane per diversi anni. Nel 1938 è a Gorizia con la 38^ Sq. della Ricognizione Aerea, poco prima della guerra è inviato nuovamente in Africa, a Castel Benito (Bengasi) con la 94^ Sq. Caccia. Avendo aderito alla RSI, terminata la guerra, viene congedato e dopo un periodo non facile, ritrova lavoro nell’hangar già della 38^ Squadriglia, a lui familiare. Nel 1963 il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il gen. Remondino, proveniente dal 4° Stormo di Gorizia, trova un accordo con la compagnia aerea di bandiera per regolare il travaso di piloti che sta creando difficoltà ai Reparti di volo. L’Alitalia è in espansione e necessita di un gran numero di piloti che, attratti dalle condizioni economiche più vantaggiose, lasciano l’Aeronautica per l’Aviazione commerciale. Remondino si rende conto che ostacolare il congedo dei suoi piloti è un palliativo e preferisce la collaborazione con l’Alitalia, mettendogli a disposizione le infrastrutture dell’Aeronautica presenti nell’aeroporto di Brindisi ed una dozzina di istruttori di volo di Lecce. L’Alitalia intanto acquista quattro MB 326, velivoli con motore a getto da poco realizzati dalla Macchi ed utilizzati anche a Lecce per l’addestramento dei piloti militari. Con l’aiuto dell’Aeronautica nasce così la prima scuola di volo di una compagnia aerea. Il giovane pilota dell’Aero Club di Ronchi, Franco Sbocchelli, mio figlio e Claudio Rossi, figlio del m.llo del 4°  Stormo con il quale ci siamo ingegnati per superare i difficili anni del dopoguerra, partecipano alle selezioni e vengono ammessi ai corsi. Alcuni dei piloti che ho conosciuto a Lecce o che sono stati miei allievi, saranno loro istruttori a Brindisi. Due anni più tardi Sbocchelli, Rossi e mio figlio inizieranno a volare per la Compagnia di bandiera. Anche in linea incontrano alcuni miei ex colleghi ma soprattutto tanti miei ex allievi di Lecce che mi mandano i loro saluti: Pisciotta, Alonzo, Santaniello, Bertarelli, D’alessandro, Pagliarani, Fiorini, Lautizi, Russo, Ralli, Uberti, Stecca, Pulidori, Cattaruzza, Cavallo, Faggiani, Tron, Dugar, Dentesano, Panario, Tarroni, Chiappelli, Tatoni, Tomeucci, Malaspina, Fioretto, Lucchetti, Pettarin, Mori, Orlando.

Basta con il volo! 
Il 17 dicembre 1970 un grave lutto colpisce l’amico Castelletti. Suo figlio Guido di 23 anni, pilota di elicottero dell’Agusta, transita all’aeroporto di Ronchi dei Legionari con un contingente di elicotteri destinati all’Aeronautica della Persia, oggi Iran. Il Castelletti durante la sosta prende a bordo l’amico Silvio Lombardo, un pilota dell’Aero Club di Gorizia e lo porta in volo con il suo Agusta Bell 205 ma poco dopo il decollo precipitano in vigneto poco distante dall’aeroporto. 
Il limite d’età per i piloti civili istruttori è di sessanta anni e raggiunti, smetto ogni attività di volo. Il Presidente dell’Aero Club mi chiede se conosco un altro pilota che mi possa sostituire e gli faccio il nome dell’amico Gino Baron che faceva parte del gruppo istruttori di Lecce. Baron è una persona semplice e cordiale, sempre pronto alla battuta, nessuno può immaginare che sia uno dei più grandi assi della seconda guerra mondiale. Baron, nato nel 1918 a Castelfranco Veneto, nel 1941 è in Africa Orientale con la 412^ Squadriglia Caccia, affiliata al 4° Stormo e comandata dal capitano Antonio Raffi. Il ten. Mario Visintini, il pilota del 4° Stormo, con il quale nel marzo del 1939 siamo andati in Albania su un Ca 133, è anche lui alla 412^ Squadriglia ed è grande amico del serg. Baron, suo gregario e con il quale effettua gran parte delle misioni. Visintini è uno dei grandi assi per numero di abbattimenti e molte delle sue 17 vittorie le ottiene proprio in coppia con Baron che ha al suo attivo 10 abbattimenti individuali e 10 collettivi, una medaglia d’argento ed una di bronzo ma non è il tipo da vantarsi, difficilmente parla del suo passato, dà più importanza all’amicizia e, da buon friulano, non disdegna un buon bicchiere di vino. Il cugino di mia moglie, Enzo Pian, è un pilota da lunga data dell’Aero Club ed amico di Baron che, prima di lasciare l’incarico d’istruttore per raggiunti limiti d’età, gli confida un “segreto”. Si tratta di una voce che già’ avevo sentito quando ero a Lecce e cioè che alcuni abbattimenti “individuali”, accreditati a Visintini, in realtà erano “collettivi”, cioè di entrambi, oppure conseguiti da Baron e poi “girati” all’inseparabile amico. Proprio la fraterna amicizia con Baron è stata fatale per Visintini che è deceduto l’11 febbraio 1941, schiantandosi sul monte Nefasit. Visintini era decollato, nonostante le condizioni precarie, nel tentativo di localizzare Baron che si credeva disperso e che era atterrato invece a Sabarguma, fra Massaua e Asmara. Appena atterrato Baron aveva chiamato con il telefono la sua base per informare il Comando ma purtroppo Visintini era già’ decollato.

Il ritorno alle “origini” 
Ho trascorso una vita tra aerei e piloti, ho partecipato a due guerre, ho visto morire tanti miei compagni, ho conosciuto le prigioni spagnole, ho visto in più occasioni la morte in faccia ed ora è giunto anche per me il momento di cambiare vita. Sono del parere che quando si arriva all’ultima pagina di un libro, bisogna avere la forza di chiuderlo e pensare ad altro. Cominciano a riaffiorare i miei ricordi dell’infanzia trascorsa in campagna e, dopo tanti anni trascorsi in “cielo”, sento il desidero tornare alla “terra”, ai lavori da contadino, voglio dedicarmi solo alla cura del mio orto e dei pomodori che ricordano le mie origini partenopee. Nel 2001 partecipo alle celebrazioni per il 70° anniversario della costituzione e dell’insediamento del 4° Stormo, giunto a Gorizia nel settembre del 1931 con un primo gruppo di 64 piloti. Gli unici superstiti di quel gruppo, di cui facevo parte anch’io, sono Ruffilli e Bergamini. Alla cerimonia partecipa il Capo di Stato Maggiore gen. Sandro Ferracuti, il Comandante del 4° Stormo il col. Vecciarelli e due vecchi amici, Biffani e Del Moro. Prima di lasciare il luogo della cerimonia mi si avvicina una persona distinta che non parla l’italiano, un suo amico mi spiega che è il prof. Miomir Krizaj di Lubiana, figlio di Giuseppe Krizaj, il pilota che ho conosciuto nel 1930 al corso per allievi piloti di Capua e con il quale fui “scambiato” in Spagna nel 1937. Il prof. Krizaj è emozionato, ha perso il padre quando era molto giovane e mi chiede di raccontargli di quando ci trovavamo a combattere su fronti opposti in Spagna, della visita fattagli quand’era in ospedale e dello scambio di prigionieri nazionalisti e repubblicani che salvò la vita ad entrambi.